KODAMI ZOOM
episodio 13
9 Aprile 2023
7:10

Perché non dovremmo mangiare l’agnello a Pasqua? Una tradizione senza significato

Per i Cristiani, mangiare l’agnello a Pasqua sarebbe un modo per ricordare il sacrificio fatto da Cristo. Eppure, anche Papa Benedetto XVI ha spiegato che non c'è nessuna motivazione teologica dietro questa tradizione. Vogliamo davvero insistere con questa terribile mattanza, che persino la Chiesa considera priva di significato?

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Ma quanto agnello si mangia a Pasqua? Nel 2020 sono stati macellati circa 2 milioni di agnelli, di cui 300 mila nel solo periodo di Pasqua. Osservate bene il grafico 1. Vedete? Nel 2010 venivano macellati più di 4 milioni e mezzo di agnelli: oggi sono praticamente la metà. Ma cos’è cambiato in questo lasso di tempo?

Certamente le battaglie degli animalisti hanno fatto presa sull'opinione pubblica. «Mangeresti mai un neonato?» è lo slogan che sentiamo ripetere più spesso quando si parla di mangiare l’agnello a Pasqua. La questione però è più complessa di così.

È vero: prima di finire in tavola gli agnelli vivono pochissimo. Parliamo di un minimo di 3-4 settimane fino a 4-6 mesi prima di essere macellati, dipende dal tipo di carne che si vuole ottenere. Ma questo discorso non vale mica solo per gli agnelli. Pensate ai polli, che vivono in media 40/50 giorni, o ai conigli che invece vivono circa 90 giorni prima di essere uccisi.

È il destino di tutti gli animali d’allevamento: vivere molto (ma molto) meno di quella che è la loro reale aspettativa di vita. Il punto della questione è anche un altro: cosa succede se la richiesta di carne è più alta del normale, come appunto a Pasqua? Che conseguenze subiscono gli animali quando c’è bisogno di produrre tonnellate di carne in pochi giorni?

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grafico 1

Perché si mangia l'agnello a Pasqua?

Partiamo dall’inizio: i cristiani lo mangiano perché è un modo per accogliere dentro di sé Cristo, in quanto «l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo». Sono le parole con cui Giovanni il Battista descrisse la figura Gesù: nella cultura giudaica l'agnello rappresentava la purezza e la fragilità di fronte al male. E così sarà Gesù al momento della crocifissione.

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Quindi, mangiare l’agnello a Pasqua sarebbe un modo per ricordare il sacrificio fatto da Cristo. Eppure, nei Vangeli non si parla in maniera esplicita e ricorrente di sacrifici o rituali legati a questo animale che spiegherebbero in qualche modo l’origine di questa tradizione. L’unico a sacrificarsi è appunto Gesù.

D'altronde, mangiare l’agnello a Pasqua non è un obbligo nemmeno per la Chiesa. Nel 2007 l’allora Papa Benedetto XVI in una famosa omelia disse che in realtà lo stesso Gesù non aveva mangiato agnello durante l’ultima cena e che non esiste una motivazione teologica dietro questa usanza.

In realtà, il consumo di agnello è una tradizione legata alla Pasqua ebraica, festa che celebra la liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù e che prevede appunto il consumo di questo animale. Nell’Antico Testamento, infatti, si racconta che Dio promise al popolo di Mosè la salvezza dei primogeniti se i loro capifamiglia avessero segnato le porte delle loro case in Egitto con il sangue d’agnello. Sono tantissimi però gli esempi risalenti alle culture del passato, che appunto usavano l’agnello come animale da destinare in sacrificio per ottenere favori – mai sentita l’espressione “agnello sacrificale”? In senso più generale, poi, l’agnello è considerato da sempre un animale simbolo di purezza, innocenza e bontà. E non è difficile capire il perché.

L'etologia dell'agnello

L’agnello infatti è un piccolo di pecora che ha meno di un anno di età, è un cucciolo in pratica. Il legame con la madre è strettissimo: subito dopo la nascita, infatti, la mamma pulisce l’agnello appena nato con la lingua, così da stabilire un primo contatto olfattivo con il figlio. Questa fase è importantissima, perché è in questo momento che si sviluppa il cosiddetto imprinting materno, cioè il riconoscimento del figlio da parte della mamma che avviene proprio tramite l’olfatto, cioè attraverso l’odore del liquido amniotico di cui l’agnello appena nato è ancora ricoperto. È un momento delicatissimo: se un agnello venisse allontanato, anche solo per poche ore, la mamma difficilmente lo riconoscerebbe come figlio suo.

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Ma le leccate della mamma svolgono anche un’altra funzione: i cuccioli di ovini soffrono davvero tanto il freddo durante le prime ore di vita, quindi le leccate della mamma servono anche a tenere al caldo i piccoli.

Ma superate le prime ore post-parto, com’è che vivono gli agnelli? Non si allontanano praticamente mai dalla mamma, tant’è che si isolano dal resto del gregge per poi ricongiungersi alle altre pecore solo dopo 3-6 giorni. Gli agnelli in questa fase imparano dalla mamma a comunicare e a relazionarsi, ma soprattutto ricevono le prime poppate: il latte materno è importantissimo, perché serve a sviluppare il loro sistema immunitario. Pensate che nei primi giorni di svezzamento le mamme possono allattare i figli anche 60-70 volte al giorno.

