Un'ordinanza che fa discutere quella della sindaco di Bolognola (MC), Cristina Gentili, che ha vietato di somministrare alimenti a cani e gatti randagi. Il divieto vale per qualsiasi tipo di scarto alimentare dato su aree pubbliche o aperte al pubblico e nel centro abitato.
L'ordinanda sindacale emanata a fine novembre stabilisce testualmente «il divieto di somministrare alimenti di qualsiasi natura in forma diretta o indiretta, ai gatti e cani, anche randagi su aree pubbliche o aperte al pubblico, centro abitato (case di civile abitazione e attività economiche), con espresso divieto di gettare granaglie, sostanze e scarti/avanzi alimentari».
Il provvedimento, inoltre, secondo quanto l'amministrazione dichiara «è stato reso necessario a seguito dell'aumento di soggetti anche nelle zone più centrali del paese fino ad arrivare in quantità incompatibili con l'ecosistema urbano. Vietare la somministrazione di cibo è un'azione volta a garantire l'igiene ed il decoro del suolo pubblico, nonché la tranquillità dei cittadini. Data anche la necessità di prevenire possibili ricadute sul piano igienico-sanitario derivanti dalla presenza di una popolazione considerevole di animali randagi in condizioni ambientali instabili».
Chiunque violi l'ordinanza dovrà pagare un'ammenda da un minimo di 25 euro ad un massimo di 500.
Sul caso è intervenuta l’Oipa che ritiene l’atto illegittimo, e dunque annullabile, poiché in evidente conflitto con la legge n. 281/91, con la legge della Regione Marche n.10/97 e con l’art.9 della Costituzione, ferme restando le norme igienico-sanitarie da rispettare. Il presidente Massimo Camparotto ha così commentato: «L’ordinanza è lesiva della tutela del benessere degli animali randagi presenti sul territorio e in più occasioni la giustizia amministrativa si è espressa annullando simili atti. Vedremo se il sindaco Gentili farà un passo indietro evitando il ricorso al Tar. In caso di ricorso e di eventuale accoglimento, il Comune potrebbe dover pagare anche per le spese di giudizio, con conseguente danno erariale».
In Italia non vi è nessuna legge che vieta ai cittadini di poter dare da mangiare agli animali randagi. La “legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo” (281/91) specifica che il controllo della popolazione dei cani e dei gatti avviene tramite i servizi veterinari delle unità sanitarie locali. Al comma 4 si specifica che: «I Comuni, singoli o associati, e le comunità montane provvedono al risanamento dei canili comunali esistenti e costruiscono rifugi per i cani, nel rispetto di criteri stabiliti con legge regionale e avvalendosi dei contributi destinati a tale finalità dalla regione».
Dunque, è dovere dei Comuni prevedere che la popolazione di animali randagi venga protetta in appositi centri sovvenzionati dallo Stato tramite un fondo nazionale istituito presso il ministero della salute nel 1991.
Si sono susseguite nel tempo diverse ordinanze di sindaci o regolamenti comunali aventi come scopo quello di vietare di dar da mangiare ai randagi. Ci si chiede se questi provvedimenti siano legittimi e se davvero si possa vietare ad un cittadino o ad un passante di offrire, anche solo sporadicamente, del cibo ad un animale randagio. La giurisprudenza dei tribunali amministrativi in più occasioni si è pronunciata su tali questioni. Dalle ordinanze e sentenze dei diversi TAR è emerso con chiarezza il concetto secondo cui sono illegittimi quei provvedimenti amministrativi locali che vietano la condotta di alimentare i gatti liberi e i randagi in generale.
Di recente, il Tar Campania, con l’Ordinanza n. 958 del 2018 ha spiegato come l’interesse pubblico di voler evitare il verificarsi di situazioni nocive dal punto di vista igienico-sanitario non può e non deve essere perseguito con il divieto di alimentazione dei randagi. Esistono già, infatti, delle specifiche norme che rendono illecite le condotte di deturpamento o imbrattamento del suolo pubblico e quelle che causano problematiche di natura igienico-sanitaria.