Usare i propri genitali come una spada per perforare gli aggressori non è certamente la prima cosa che ci viene in mente parlando di autodifesa, ma ancora una volta bisogna capovolgere il nostro punto di vista. Non parliamo degli esseri umani ovviamente, ma di una recente ricerca che mostra come in alcune vespe muratrici i maschi, essendo sprovvisti di pungiglione, utilizzano i propri genitali spinosi per pungere i predatori.
La scoperta, come spesso accade in questi casi, parte da un'osservazione della realtà. La ricercatrice giapponese Misaki Tsujii diversi anni fa ha osservato come alcune vespe muratrici Anterhynchium gibbifrons volteggiassero davanti a lei. Alzava e abbassava lo sguardo per guardarle mentre prendeva freneticamente appunti sul suo taccuino. Fu in quel momento che una di loro volò su una mano della studiosa e interruppe il suo scrivere forsennato per guardare affascinata l'insetto: era un maschio che, dopo aver zampettato timidamente su un dito, la punse provocandogli un forte dolore. Non sappiamo se fu più forte il dolore della puntura o la curiosità, ma in ogni caso in quel momento la scienziata venne assalita da un feroce dubbio: come è possibile essere punti da quell'individuo se i maschi della specie non hanno il pungiglione?
Una domanda che ha portato la ricercatrice a studiare a fondo il comportamento difensivo dell'insetto. Ecco così che nasce uno studio che è stato pubblicato recentemente sulla rivista Current Biology da Tsujii e un suo collega della Kobe University, in Giappone.
Com'è fatto un pungiglione e qual è la sua storia evolutiva
La "spada-gentiale" dei maschi di questa specie, dunque, vorrebbe in qualche modo emulare il pungiglione tipico delle femmine. Questa struttura è un organo che si trova solitamente negli artropodi ed è generalmente usato come difesa da eventuali disturbatori. Alcuni insetti possiedono anche veleni più o meno potenti e l'essere perforante permette al pungiglione l'iniezione della pericolosa sostanza sotto l'epidermide aumentandone l'efficacia.
Quando un animale velenoso ci punge alcuni elementi specifici del veleno, come delle proteine, possono provocare una reazione allergica che, a sua volta, produce lesioni cutanee che possono variare da un piccolo prurito a grandi infiammazioni o addirittura shock anafilattico e morte. Il veleno viene prodotto da ghiandole apposite che secernono una tossina di cui però spesso si ignora la composizione chimica.
Mentre la stragrande maggioranza degli insetti ritira i loro pungiglioni una volta avvenuto il contatto come Anterhynchium gibbifrons, altri perdono la struttura, e a volte anche parte dell'addome, all'interno della ferita come per alcune specie di api, ma non tutte. Delle 20.000 specie di questi insetti in tutto il mondo, infatti, solo 6.000 sono conosciute per avere un pungiglione la cui conformazione spinata non permette all'animale di tirarlo fuori una volta penetrato nella cute. Le vespe, invece, hanno pungiglioni quasi sempre lisci con l'eccezione di due specie, Polybia rejecta e Synoeca surinama.
Evolutivamente parlando il pungiglione ha una storia piuttosto curiosa. Le femmine in molte specie di insetto possiedono alla fine dell'addome una particolare struttura chiamata ovopositore, un organo che serve per la deposizione delle uova su un substrato. Essendo spesso la struttura piuttosto voluminosa, nel corso dei millenni le femmine si sono spesso ritrovate a doversi difendere dai predatori tramite questa struttura e quelle che possedevano un ovopositore particolarmente appuntito risultavano più avvantaggiate. Così sono sopravvissute soprattuto le specie le cui femmine sviluppavano ovopositori sempre più dannosi, trasformandosi in certi casi nei pungiglioni che conosciamo oggi.
I genitali acuminati della vespa
Non bisogna percorrere una grande distanza evolutiva, dunque, e per quanto riguarda la scoperta dell'università giapponese rimaniamo sempre in tema di genitali e pungiglioni. Dopo essere stata punta dalla vespa, infatti, Misaki Tsujii ha voluto verificare come avesse fatto. Dunque si è messo a osservare sia il comportamento difensivo di questo animale, che quello di accoppiamento notando come utilizzasse in entrambi i casi lo stesso organo: i suoi genitali.
Un'attenta osservazione microscopica dell'organo ha rivelato che sono presenti su di esso un paio di spine acuminate utili per perforare la cute, che a differenza del pungiglione delle femmine non sembrano emettere veleno. Sulla base della sua esperienza e osservazioni, quindi, la ricercatrice ha ipotizzato che i genitali maschili di questa specie funzionano come una difesa anti-predatore e per testare l'ipotesi provò a osservare come questi insetti reagiscono difendendosi.
La studiosa spese molte ore guardando gli animali difendersi da alcuni anfibi loro predatori come la rana Pelophylax nigromaculatus. Nello studio considerò sia i metodi di difesa delle femmine che quelle dei maschi, constatando come in entrambi i casi gli insetti riuscissero ad allontanare il predatore, i maschi a colpi di spada-genitale e le femmine tramite il pungiglione. Comparando i due sistemi di difesa la ricercatrice conferma come il pungiglione delle femmine sia comunque il metodo più efficace di difesa, ma ciò non toglie come anche i maschi abbiano dato del filo da torcere alle rane affamate.
Dunque, ancora una volta gli insetti ci aiutano a capovolgere il nostro sguardo antropocentrico mostrando come gli adattamenti del mondo naturale siano infinitamente meravigliosi. Ci permettono di guardare delle strutture che tipicamente pensiamo siano solo collegate alla riproduzione, mentre in realtà possono possedere anche scopi diversi. Questa presunzione viene solo dalla nostra limitata visione di esseri umani e osservare gli insetti con questa cognizione, forse, potrebbe aiutarci proprio a sviluppare del prezioso "lateral thinking", ovvero l'idea che un modo di pensare non è detto sia migliore di un altro.