«In molti luoghi del mondo i cani sono i migliori amici dell'uomo, ma in Spagna un'antica tradizione vede i Galgo come animali da sfruttare, maltrattare e uccidere al termine della stagione della caccia». Queste sono le parole del testo che accompagna il video sulle piattaforme di distribuzione. Il documentario, prodotto da Yeray Lòpez Portillo, é stato realizzato grazie ad un'azione di crowdfunding che ha raccolto oltre 43 mila euro e racconta la sua storia a partire dal giorno in cui ha ha deciso di adottare un cane. Il risultato è Yo Galgo, ovvero un viaggio di oltre 4 anni alla scoperta del destino degli animali di questa razza, tanto elegante quanto delicata, e dei galgueros spagnoli, allevatori che molto spesso non si creano scrupoli ad eliminare i propri animali se inadatti alla caccia, alle corse o ai combattimenti.
Bacalao salva la vita di Yeray e lo spinge a scoprire e raccontare la sofferenza dei Galgo
«È facile sentirsi sedotti dalla Danimarca, quello che chiamano il paese più felice del mondo, eppure un giorno qualcosa si ruppe dentro di me. Ero triste, ma gli amici mi ripetevano di non tornare in Spagna, il mio paese d'origine, e di restare in Scandinavia, di fare esercizio e smettere di pensare alla morte. Mi ripetevano continuamente di adottare un cane per avere più compagnia e così dopo due anni decisi di ascoltare i loro consigli e di adottare un un Galgo. Ecco come è iniziato il viaggio che mi ha cambiato per sempre la vita».
Yeray Lòpez Portillo, autore e protagonista del documentario, racconta così le motivazioni che lo hanno spinto ad adottare Bacalao, il cane che effettivamente lo aiuterà a risollevarsi: «Improvvisamente non ero più ossessionato dalle difficoltà della mia vita, ma pensavo continuamente alle leggende che avevo sentito riguardo questi cani. Mi chiedevo se la tristezza delle loro vite fosse un fatto reale. Non riuscivo a smettere di pensare a cosa sarebbe stato di Bacalao se non fossi arrivato io, in che mani sarebbe finito, che vita avrebbe fatto». Ed è proprio per rispondere a queste domande che Lòpez Portillo dà inizio al percorso che lo porterà a ricostruire la storia della razza spagnola da epoche in cui rappresentava un simbolo di nobiltà fino a oggi.
Tempi terribili quelli moderni, in cui i cani detti "figli del vento" vengono considerati strumenti di lavoro, privi di anima, privi di diritti, utilizzati fino allo sfinimento, finché le zampe smettono di reggere e solo se compiono i loro doveri senza chiedere nulla. Finché non falliscono una competizione, una battuta di caccia oppure finché non muoiono di stanchezza, come è accaduto a Divina, una Galga raccontata da Pedro, il galguero intervistato dal regista: «Lei è stata due volte campionessa della Castilla y Mancha, ma un giorno il suo cuore non ha sopportato la corsa ed è morta inseguendo una lepre».
La morte di Divina però non è ciò che di più crudele ancora oggi può accadere ai levrieri iberici. Se un Galgo non è in grado di cacciare o non è all'altezza di partecipare alle competizioni di corsa infatti, il suo destino è ancora peggiore: questi cani vengono pugnalati, gettati nei pozzi o addirittura lasciati morire di fame di sete in una caverna lontana dal proprio territorio per evitare il rischio che ritornino alla loro famiglia.
Il risultato del viaggio di Yeray alla ricerca delle origini di Bacalao è quindi un crudo racconto, vietato ai minori di 13 anni, che non lascia nulla all'immaginazione ma affronta tutti i fattori di questo feroce e perverso sistema che riduce i levrieri spagnoli alla sofferenza continua. Come nel caso di Arnold, uno dei cani che l'autore ricorda più frequentemente, il quale pur di sopravvivere ha mangiato la sua stessa zampa prima di venire accalappiato e trasportato in uno dei centri di recupero presenti in tutto il Paese, in cui vengono curati e mantenuti in vita nonostante le sofferenze del loro passato.
«Il trattamento riservato ai Galgos è vergognoso, ripugnante e disumano»
«Il campo che vedi alle mie spalle è ricoperto di erba fino all'altezza delle mie anche, ma ti assicuro che è disseminato di scheletri di Galgos abbandonati e morti di fame pur di non avvicinarsi all'uomo. Le autorità ne sono a conoscenza, ma non fanno nulla. Trovo che questo sia vergognoso, ripugnante e disumano – racconta una delle volontarie intervistate da Lòpez Portillo, il cui volto rimane coperto per evitare ripercussioni da parte degli allevatori – Una notte si avvicinarono a me due persone con il passamontagna e mi dissero di smettere di prendermi cura dei Galgos. Fu quello il momento in cui compresi che tentando di salvare i cani stavamo davvero giocando con il fuoco. Proprio in quell'istante decisi che non avrei mai mollato».
Il motivo per cui avvengono queste atrocità è strettamente legato ad una legge più permissiva rispetto ad altri paesi europei. La Germania ad esempio ha abolito la caccia con i Galgo nel 1952, mentre il Belgio nel 1995, seguito dalla Scozia nel 2002 e poi dall'intero Regno Unito nel 2004. «Finché non cambieranno definitivamente le leggi anche in Spagna, i rifugi resteranno pieni di Galgo e i campi pieni di cadaveri – afferma Yeray verso la fine del documentario – Sono passati ormai quattro anni da quando ho iniziato ad ascoltare le storie di questi animali, ma nonostante l'orrore non ho mai perso la speranza che le cose cambino una volta per tutte. Ci sono migliaia di persone che lottano affinché il loro destino prenda un'altra forma».
La storia raccontata in Yo galgo, documentario vincitore del Genesis Award e del Brigitte Bardot International Award nel 2018, lascia davvero l'amaro in bocca sebbene si concluda regalando un accenno di sorriso. L'autore del documentario infatti, al termine delle riprese non è più accompagnato unicamente da Bacalao, ma a loro si è aggiunta anche Tzatziki, una cucciola di Galgo che insieme alla sua nuova famiglia correrà come il vento senza rischiare feroci esecuzioni.
Il documentario è disponibile a pagamento su diverse piattaforme tra cui Vimeo o Amazon prime.