Oggi, 3 marzo 2023, si celebra la Giornata mondiale della fauna selvatica, nota anche come World Wilde Life Day. Questa ricorrenza è nata su impulso delle Nazioni Unite per promuovere a livello internazionale azioni a tutela delle specie selvatiche e per ricordare l'apporto che queste danno alla nostra vita e alla salute degli ecosistemi.
Un momento di riflessione che nel 2023 coincide con il 50esimo anniversario della Cites, la Convenzione di Washington sul Commercio Internazionale delle Specie Selvatiche Minacciate di Estinzione firmata nel 1973 con l'obiettivo di regolare il commercio internazionale di flora e fauna e assicurare che esso non minacci la sopravvivenza della specie.
Da quella firma, che ha coinvolto inizialmente 80 paesi del mondo, si sono sviluppati tavoli di lavoro presidiati dalle Nazioni Unite, e in Italia è nato anche un apposito organo, dipendente dai Carabinieri Forestali, che si occupa di reprimere i crimini contro gli animali, e le specie vegetali, citate nella Convenzione.
Il tema scelto quest'anno dall'Onu in vista di questa doppia ricorrenza è "Partnerships for Wildlife Conservation" e invita a riflettere sulla responsabilità della nostra specie di tutelare la biodiversità. Una missione che letta in questi termini abbiamo fallito: ma i come per questo 2023 abbiamo ben poco da celebrare.
Il nuovo anno si è aperto con la morte di Juan Carrito. Carrito è nato come ambasciatore dell'orso marsicano, la sottospecie di orso più rara al mondo, ma è morto investito sulla strada come simbolo della incapacità umana di rispettare la natura. La morte di Juan Carrito è una sconfitta per tutti perché si sarebbe potuta evitare se fosse stata realizzata per tempo la recinzione della Strada Statale 17, nota in Abruzzo come "killer di orsi", e che invece è terminata solo pochi giorni fa.
Il problema, ha spiegato a Kodami il presidente di Salviamo l'Orso, l'associazione che ha portato a termine la recinzione, è che la messa in sicurezza degli snodi viari nella regione abruzzese è stata lasciata alla buona volontà dei Parchi, volontari e associazioni. Nell'assenza delle istituzioni locali e nazionali che avrebbero maggiore titolo, e risorse, per intervenire.
Il 2023 è iniziato da pochi mesi eppure già si segnalano almeno 13 lupi uccisi in Italia. L'ultimo avvenuto poche settimane fa, quando è stato trovato morto all'interno del Parco regionale del Matese con 4 colpi di fucile nel corpo. Un atto che i Carabinieri Cites accorsi sul posto hanno definito «Criminale».
Il lupo del Matese veniva ucciso dai bracconieri mentre il ministro dell'Agricoltura, Francesco Lollobrigida, dopo avere già invitato a «non guardare gli animali con sentimento», pochi giorni fa dichiarava che «l’abbattimento selettivo non è drammatico».
L'infelice uscita è avvenuta significativamente nel corso di un evento organizzato a Roma dalla Coldiretti, la federazione degli agricoltori. Pur avendo manifestato più volte aperture nei confronti dell'abbattimento dei selvatici reputati dannosi per agricoltori e allevatori, è stata la prima volta che il Ministro del Governo Meloni ha esternato così chiaramente la volontà di ridimensionare la popolazione di selvatici nostrana.
Ma questo non sta avvenendo solo in Italia. La Svezia ha dato il via al più grande piano di abbattimento del lupo dei tempi moderni. Si potranno uccidere 75 lupi su una popolazione di 460 in accordo con il Governo svedese che vuole ridurne la densità in alcuni distretti. Per il presidente dell'Associazione Cacciatori Svedesi, Gunnar Glöersen, la caccia sarebbe necessaria per rallentare la crescita dei lupi, mai «così numerosi come negli ultimi tempi».
Anche la Danimarca ha avviato per la seconda volta uno degli abbattimenti di animali più massicci della sua storia. La Danimarca è il più grande produttore europeo di pellicce di visone, e per diventarlo ha stipato milioni di animali nelle gabbie dei suoi allevamenti. La promiscuità di così tanti mammiferi ha favorito il proliferare di malattie e infezioni, e quando la Covid-19 è entrata negli allevamenti la ricombinazione del virus in così tanti individui ha favorito la nascita di nuove varianti capaci di infettare l'essere umano.
Come aveva spiegato a Kodami lo scrittore e giornalista David Quammen, autore di "Spillover", quando infatti sentiamo parlare di un nuovo virius che si diffonde tra le persone, dovremmo chiederci: “Perché è nuovo”? La risposta è che non è affatto nuovo, semplicemente era presente in creature che non erano in contatto con noi, vivevano nel loro habitat, in posti remoti dove l’uomo è però arrivato.
Cosa unisce la vicenda di Juan Carrito, del lupo del Matese, le popolazioni della Svezia, e i visoni della Danimarca? Oltre ai risvolti etici, le conseguenze di queste azioni si ripercuotono anche sulla nostra specie.
Zoonosi, cambiamento climatico, deforestazione sono tutti fenomeni complessi che dipendono da una serie di concause, ma tutti sono riconducibili a un unico fattore scatenante: l’appropriazione da parte dell’uomo degli spazi riservati alla fauna selvatica.
La pressione antropica sulla Terra e sugli animali che lo abitano causa squilibri che non siamo in grado di controllare. Perché anche se riteniamo di essere padroni della natura, la verità è che nonostante la nostra tecnologia, restiamo animali tra tanti.