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14 Giugno 2022
18:07

Željko e il Lagotto Masha a caccia di tartufo per la salvaguardia degli habitat

Željko Zgrablić è un ricercatore e, insieme al suo Lagotto romagnolo Masha, studia i tartufi per sfruttare le loro simbiosi con le piante per salvaguardare gli habitat.

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Lagotto romagnolo a caccia di tartufo

Ci sono diversi motivi per andare a caccia di tartufi. C'è chi ne trae un profitto economico, chi vuole avere solo gli ingredienti migliori per la propria cucina, chi lo fa semplicemente per hobby e chi, come Željko Zgrablić, lo fa per la ricerca. Željko, infatti, è un micologo di campo, uno scienziato esperto di funghi, e insieme al suo Lagotto romagnolo Masha studia da trent'anni tartufi per tutta la Croazia. Il ricercatore vorrebbe approfondire le sue conoscenze sui tartufi per poter escogitare efficaci interventi di conservazione ambientale. Com'è possibile, però, che la caccia a questo prezioso fungo possa aiutarci a salvare gli habitat in pericolo? Per rispondere a questa domanda è necessaria una piccola panoramica sul delizioso ingrediente che condisce molti nostri piatti.

Le specie di tartufo sono centinaia, alcune di queste edibili e ingredienti principe di molte ricette. Ciò che noi chiamiamo comunemente tartufo, in realtà, è il così detto "corpo fruttifero" o "sporoforo", ovvero la parte di un fungo dal quale si generano le spore che daranno vita ad altri funghi, appartenente a una divisione chiamata "Ascomycota". Questi spesso sono in simbiosi con le radici degli alberi seguendo una modalità molto particolare: i funghi possiedono numerosi filamenti cellulari chiamati "ife" che si congiungono in più punti con le radici degli alberi circostanti. Questa associazione pianta-fungo vengono chiamate "micorrize" ed entrambi gli organismi traggono grande vantaggio da esse. Sono diverse le specie vegetali con cui più frequentemente si associano i tartufi, tra cui querce, pini, salici, pioppi, carpini, tigli e molte altre. Fra il fungo e la pianta c'è un continuo scambio di nutrienti e sono numerosi gli studi che testimoniano come le piante che presentano associazioni con i funghi sono più competitive e, in generale, più in salute, tra cui, fra i più recenti, uno pubblicato su ScienceDirect riguardo la positiva interazione fra funghi e ulivi.

Sfortunatamente non si sa ancora molto sulle condizioni ambientali che permettono ai tartufi di crescere. Dov'è possibile trovarli con più probabilità? Sarebbe possibile coltivarli efficacemente? È possibile creare delle micorrize con le piante coltivate per renderle più resistenti? Riuscire a rispondere a queste domande potrebbe rivelarsi estremamente utile ed è qui che entrano in gioco la passione di Željko Zgrablić e il fiuto del suo cane Masha.

Željko Zgrablić non è un pet mate come tutti gli altri. È un ricercatore del Ruđer Bošković Institute, istituto di ricerca di Zagabria in Croazia, ed è inseparabile dal suo cane da tartufo Masha. Da oltre trent'anni si occupa di studiare i tartufi per tutta la nazione, affidando alla sua fedele compagna di ricerca il compito di scovarli. Sicuramente Željko non poteva scegliere un cane migliore. Il Lagotto romagnolo è un’antica razza italiana che ha le sue origini nelle zone paludose sulle foci del fiume Po e per il suo incredibile fiuto e il carattere estremamente collaborativo è un cane perfetto per la caccia al tartufo.

Scoprire tutto sui tartufi sembra essere la missione principale di questo ricercatore croato. In un articolo pubblicato su Nature afferma che piantare tartufi in alcuni habitat naturali potrebbe essere un'ottima soluzione per ridurre alcune pressioni che insistono su di essi. Se si riuscisse con una certa efficacia a far nascere simbiosi fra funghi e piante, infatti, queste potrebbero affrontare più facilmente stress ambientali, primo fra tutti il cambiamento climatico. In particolar modo, Željko sta provando a far crescere il tartufo nero, cercando di inoculare le sue spore nei pressi degli alberi con cui solitamente effettua micorrize, studiando il giusto quantitativo di acqua necessario e tenendo alla larga i cinghiali, ghiotti anche loro di questa prelibata leccornia.

«Stiamo usando il DNA barcoding per identificare i funghi nel terreno dalle loro spore in diverse aree protette. Inoltre, stiamo scoprendo che ci sono spesso molte più specie presenti di quanto si pensasse in precedenza» afferma Željko nell'articolo. Il DNA barcoding è una tecnica usata in biologia molecolare per identificare l'identità degli organismi biologici grazie all'analisi di un piccolissimo campione di DNA.

«Poter riconoscere ciascun organismo sulla base di codici univoci che ci permettono con poco sforzo di ottenere la giusta identificazione non ha prezzo. Tale tecnica rientra tra i metodi più usati nella branca della biologia denominata sistematica molecolare e utilizza un piccolo frammento di DNA come marcatore molecolare (molecola facilmente riconoscibile NDR)», spiega a Kodami Matteo Garzia, dottorando all'Università degli Studi dell'Aquila che si occupa proprio di utilizzare questa tecnica ogni giorno. Grazie a questa analisi veloce ed economica è possibile distinguere qualsiasi organismo vivente, anche all'apparenza uguali. Per intenderci, è come se ogni essere vivente possedesse un codice a barre che è possibile scansionare per sapere di che specie si tratta.

Riguardo a come questa ricerca potrà essere utile per salvaguardare le foreste Željko scrive: «I nostri confronti di aree con e senza tartufo potrebbero aiutare a rivelare perché crescono in alcune zone e non in altre. Il nostro lavoro sta anche contribuendo a mostrare l'importanza della biodiversità in luoghi come le isole adriatiche del Parco Nazionale di Brioni».

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