L’obiettivo è quello di «evitare il degrado ambientale e sanitario causato dall'eccessiva presenza di volatili, cani e gatti in alcuni quartieri del nostro paese» e per farlo l’unico modo secondo il sindaco Mario Cicero è vietare di sfamare cani, gatti e volatili nelle aree pubbliche. Non solo un’ipotesi quella della primo cittadino di Castelbuono, in provincia di Palermo, il quale è passato direttamente ai fatti emanando un’ordinanza nelle quale c’è scritto esattamente questo con l’aggiunta di una sanzione da 25 a 500 euro per chi non rispetterà la regola.
Per la precisione, il Sindaco ordina, testualmente: «Il divieto di somministrare alimenti di qualsiasi natura, anche sterilizzanti, in forma diretta o indiretta, a volatili, cani e gatti randagi su aree pubbliche o aperte al pubblico, centro urbano e zone limitrofe, Parco Rimembranze e Parco S. Croce, con espresso divieto di gettare granaglie, sostanze e scarti/avanzi alimentari». Un provvedimento contro il quale l’Oipa, l'Organizzazione internazionale protezione animali ha presentato immediatamente un’istanza di revoca in autotutela ritenendolo «del tutto illegittimo e dunque annullabile perché in conflitto con con la Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo, con la legge della Regione Sicilia n. 15/22 e con l’art.9 della Costituzione».
«È assurda questa ordinanza, perché è chiaramente lesiva della tutela del benessere degli animali randagi presenti sul territorio e in più occasioni la giustizia amministrativa si è espressa annullando simili atti. Vedremo se il sindaco Cicero farà un passo indietro evitando ricorsi al Tar» aggiunge «peraltro, in caso di ricorso e di eventuale accoglimento, il Comune potrebbe dover pagare anche per le spese di giudizio, con conseguente danno erariale».
Successe già negli anni Novanta che il Consiglio di Stato in sede consultiva (Sez. III, parere 16 settembre 1997, n. 883), precisasse che «nessuna norma di legge fa divieto di alimentare i randagi nei luoghi in cui essi trovano rifugio». E più recentemente, anche il Tar della Puglia, sempre su ricorso di Oipa ed Earth, l'associazione per la tutela giuridica della natura e dei diritti animali, ha annullato un’ordinanza del Comune di Panni in provincia di Foggia nella parte in cui vietava ai cittadini di alimentare i cani vaganti nelle aree pubbliche o aperte al pubblico.
Anche questa volta Oipa interviene «per fermare un’azione crudele ma soprattutto illecita» consigliando al Comune di Castelbuono, di scegliere un’altra strada per garantire decoro e igiene sul suolo pubblico: «Ma come si fa ad agire con metodi spicci e illegittimi, oltre che eticamente molto discutibili. Non dobbiamo certo dirlo noi che forse sarebbe meglio predisporre punti di somministrazione di concerto con i volontari e pensare semmai a potenziare i controlli per evitare l’abbandono di rifiuti» continua Comparotto.
Il Sindaco ha replicato dicendo che «non intendo affamare nessuno ma che ci sono quartieri nel degrado, pieni di escrementi e troppi gatti in alcune zone e i residenti si lamentano» aggiungendo che comunque «stiamo cercando, con un'associazione animalista di Castelbuono, di individuare quattro o cinque punti, in zone più periferiche, in cui sarà possibile sfamare i randagi».
Cicero dovrebbe pensare a metodi, ma soprattutto a parole un po’ meno forti di quelle inserite nell’ordinanza. Per risolvere le questioni che riguardano la convivenza umani – cani nelle città, indipendentemente da questo caso, è sempre buona cosa confrontarsi con le associazioni animaliste che operano sul territorio perché sono proprio loro ad avere maggiormente il polso di quello che succede per quanto riguarda abbandono e randagismo, per esempio. Non c’è giorno, soprattutto al Sud purtroppo, che i volontari non recuperino animali di cui qualcuno ha voluto disfarsi, cani che vanno a sovraffollare i rifugi e che sopravvivono solo grazie all’aiuto di poche persone che se ne interessano, dimenticati troppo spesso anche dalle istituzioni.
Il rapporto LAV 2022 parla chiaro: c’è un esercito di 600 mila cani randagi in Italia e più di 2 milioni e mezzo di gatti. E dei 69.171 cani presenti nei canili il 61% si trova nel Sud e nelle Isole. Davanti a questi numeri molte Amministrazione chiudono gli occhi, quando invece dovrebbero tenerli ben aperti per guardarsi intorno e scoprire che un modello che questa cattiva prassi l’ha scardinata esiste.
Si trova a Vieste e altro non è che un esempio e una vittoria per tutti i volontari: si chiama “Progetto zero cani in canile” ed è una modalità di gestione del randagismo pensata su basi nuove che finalmente ribalta il paradigma secondo il quale l’unico modo per combatterlo sia quello di catturare i cani e di rinchiuderli dentro un canile, spesso in attesa di adozioni che non arriveranno mai.
A lanciarlo nel comune pugliese grazie all’aiuto della Lega Nazionale per la Difesa del Cane, Francesca Toto, un’esperta di marketing che è riuscita a dare vita a un sistema in grado di coinvolgere persone, organizzazioni, aziende e non ultimo amministrazioni pubbliche. Si tratta di un progetto gratuito e basato su cinque azioni fondamentalmente: educazione e formazione nelle scuole, sterilizzazione, profilassi e cure, adozioni e integrazione dell’animale nel tessuto sociale, costituzione di una task force di controllo, gestione e conversione dei canili in oasi polifunzionali. Un’iniziativa adattabile a tutte le realtà territoriali tanto che, dopo il risultato ottenuto nella zona garganica dove dall’inizio del progetto il fenomeno del randagismo è diminuito notevolmente, è già stato esportato in altre zone del Sud.