Ma gli agnelli non sono solo dei “mammoni” eh! Sono forse tra gli animali più vivaci e giocherelloni che esistano. Avete presente i loro saltelli? Sembra abbiano le molle sotto le zampe per quanto vanno in alto! Vedete come scalciano con le zampe posteriori? È un gesto che fanno per invitare gli altri agnelli a giocare con loro. E quando si allontanano troppo, emettono dei belati per farsi riconoscere dalla mamma, che bela a sua volta per farsi localizzare dal figlio. Mamma e agnello non si perdono praticamente mai di vista, almeno fino allo svezzamento. Dopo le prime settimane passate insieme, infatti, mamma e figlio si separano, o meglio la mamma si allontana dall’agnello e interrompe le poppate. È in questa fase che gli agnelli smettono di nutrirsi con il latte materno e iniziano ad andare al pascolo, mangiando erba, fieno, acqua e imparando al contempo a socializzare con gli altri piccoli del gregge.

Quanti agnelli vengono uccisi per Pasqua?

Quello della macellazione di agnelli non svezzati – cioè che avrebbero ancora bisogno della mamma – è un altro degli aspetti critici di questa storia. Durante le festività pasquali l’Italia, da sola, non riesce a soddisfare l’enorme richiesta di carne che c’è in quel periodo. Quindi si importa carne da altri paesi – circa il 33% degli agnelli macellati in Italia arriva dall’estero e spesso si tratta di agnelli ancora giovanissimi e non svezzati, quindi separati prematuramente dalle madri.

Pensate che nel 2021 sono stati più di 600 mila gli agnelli vivi importati nel nostro Paese. Agnelli che arrivano da Francia, Spagna, Ungheria e Romania, e che prima di essere macellati in Italia devono affrontare viaggi estenuanti che durano anche 30 ore. Ogni anno, secondo le stime di Animal Equality, sono oltre tre milioni gli ovini trasportati in Europa, di cui oltre due milioni macellati all’arrivo.

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mappa della provenienza degli agnelli

L’Italia da sola ne importa circa il 40%. Gli agnelli viaggiano ammassati, con le zampe incastrate e le teste schiacciate contro il soffitto. Molti di loro non riescono nemmeno ad avvicinarsi ai (pochi) abbeveratoi presenti nei camion, mentre i più giovani (cioè quelli non svezzati) non ricevono il latte di cui avrebbero invece bisogno: pensate che alcuni di loro, quando arrivano a destinazione, o sono in fin di vita… o sono ormai morti. E tutto questo, purtroppo, avviene nonostante l’Europa vieti di “trasportare o a far trasportare animali in condizioni tali da esporli a lesioni o a sofferenze inutili”. Quello della sofferenza inutile inflitta a questo animale è forse il tema centrale di questa vicenda. In Italia è vietato dalla legge macellare un animale senza che questo sia prima stordito.

Tutti gli animali devono essere abbattuti esclusivamente dopo lo stordimento e la perdita di coscienza e sensibilità deve essere mantenuta fino alla morte dell’animale. In questi anni le associazioni animaliste hanno denunciato quello che accade in alcuni macelli italiani, dove vengono uccisi migliaia di agnelli in maniera illegale. Una pratica assolutamente vietata, per esempio, è quella della pesatura per sollevamento, che consiste nel legare gli animali per le zampe e sollevarli per ottenerne il peso. Una pratica che, potete immaginare, causa forti dolori e stress agli animali. Non vogliamo mostrarvi quello che accade dopo, né raccontarvi in che modo vengono uccisi questi animali prima di essere macellati. Vi basti sapere che gli agnelli vengono uccisi mentre sono perfettamente coscienti – davanti ad altri simili non storditi e sotto choc -, attraverso pratiche brutali che “velocizzano” tutto il processo della macellazione: questo avviene perché la richiesta di carne è molto alta, quindi si deve “fare in fretta”. Non importa se qualsiasi etica viene meno, conta solo produrre il maggior numero di carne nel minor tempo possibile.

Perché non mangiare agnello a Pasqua

Vogliamo davvero insistere con una tradizione che persino la Chiesa considera priva di significato? Tra l’altro, se non lo sapete, per ogni chilo di carne di agnello prodotta, vengono rilasciati oltre 39 kg di CO2: è tra le carni più “inquinanti” al mondo. Insomma, non solo ammazziamo agnelli in nome di una tradizione ormai priva di significato, ma contribuiamo all’inquinamento del pianeta.  C’è da dire però che negli ultimi anni qualcosa è cambiato. Quello che in passato credevamo fosse “normale” nell’industria nella carne, oggi ci fa giustamente riflettere su quanto il nostro stile di vita sia etico e sostenibile.

Per quanto riguarda il consumo di carne, ad esempio, l’Italia è il paese con il consumo medio annuo tra i più bassi d’Europa. Ma soprattutto è aumentata la sensibilità verso il benessere degli animali d’allevamento, non solo tra i cittadini ma anche tra gli allevatori. Rispetto al passato la qualità della vita negli allevamenti è migliorata, ma come abbiamo visto, purtroppo, c’è ancora tanto da fare. Rispettare la vita e l’etologia di questi animali, però, non deve essere una speranza, ma un obiettivo da raggiungere.

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