L'ORA BLU
episodio 3
24 Agosto 2022
11:33

Il patto tradito: nemmeno la pandemia ha fermato gli abbandoni

Cuccioli, adulti e di ogni specie: sono tanti gli animali definiti “d’affezione” che poi, proprio per la mancanza di affetto, vengono abbandonati. I dati parlano chiaro: gli abbandoni sono aumentati, anche nell’anno della pandemia, e le pene previste servono a poco. L’unico modo per mettere fine a questa piaga è promuovere le adozioni consapevoli.

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Legati a un palo, lasciati in mezzo alla strada, mollati dentro sacchi di plastica o scatoloni sigillati. Cuccioli, adulti e di ogni specie: non solo cani e gatti, anche conigli e addirittura petauri dello zucchero e boa constrictor. Sono tanti, troppi gli animali che sempre di più fanno parte di quella categoria che l’essere umano infila nella definizione “animali d’affezione” ma che poi proprio la mancanza di affetto e di rispetto fa sì che vengano gettati via come rifiuti.

Che cosa significa abbandonare? Che cosa vuol dire nel nostro Paese e nel mondo intero, soprattutto in quell’Occidente che si racconta e descrive come una parte del Pianeta in cui la società umana è “avanzata” rispetto a altre realtà? Siamo poi davvero migliori di altri luoghi in cui andiamo a guardare fuori dai nostri confini nazionali, sempre giudicanti, ma dove almeno la convivenza tra le specie non viene ipocritamente mascherata da una tenerezza che non placa la barbarie dell’abbandono?

E tutto ciò dopo un anno e mezzo di pandemia che avrebbe potuto migliorarci nel rapporto con le altre specie, già solo per aver sperimentato sulla nostra pelle cosa vuol dire isolamento sociale. L'estate 2021 sarebbe potuta essere “l’anno zero degli abbandoni”, avendo appunto sperimentato sulla nostra quotidianità la segregazione, seppure in case comode e a nostra misura e non certo dentro un box di cemento dove finiscono i loro anni di vita i cani che non si vogliono più.

E invece no: non siamo migliorati nemmeno patendo quella solitudine a cui la Covid-19 ci ha costretto e a distanza di un anno e mezzo dal primo lockdown questa è l’estate che ci sta mostrando che gli animali continuiamo ad abbandonarli senza scrupoli, non a caso in linea con quel periodo della loro vita, ovvero passato l’anno d’età, in cui un cucciolo è cresciuto e tale non è più, almeno fisicamente. Come abbiamo sempre fatto, dunque, con buona pace di quell’“andrà tutto bene” che non è stato beneaugurante nemmeno per gli animali che, ancora una volta, pagano le nostre scelte. Non certo le loro.

Sommario

I numeri dell’abbandono: cani e gatti “usati e gettati via” anche nell’anno della pandemia

Abbandono, appunto. La parola appare puntualmente d’estate legata al mondo degli animali. E’ il periodo dell’anno in cui non solo in Italia ma in tanti altri paesi si ha la recrudescenza di un comportamento umano – in realtà presente durante tutte le stagioni – che collima in quello che, semplicemente, può essere definito come un tradimento.

Il significato di questo termine espresso in cifre, per uscire da una definizione che fa leva solo sull’emotività, consente di andare al nocciolo del problema. «Si stima che ogni anno in Italia siano abbandonati una media di 80.000 gatti e 50.000 cani»: è questa la sintesi del report 2019 della Lav che sta lavorando su un nuovo rapporto con dati aggiornati. «I numeri si mantengono simili ai precedenti e no, non c’è stato un boom delle adozioni durante la pandemia. Ho comparato i dati attuali rispetto a quelli del nostro ultimo report riferito al 2018 e non c'è un sostanziale aumento. E’ probabile che le adozioni siano avvenute anche attraverso altri canali che non siano quelli del canile però. Ad esempio io temo molto che ci sia stato un maggiore ricorso agli acquisti», spiega Ilaria Innocenti, responsabile dell’ufficio legale della Lega Anti Vivisezione e autrice dei rapporti annuali grazie ai quali si riescono ad avere appunto dei numeri di riferimento relativi al territorio italiano, visto che le istituzioni sono del tutto carenti. «A causa della pandemia poi alcuni animali si sono trovati soli per il decesso della persona con la quale vivevano o per casi di ospedalizzazione. Abbiamo anche verificato che – continua Innocenti – con il “ritorno alla normalità” molti animali sono stati invece ceduti ai canili, facendo chiaramente emergere una scelta non responsabile da parte di molte persone: è un fenomeno che risulta purtroppo in aumento dalle nostre analisi».

