Con l’ordinanza n. 1823 del 2023 la Corte di Cassazione ha stabilito il principio secondo cui i giudici civili hanno facoltà di limitare il numero di cani, e più in generale di animali, che vivono con una persona nella sua abitazione qualora questi arrechino disturbo mediante rumori o odori eccessivi. Si tratta di una decisione che lascia perplessi e ci si interroga se questo sia davvero l’unico strumento possibile, se sia proporzionato e se sia realmente l’unico strumento idoneo ad offrire giustizia ai danneggiati.
La vicenda processuale
Prima di proporre alcuni ragionamenti riguardanti la recente ordinanza n. 1823 del 2023 della Cassazione civile, pronuncia molto particolare, è importante descrivere i fatti che hanno condotto alla decisione. Fatti che hanno spinto talune persone ad agire nei confronti di una vicina di casa, risultata all’esito del processo – questo va detto con chiarezza – tutt’altro che rispettosa. Nello specifico, ben sette persone hanno agito nei confronti di una loro confinante, lamentando la sussistenza di costanti rumori e di persistenti cattivi odori provenienti dall’immobile e per le immissioni causate dalla presenza di un considerevole numero di cani e gatti ivi accuditi.
In seguito a due procedimenti cautelari d’urgenza, si è giunti dinanzi al Tribunale di Nola per il giudizio di merito. Il Giudice di primo grado ha accolto tutte le domande dei confinanti, condannato la donna a ridurre il numero dei cani custoditi a non più di sei e al pagamento in favore di ciascuno dei vicini della somma di 2.000 euro a titolo di risarcimento del danno.
La donna ha proposto appello avverso la decisione sfavorevole ma anche la Corte d’Appello di Napoli ha rigettato le sue richieste e confermato la condanna. Si è giunti, infine, in Cassazione. La Suprema Corte ha rigettato ulteriormente il ricorso e confermato le decisioni dei due gradi di merito.
Ci troviamo, dunque, di fronte a una sentenza definitiva di un giudice civile che, oltre a condannare la donna per risarcimento del danno, di ben 14.000 euro complessivi, per rumori e odori oltre la normale tollerabilità, ha statuito in merito al numero massimo di animali che la stessa potrà detenere da ora in avanti: soli sei cani, seppur in un terreno di oltre tremila metri di superficie.
Alcuni principi rilevanti dettati dalla sentenza
La sentenza in discorso merita certamente una – pur breve – analisi complessiva, perché ha dettato in materia di immissioni (rumori, odori, scuotimenti, ecc.) alcuni principi piuttosto rilevanti, anche in proiezione futura. Questi temi sono certamente utili per tutti coloro che assumono la responsabilità di accudire uno o più animali.
In primo luogo la Corte ha chiarito come in tema di rumori o odori oltre la tollerabilità media, la prova non debba essere necessariamente fornita attraverso strumenti tecnici; è ammissibile anche una dimostrazione mediante testimoni (ripulita, ovviamente, da valutazioni personali di questi). Ancora, ai fini della dimostrazione di una lesione del diritto al riposo notturno e alla vivibilità della propria abitazione non si deve necessariamente dimostrare un concreto ed effettivo cambiamento delle abitudini di vita, ma è sufficiente una prova mediante presunzioni. Altro principio molto importante è quello secondo cui la lesione dei diritti al normale svolgimento della vita familiare nella propria abitazione e alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane costituisce danno non patrimoniale risarcibile, ove dimostrata, anche in assenza di un danno biologico.
Arriviamo a questo punto al fulcro: per la Cassazione i giudici avrebbero facoltà, come è accaduto nel caso di specie, di limitare il numero di cani, o più in generale, di animali detenuti da un pet mate qualora questi arrechino disturbo mediante immissioni, ovvero rumori o odori eccessivi.
In proposito, in verità, la Corte si è limitata a richiamare il principio generale secondo cui «la domanda di cessazione delle immissioni che superino la normale tollerabilità non vincola necessariamente il giudice ad adottare una misura determinata, ben potendo egli ordinare l'attuazione di quegli accorgimenti che siano concretamente idonei a eliminare la situazione pregiudizievole».
