A novembre 2024 a Berkeley, nel Sud della California, gli elettori potranno scegliere se vietare per sempre che gli allevamenti intensivi vengano costruiti in città. Al momento, infatti, non c'è una legge che impone il divieto di espansione o costruzione di nuovi CAFO ("Concentrated Animal Feeding Operations") ovvero gli allevamenti intensivi ed è per questo che con la proposta di legge intitolata “No More Factory Farms Berkeley” viene chiesto attraverso un referendum di cambiare l'ordinamento comunale della città.
L'iniziativa è portata avanti dagli attivisti del comitato Direct Action Everywhere e Compassionate Bay che hanno organizzato campagne informative in giro per la città per portare il tema all'attenzione dell'amministrazione.
Nello specifico, gli attivisti spiegano che i CAFO sono una delle principali cause di distruzione ambientale, pongono gravi rischi per la salute pubblica, in essi vengono maltrattati e uccisi animali e spesso creano condizioni pericolose e di sfruttamento per i lavoratori. Al momento questa proposta è pensata solo per la città di Berkeley ma si spera così di innescare cambiamenti simili in tutta la California e non solo.
Anche a Denver, in Colorado, questo novembre si metterà al voto una proposta simile a quella promossa da Berkeley per vietare i macelli e la vendita di pellicce. Se verrà approvata un macello di agnelli chiamato "Superior Farms" dovrà chiudere per sempre. Anche nella contea di Sonoma, nel nord della California, i sostenitori stanno cercando di far votare una misura simile, ma l’iniziativa è più difficile da portare avanti per la presenza di una grande azienda che produce pollame e uova.
Come riportato dal "The Guardian" il 90% del bestiame negli Stati Uniti viene tenuto in allevamenti intensivi e solo nel 2020 gli Stati Uniti, secondo un'indagine dell' EPA (Agenzia statunitense per la protezione dell'ambiente), avevano circa 21.465 CAFO documentati. Ma sembra esserci voglia di cambiamento: un sondaggio del 2019 ha mostrato che il 57% dei probabili elettori statunitensi sostiene una maggiore supervisione sugli allevamenti di animali e il 43% afferma di sostenere il divieto di nuove strutture.
La produzione degli allevamenti intensivi è nata negli anni 60 del secolo scorso, quando ad un maggior consumo di carne è derivata una maggior produttività. Ma se da un lato si permette di soddisfare la richiesta dei consumatori, numerose questioni etiche mettono in discussione questa pratica. In primis, tra tutte, la questione del benessere animale: gli animali vivono ammassati o, peggio ancora, rinchiusi in gabbie e i ritmi produttivi sono serrati e incalzanti. La loro aspettativa di vita è notevolmente ridotta.
L’allevamento intensivo ha anche un forte impatto negativo sull’ambiente: gli animali allevati in maniera intensiva sono nutriti con alimenti come cereali, legumi o pesce che potrebbero essere destinati al consumo umano e anche il consumo di acqua è smisurato. Per non parlare dei danni causati dal gas serra o dei i liquami reflui che se non smaltiti correttamente portano ad un impoverimento delle terre circostanti.
Generalmente le specie animali principalmente allevate con questa metodologia sono i suini, i bovini da carne e le vacche da latte, i polli e le galline, i conigli, i tacchini, gli agnelli, e anche i pesci. Nel mondo, ad esempio, circa il 40% del pesce consumato dalle persone è oramai allevato intensivamente.