Sì è molto scritto sul fatto che la pandemia abbia influito sull’aumento delle adozioni ma come confermano la Lav e altre associazioni si sono iniziati a registrare anche molti casi di abbandono come conseguenza dell'impulso di aver fatto entrare animali in famiglia dovuto all’effetto dell’isolamento sociale da parte degli esseri umani. Non si conoscono ancora i numeri di questo epilogo terribile per molti cani e gatti e così Kodami ha fatto un’indagine su un focus specifico – dunque non applicabile tout court a livello nazionale – per capire proprio se e quanto il cambiamento dello stile di vita degli italiani a causa della Covid-19 abbia avuto effetto su ingressi e uscite dai canili.

Abbiamo considerato il periodo gennaio-maggio del 2019, confrontandolo con gli stessi mesi del 2020 (dunque, nel pieno della pandemia) e poi del 2021 (nel periodo in cui sono state allentate alcune misure rispetto al lockdown dell'anno prima che era stato più duro). Abbiamo valutato i numeri delle adozioni in 6 canili di 5 città rappresentative: Milano, Bologna, Firenze, Roma e Bari. Nel caso della Capitale, sono state prese in considerazione due strutture, Muratella e Ponte Marconi. I numeri che abbiamo verificato direttamente confermano quanto sottolineato anche da Ilaria Innocenti, ovvero che non vi è stato un aumento eccessivo di adozioni e mettono in luce anche che la pandemia ha portato invece a un arresto, probabilmente dovuto alla difficoltà di spostamento e alle restrizioni. Il trend sembra in ripresa nei primi mesi analizzati del 2021 ma il lockdown più duro del 2020 ha fatto desistere le persone nell’andare in canile a scegliere un compagno di vita a quattro zampe.

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Situazione diversa invece a Napoli, dove emerge un aumento delle adozioni a fronte però di un maggior numero di abbandoni: «L’Asl deve ancora fornirci dati precisi ma già ci hanno fatto notare che durante il periodo della pandemia più cani hanno trovato famiglia – spiega l’assessora alle Pari opportunità, Libertà civili e alla Salute con delega agli animali, Francesca Menna  – Questo perché molte persone probabilmente per poter uscire di casa hanno deciso di adottare un cane. Ma ciò ha portato, di conseguenza, anche a un notevole aumento degli abbandoni soprattutto durante il periodo estivo. Il periodo del lockdown chiarisce ancora di più quanto sia da evitare una scelta non ponderata e dovremmo riflettere proprio su come sono avvenute queste adozioni per costruire una cultura che si basi davvero sul rispetto del cane e degli animali in generale come esseri senzienti e non solo come oggetti animati. Bisognerebbe fare in modo che le adozioni avvenissero soltanto attraverso persone competenti e associazioni certificate. Le adozioni sono state basate sull'onda dell'emotività e quando poi le famiglie hanno capito che si trovavano ad avere a che fare con un essere vivente e che avere un cane inevitabilmente comporta delle responsabilità anche di tipo economico, alla fine ne hanno decretato per l’abbandono».

L’Ente Nazionale Protezione Animali descrive lo stesso scenario nei suoi rifugi: le adozioni sono aumentate e così anche gli abbandoni. Nel 2020, rispetto al 2019, i canili gestiti dall’associazione hanno registrato il +15%, con alcune città andate oltre il 40%. Ma l’Enpa conferma che nei i primi mesi del 2021, secondo alcune stime date a Kodami dalla presidentessa Carla Rocchi, «è aumentato del 20% il numero delle persone che ha deciso di abbandonare gli animali che avevano preso durante la pandemia come “scelta terapeutica” e stiamo notando un'incidenza maggiore soprattutto nell’ abbandono dei gatti».