Qualche riflessione sulla sentenza
La Cassazione civile, come appena visto, ha avallato la decisione del Tribunale e della Corte d’Appello di stabilire – in caso di rumori o odori che vadano oltre la normale tollerabilità – un numero massimo di animali che si possano detenere in casa. Nel caso concreto massimo sei cani in un’area di circa tremila metri quadrati.
Premettendo che ritengo sacrosanto il diritto di chiunque di non vedere disturbato il proprio riposo da rumori e odori causati da una cattiva gestione degli animali accuditi: credo che nessuno più di me abbia in questi anni tentato di sensibilizzare sull’importanza del rispetto delle regole della convivenza tra vicini, anche quando si tratta della gestione degli animali domestici. Sono quindi pienamente favorevole alla statuita condanna al risarcimento del danno e sarei stato anche d’accordo con una condanna ad un pesante obbligo di fare (es. ripulire il terreno e organizzare gli animali in modo da non creare più disturbo), con penali in caso di mancata ottemperanza. Avrei anche compreso interventi più drastici a seguito di un mancato rispetto di detti obblighi.
Mi interrogo, invece, sulla validità e sulla legittimità dello strumento prescelto in prima battuta e sulla competenza del giudice civile in merito. Mi spiego meglio: la Cassazione giustifica le scelte di Tribunale e Corte d’Appello affermando che il giudice ben possa adottare gli accorgimenti che siano concretamente idonei a eliminare la situazione pregiudizievole. Orbene, allontanare degli animali dal proprio pet mate come primo passo ed in via definitiva è davvero l’unico strumento disponibile? Risulta davvero il più idoneo? Soprattutto risulta proporzionato? Il giudice civile è l’autorità che può o deve assumere una tale decisione?
Come ho già avuto modo di spiegare qui su Kodami in merito a quanti animali sia possibile tenere in casa, non esiste a livello nazionale alcuna norma che stabilisca un numero massimo di animali. In caso di rumori e odori molesti esistono già altri strumenti di intervento: la forza pubblica può interrompere accertate fattispecie di reato; l’autorità giudiziaria può disporre un sequestro temporaneo di animali troppo rumorosi o detenuti in condizioni incompatibili con la loro natura. Come si è visto, ad esempio, nei casi in cui il nostro cane sporca nel giardino del vicino, ancora più noto il caso del docente che si è interrogato sull'esistenza del reato di stalking in caso di cani che abbaiano incessantemente. Anche il Comune può emanare delle ordinanze urgenti, in caso di pericoli igienico-sanitari, disponendo l’allontanamento temporaneo degli animali al fine di rimediare alla situazione in essere, ad esempio vietando di tenere gatti in casa. Se la persona soffre di una qualche patologia da accumulo vi sono ancora ulteriori possibilità, come nei casi di animal hoarding.
Insomma, esistono svariati modi adeguati ed idonei a interrompere una situazione certamente illecita e di grande disturbo per i terzi. Ma mi chiedo e vi chiedo: lo è altrettanto una limitazione numerica stabilita arbitrariamente da un Tribunale civile chiamato a verificare il superamento della soglia di rumori e odori tollerabile? In base a quale criterio si è ritenuto corretto il numero di sei cani su una superficie di tremila metri quadrati? E se detta superficie fosse stata di trecento metri quadrati? Perché soli sei cani e non sette in una così vasta superficie? Perché non cinque allora? Si è valutato se la donna sia nelle condizioni di detenere in maniera corretta anche quei soli sei cani?
Come al solito mi pare emerga dalla pronuncia una visione semplicistica e materialistica dell’animale e del suo rapporto affettivo con il proprio custode umano. La scelta di un criterio meramente numerico non considera il fatto che ogni singolo cane allontanato in via definitiva sia un essere senziente e che lo stesso possa patire per l’imposto distacco definitivo dal proprio pet mate.
Per ora non possiamo che lasciare aperti i nostri dubbi. La questione è certamente complessa e, lo ricordo, siamo di fronte ad una sola sentenza e non ad una norma. Per quanto le decisioni della Cassazione dettino un indirizzo a tutti gli altri giudici, possono essere superate in ogni momento da una pronuncia contraria. Attendiamo evoluzioni e vedremo se si tratterà di una scelta isolata o meno. Personalmente scelgo la prima ipotesi.