Sono stati abbandonati in strada, col rischio di essere investiti da un'auto in corsa o ritrovati gravemente feriti: sono i cani del "Villaggio dei randagi", una struttura di oltre tre ettari e mezzo che è diventata la nuova casa di queste sfortunate creature: un rifugio che si caratterizza per la totale assenza di gabbie e che si discosta totalmente dall'idea di canile a cui siamo abituati. La mente dietro la creazione del villaggio è Aldina Stinchi, una donna che ha dedicato tutta la sua vita alla tutela dei diritti degli animali e continua ancora a battersi con la stessa energia di quando era ragazza.
Nato oltre 20 anni fa, il Villaggio dei randagi si trova nella provincia di Catanzaro e offre numerosi spazi verdi ai cani che lo abitano, che possono così vivere nella più totale libertà, socializzando con i loro simili e con gli umani che si occupano di loro. Attualmente sono 170 i cani del villaggio, un numero consistente di animali da seguire e assistere, un incessante lavoro quotidiano che viene mandato avanti grazie ai volontari e alle (poche) adozioni a distanza e donazioni che permettono così l'operatività del rifugio. «La struttura incontra perfettamente le esigenze di specie dei cani – spiega Aldina Stinchi a Kodami – Non sono obbligati a vivere nelle gabbie, che è evidente che sono strumenti barbari che si commentano da soli. La struttura innovativa del villaggio si contrappone ai canili lager, piastrellati di cemento e ferro e che non consentono all’animale di vivere serenamente la propria esistenza».
Aldina, infatti, è impegnata da sempre a combattere la stessa esistenza dei cosiddetti “canili lager”, retaggi di un passato in cui gli animali che vi finivano dentro erano destinati a morte certa: «La prima cosa da fare è la loro distruzione, sono dei luoghi arcaici – sottolinea – che sono stati fatti nel secolo scorso quando gli animali venivano detenuti per pochi giorni e poi soppressi. Fomentano la nascita di cucciolate, perché questo procura dei soldi e sono spesso avallate sia dal servizio veterinario pubblico che dalle istituzioni politiche».
Una connivenza che trova la sua espressione nelle "staffette dell'amore", un inquietante business sul quale Kodami ha fatto anche una inchiesta: «Ci battiamo in maniera feroce contro questo traffico di animali che parte dal Sud per arrivare a un presunto Nord felice, che dovrebbe avere la capacità di gestire miliardi di cani – spiega ancora Aldina – E' una situazione indecente, perché spesso non sappiamo nemmeno che fine fanno i cani».
Una soluzione secondo la fondatrice dell'associazione Bios potrebbe essere la creazione di altri villaggi nel Mezzogiorno, ovvero la parte del Paese in cui c'è maggiore presenza di canili: «È facile secondo me garantire ai cani una vita abbastanza decorosa istituendo questi villaggi dei randagi, che potrebbero essere fatti in ogni piccolo Comune – conclude Aldina – E' evidente che una gabbia di cemento non può certamente soddisfare le più minime necessità».