Una situazione tragica che non riguarda solo i cani, dunque, ma che anzi ha colpito duramente e  maggiormente proprio i felini: «Talvolta si pensa che abbandonare un gatto sia meno grave rispetto all'abbandono di un cane – sottolinea a proposito Ilaria Innocenti della Lav – perché si crede erroneamente che l'animale all'esterno dell'abitazione possa vivere e sappia bene come procacciarsi del cibo ma non è assolutamente così. Ricordiamolo: è reato anche abbandonare un gatto in prossimità di una colonia felina e i gatti sono animali estremamente territoriali che tendono ad allontanare i nuovi ingressi. Dunque questi animali che vivevano in famiglia, costretti alla dispersione, possono morire di fame, di sete e essere investiti. Da anni promuoviamo campagne a favore della microchippatura dei gatti così come quella dei cani perché il microchip protegge dall'abbandono, consentendo di risalire all'autore del gesto. Già la Lombardia si è mossa rendendolo obbligatorio e lo stesso è accaduto in alcune zone della Puglia».

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Anche la Lega Nazionale per la Difesa del Cane ha fatto delle verifiche sull’ultimo periodo, come spiega l’avvocato Michele Pezone: «Nello scorso anno i cani entrati nei canili sono quasi 120 mila. Di questi circa 50 mila potrebbero essere frutto di abbandoni. E ovviamente stiamo parlando di numeri importanti tenuto conto del fatto che le adozioni dei cani nei canili sono stati poco più di 40 mila, attenendosi ai dati ministeriali. Quindi il risultato è più cani abbandonati che cani adottati o possiamo sicuramente affermare più cani che hanno fatto ingresso nel canile rispetto a quelli che ne sono usciti. C'è da dire, però, che comunque i dati sulla presenza di animali all'interno delle case sono incoraggianti: in Italia abbiamo all'incirca il 40% delle famiglie che vivono con un compagno animale e di queste circa una su cinque ha adottato il cane da un canile». Pezzone sottolinea anche un altro dato positivo: «Ci sono sempre più persone che scelgono di adottare un cane anziano perché possa vivere gli ultimi anni in tranquillità, circondato dall’affetto. Rimane sempre la predilezione per il cucciolo e a fronte di un'Italia che dimostra l'attaccamento verso gli animali c'è purtroppo un'altra parte di persone che non si fa scrupoli a abbandonarli. Noi cerchiamo di diffondere attraverso le nostre campagne una cultura di maggiore rispetto che non deve essere solo nell'ottica della repressione ma vorremmo anche sdoganare il concetto che è bellissimo vivere con un animale in casa».

Ilaria Innocenti della Lav pure ci tiene a sottolineare un aspetto positivo del periodo pandemico nella relazione con gli animali: «La pandemia ha portato a un aumento degli abbandoni ma c'è un'altra fascia di popolazione che è quella che pur vivendo nell'indigenza non si separerebbe mai dall'animale col quale ha scelto di vivere. Abbiamo ricevuto tantissime richieste di sostegno sia per il cibo che per le cure veterinarie e nel momento in cui è scoppiata la pandemia abbiamo destinato un fondo speciale per l'emergenza che poi abbiamo alimentato con un SMS solidale grazie al quale abbiamo distribuito cibo a migliaia di persone che vivevano in condizioni di povertà in maniera tale che potessero alimentare e curare i loro i loro animali. Abbiamo fatto assistenza anche per portare a spasso i cani di persone che erano in quarantena. E’ stato un supporto importante rivolto a chi non penserebbe mai all’abbandono appunto e la pandemia ci ha mostrato anche questo lato del rapporto con gli animali».

Questa situazione non è "tipica" solo dell'Italia, purtroppo. Dati impressionanti dell'aumento dell'abbandono degli animali domestici arrivano anche dagli Stati Uniti: I rifugi a New York e Los Angeles si stanno avvicinando al "tutto pieno" poiché sempre più persone li stanno scaricando in canile. In un articolo della Reuters, ma sono diversi i media americani che hanno messo in luce questo fenomeno, Chloe Esperiquette, coordinatrice dello sviluppo presso il centro di adozione "Wags and Walks" a Los Angeles afferma: «Prima della pandemia, abbiamo ricevuto da cinque a dieci richieste al mese per persone che non potevano più prendersi cura dei loro cani. Il numero è ora raddoppiato rispetto agli ultimi mesi». Negli Stati Uniti, inoltre, molti canili attuano la politica dell'eutanasia: dopo un numero di giorni che varia da Stato a Stato, i cani che non sono stati adottati vengono uccisi. Alcuni rifugi sono "no-kill", il che significa che gli animali non saranno soppressi, ma dipende appunto dal luogo in cui sono e dalla politica attuata e spesso proprio l'aumentare del numero dei cani è di solito un fattore che porta al decidere quando procedere all'eutanasia. Tutto questo mentre il mondo degli umani "torna alla normalità". Quale normalità, poi, è da vedere: ci aspetta a breve un altro inverno e la storia ancora una volta non ci ha insegnato nulla, nemmeno quella recente in cui abbiamo dovuto superare una seconda ondata ancora più mortale rispetto al primo periodo di lockdown e in cui gli animali ci sono sempre stati vicini. Comunque.

