Alcuni ricercatori dell"Università dell'Australia occidentale che stanno partecipando ad un progetto pluriennale di esplorazione oceanografica hanno appena diffuso in Rete dei video che riprendono la vita all'interno della fossa oceanica delle Izu-Ogasawara, in Giappone. Fra le immagini catturate c'è anche la scoperta di una nuova specie di "pesce lumaca" che hanno chiamato Pseudoliparis belyaevi.
Questo animale visivamente ricorda un mollusco strappato alla sua conchiglia o anche un girino. Ciò che bisogna però sottolineare riguardo all'avvistamento è che secondo le attuali conoscenze scientifiche la nuova popolazione possiede un record: i pesci di questa comunità risultano infatti essere quelli che nuotano più in profondità in tutto il mondo, a 8.336 metri sotto al livello nel mare.
Per catturare le immagini e presentarle al grande pubblico, gli scienziati hanno dovuto impiegare dei sommergibili speciali senza equipaggio, dotati di telecamere che resistono ad altissime pressioni (800 volte superiori rispetto a quella presente al livello del mare) e dei bracci robotici, utili per catturare l'attenzione dei pesci tramite delle esche.
Di superficie liscia e colore biancastro, gli animali osservati in Giappone nuotavano poco lontano dai resti scarnificati di un grade mammifero marino e, secondo gli esperti, probabilmente all'interno dell'ecosistema assolvono al ruolo di spazzini. Tramite le riprese è stato anche possibile misurare la lunghezza media della specie, di circa 11 centimetri, e si è compreso che gran parte della popolazione è formata da esemplari ciechi, dotati però di un grande senso dell'olfatto.
Il professor Alan Jamieson, capo della spedizione, ha dichiarato che la motivazione principale che ha spinto il suo team ad esplorare il mare e a fotografare nuovi organismi è stato il generale disinteresse che molte persone sembrano possedere nei confronti delle creature che vivono nelle profondità oceaniche. Per quanto infatti tali habitat siano importanti da un punto di vista ecologico e presentino una biodiversità unica, difficile da osservare in altri contesti, i ricercatori che dedicano il loro tempo alle specie che li abitano sono la minoranza.
«Se guardi un mappamondo, ti renderai conto che le profondità oceaniche sono il 65-70% dell'intera superficie della Terra e che solo il 5% di esse sono state esplorate. Quindi ci si aspetterebbe che siano in molti tra gli scienziati e gli esploratori a voler visitare questi luoghi – ha spiegato Jamieson, che si è avventurato più volte sott'acqua oltre i 10.000 m – Eppure persino gli zoologi più rinomati, essendo maggiormente attratti dalle terre emerse, trascurano volontariamente gli organismi che vivono al di sotto dei 150 m dalla superficie del mare».
Una mancanza scientifica che secondo il team di ricerca nasconde un'esigenza dell'attuale mondo della ricerca: giustificare solo le spese di quei progetti che promettono dei risultati potenzialmente utili e "vendibili" alla stampa.
Per quanto trascurate o di difficile attuazione, secondo gli scienziati australiani esistono tuttavia nuove ragioni che spingeranno i loro colleghi in futuro a dover effettuare un maggior numero di studi sulle comunità animali degli abissi. Le profondità oceaniche sono difatti influenzate dall'uso che l'umanità sta facendo del mare e il loro abbandono potrebbe portare a conseguenze devastanti sugli altri ecosistemi, qualora non si riuscisse a capire meglio gli abissi.
Se continuiamo per esempio a usare le spiagge come una discarica, le profondità subiranno degli effetti che si ripercuoteranno sulla pesca. Se non dovessimo invece riuscire a limitare l'inquinamento da plastica in superficie, i sedimenti oceanici cominceranno ad accumulare sempre di più veleni.
Jamieson ha aggiunto che gran parte del timore reverenziale nei confronti degli abissi di cui soffre la società è dovuto proprio all'inesperienza che l'umanità possiede nei confronti del mare. Spera così che l'umile pesce lumaca faccia luce sull'ignoto e permetta di capire che bisogna esplorare anche le parti più oscure del nostro mondo, perché ne va della nostra salute. «Nessuno si chiede perché le persone vogliono andare nello spazio, ma si chiedono sempre perché c'è qualche pazzo come me che vuol andare in fondo all'oceano – conclude l'esperto – Eppure è semplice capire perché lo facciamo: conosciamo così poco del nostro oceano che dovremmo preoccuparci di più dei danni sconosciuti che abbiamo provocato al suo fondale, piuttosto che dei costi necessari per esplorarlo».