Abbandoni: i dati mai aggiornati, confusi e difficili da confrontare del Ministero della Salute

Tornando ai freddi numeri, così, ecco che nell’anno del Signore 2021 dopo Cristo e in corso di pandemia, in uno Stato occidentale, avanzato dal punto di vista sociale e culturale e in cui i diritti degli animali sono oggetto anche e finalmente di una revisione costituzionale, il Ministero della Salute così fotografa la situazione sul suo sito ufficiale: «Nonostante negli ultimi anni il controllo del randagismo sia sensibilmente aumentato, facendo registrare anche una diminuzione degli animali randagi sul territorio, i cani abbandonati continuano ad alimentare la popolazione vagante. Molte femmine gravide partoriscono ed i cuccioli che non muoiono di stenti, diventando adulti, rappresentano un ulteriore serbatoio di randagi».

Ma i dati pubblici sono sempre carenti e mai precisi. «Ad oggi si calcolano circa 11.800.000 cani e 641.000 gatti di proprietà iscritti all’anagrafe nazionale animali d’affezione in Italia» riporta online la Direzione generale della sanità animale e dei farmaci veterinari del ministero della Salute sul sito informativo chiamato “Code di casa”.

Sulle stesse pagine viene indicata anche una sintesi relativa ancora al 2019 sul numero di soggetti presenti nelle strutture: 86.982 ingressi nei canili sanitari e 45.695 nei rifugi. Non è indicato però il dato sul numero delle adozioni che si riesce a ricavare solo attraverso lunghe ricerche, visto che il sito di “Code di casa” non lo riporta ma che dovrebbe corrispondere a 29.512 cani. Lo stesso Ministero, poi, come abbiamo sintetizzato nella tabella a seguire in occasione della nostra video inchiesta sul fenomeno delle staffette da Sud a Nord, ha fatto un bilancio più recente (gennaio 2021), relativo al 2020: 76.192 ingressi nei canili sanitari e 42.665 nei rifugi a fronte di 42.360 cani adottati.

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Il confronto tra un anno e l’altro, oltre a mostrarci che lo Stato non comunica correttamente e organicamente le sue informazioni ufficiali, è utile però per notare che la situazione è migliorata in termini di diminuzione di presenze nei canili e, pare, anche in termini di adozioni almeno tra il 2019 e il 2020.

«Occorrerebbe un censimento con criteri omogenei su tutto il territorio nazionale rispetto ai cani e ai gatti liberi. L'ultimo sui primi risale al 2012 e all’epoca oscillavano dai 500 mila ai 700 mila soggetti mentre per i gatti andiamo a finire addirittura al 2006 ed erano oltre 2 milioni e 600 mila. Conoscere quanti animali liberi vivono in Italia è fondamentale ed è per questo che noi lavoriamo in questo senso. Solo attraverso la raccolta dei dati abbiamo un affresco del fenomeno e solo così si possono mettere in campo gli strumenti giusti, sulla base di differenze territoriali molto nette, perché una campagna contro l'abbandono funzioni davvero», spiega Ilaria Innocenti.

La continua carenza di dati è lo specchio di come la tutela degli animali sia lasciata alla scarsa sensibilità delle singole istituzioni, con politiche più o meno diverse. Eppure basterebbe, per esempio, rendere pubblici i dati sugli ingressi e le uscite nei canili nelle sezioni di “Amministrazione trasparente” dei Comuni italiani per avere un quadro chiaro sul livello di efficienza degli enti locali come abbiamo suggerito nella nostra recente indagine su Kodami. Confrontando i dati delle determinazioni dirigenziali di spesa per canili e gattili con le movimentazioni delle strutture sarebbe così possibile realizzare un coefficiente chiaro, unico, in grado di far capire e superare una continua situazione emergenziale. Inoltre, sarebbe un modo per avere un quadro evidente per mettere fine a sprechi e fenomeni corruttivi sulla pelle degli animali e sul portafoglio dei contribuenti.

Italia record negativo di abbandoni in Europa? No, ce la “battiamo” con i francesi e molti altri in realtà

In Europa, però, non è solo l’Italia a dover combattere gli effetti di questa malsana abitudine ad abbandonare gli animali. Chris Bockman, giornalista della BBC, il 9 agosto 2020 ha pubblicato un articolo che ha fatto il giro del mondo il cui focus è quanto accade in Francia, un paese in cui si stima che ogni anno vengono abbandonati tra i 100.000 e i 200.000 animali domestici, con il 60% dei casi che si verifica durante l'estate. Consapevoli della piaga da tempo, nel 2019 una campagna di sensibilizzazione dell’associazione “30 Millions d'Amis” provò a dare la scossa alla società civile transalpina con un video sulle note di We are the champions dei Queen per sottolineare proprio il record negativo dei francesi descritti, appunto, come “campioni europei per il numero di animali abbandonati”.

Ma se andiamo di nuovo ai dati del 2019 della Lav, non si vede una grande differenza tra noi e i cugini d’Oltralpe. La forbice francese è più larga ma anche lì numeri precisi non esistono a causa sempre di una forte carenza istituzionale: il Ministero dell’Agricoltura, responsabile degli animali vaganti, non ha mai stilato tabelle ufficiali, come spiegato bene in un articolo su Le Parisien in cui si denuncia proprio l’assenza delle Istituzioni a fronte della pubblicazione del video su citato.

Francia e Italia, così, condividono la stessa confusione e mancanza di attenzione da parte dello Stato ma riguarda tutto il mondo, in realtà, questo cattivo approccio alla tutela del benessere animale. Dati internazionali sui numeri degli abbandoni proprio non se ne trovano e questa carenza fa parte di un gap ancora più grande: non si ha una conoscenza numerica della popolazione canina o felina effettivamente presente sul nostro Pianeta in generale. L’80% dei cani vive allo stato libero e già questo dato a molti ancora fa spalancare gli occhi come se fosse una rivelazione, visto che è convinzione nelle società occidentali che l’unico modo di vivere per  un cane o per un gatto sia solo nelle nostre case. Da cui, per giunta, poi li cacciamo anche aumentando il fenomeno del randagismo.

Un lavoro di analisi dei dati non relativo al solo abbandono sul numero di cani in giro per il mondo è stato fatto nel 2017 sul sito WorldAtlas. Lanciato nel lontano 1994 come un progetto nato dalla passione del cartografo John Moen e di sua moglie Chris Woolwine-Moen, ancora oggi questo sito è una grande risorsa editoriale su argomenti che vengono visti attraverso la lente della geografia, della sociologia, della demografia, dell’ambiente, dell’economia, della politica e dei viaggi. Nell’analisi, a firma di Oishimaya Sen Nag, c’è una fotografia a livello europeo in termini di abbandono e presenza di cani vaganti e la Francia risulta al primo posto tra i paesi del Vecchio Continente. E a proposito di ricerche su Internet, una delle domande più frequenti a cui si cerca risposta Google è proprio: “Why do the French abandon their pets?”.

L’abbandono da un punto di vista legale: «Le pene attualmente previste servono a poco»

Le storie che abbiamo raccontato e continuiamo a descrivere su Kodami per #VacanzaBestiale, la nostra campagna informativa al fine di sensibilizzare le persone, sono racconti che purtroppo si ripetono da troppo tempo. Storie senza lieto fine, con animali che abbandonati hanno trovato la morte e loro malgrado, a volte, l’hanno anche procurata alla nostra specie a causa di incidenti stradali. Storie con esito positivo, di cani o gatti che nonostante l’abbandono, grazie al lavoro dei volontari, hanno trovato una nuova famiglia che li ama e li rispetta. E poi ci sono tutti gli altri: animali destinati a vivere dentro una gabbia per il resto della loro vita. Super cani, nella maggioranza dei casi: soggetti meravigliosi, affidabili e fiduciosi nonostante tutto, pronti a donarsi e a condividere la loro capacità di resilienza e ricominciare daccapo a convivere con un umano nonostante il precedente si sia sbarazzato di loro. Ma che invece passeranno il tempo che gli è dato dall’orologio dell’esistenza dentro un canile.

A questi animali dovremmo pensare quando parliamo e ci interroghiamo sul decidere di passare la vita con un essere di una specie differente: visualizzare proprio quei musi dietro le gabbie, ricordare quegli sguardi che ancora si voltano e quelle code che vanno a vento quando qualcuno passa accanto ai loro box.

«Come è successo a Ettore che ha avuto la fortuna di incontrare il suo nuovo umano. Lui è l’esempio di come questo destino non sia riservato solo ai meticci: è un Boxer, infatti, un acquisto di un cane di razza che qualcuno ha poi fatto finire in mezzo a una strada», racconta Michele Pezone, responsabile dell’ufficio legale della Lega Nazionale Del Cane (LNDC). La vita di Ettore sarebbe potuta finire come accade a migliaia di altri soggetti segregati nei canili italiani: dopo una parte di esistenza vissuta in famiglia avrebbe potuto passare il resto della sua vita dietro le sbarre. «Ettore è proprio il classico abbandono estivo: è stato lasciato in un autogrill. Una segnalazione ha messo in moto i soccorsi ed è intervenuta la Polizia stradale: così sono stati individuati gli autori, lui è stato messo in sicurezza e noi della Lega del Cane ne abbiamo chiesto l'affido. E’ successa però una cosa splendida: ha incontrato un veterinario che segue la nostra associazione. Lui aveva da poco perduto il suo Boxer per una malattia: così si sono conosciuti e ora vivono insieme. C'è stato un lieto fine per la vicenda di questo cane abbandonato in autostrada ma sono tanti i casi che purtroppo siamo costretti a seguire e che invece non vanno a finire bene».

La Lega nazionale del Cane quest’anno ha lanciato una campagna ancora più diretta a soluzioni pratiche e non solo alla sensibilizzazione, perché come sottolinea l’avvocato Pezone: «L’articolo 727 del codice penale punisce l'abbandono ma le pene non sono severe. E’ previsto l'arresto fino ad un anno o in alternativa, quindi non in aggiunta, l'ammenda che va da 1.000 a 10.000 euro: quindi si capisce bene che ce la si cava con grande facilità. Ci sono dei progetti di legge in discussione che prevedono un inasprimento importante delle pene come la detenzione che deve andare almeno da uno a tre anni. Ma questi progetti sono attualmente ancora in discussione».

Secondo le statistiche di LNDC, il 25-30% in più di abbandoni si registrano proprio durante il periodo estivo ma, conclude Pezone, «in realtà non è solo durante le vacanze che si abbandonano gli animali, tante volte registriamo degli abbandoni ad esempio alla fine del periodo venatorio. Ci sono tanti cani che purtroppo vengono abbandonati dai cacciatori e a volte anche uccisi quando non sono idonei a cacciare». Sulla stessa scia Ilaria Innocenti della Lav ricorda che: «Il reato punisce tutti coloro che abbandonano animali che abbiano acquisito abitudini alla cattività. Questo significa tutte le specie delle quali noi abbiamo deciso di prenderci cura, quindi non solo cani e gatti ma anche conigli, pappagalli, pesci rossi. E’ particolarmente in aumento l'abbandono di conigli in Italia, animali che ormai sono presenti nelle nelle nostre famiglie e anche loro purtroppo stanno subendo questo triste e incivile epilogo».

Cosa fare se si assiste a un abbandono e come capire se un animale è stato abbandonato

La proposta della Lega Nazionale del Cane, quest’anno, è stata di andare al sodo della questione e la campagna #faisentirelatuavoce oltre a sensibilizzare l’opinione pubblica offre un supporto diretto: «Se si assiste a un abbandono – spiega Pezone – il consiglio è quello di reperire subito documentazione su quello che sta accadendo: fotografare e prendere il numero di targa è molto importante. Poi bisogna allertare le autorità competenti: Polizia municipale, Carabinieri o la Forestale. A loro volta saranno le Forze dell’ordine a sollecitare la Asl che interviene per recuperare l'animale. La prassi prevede che si verifichi se c'è un microchip e in assenza inizia la trafila per il passaggio dell'animale nel canile sanitario per far sì che il cane, si spera, un giorno vada in adozione. La nostra associazione si è impegnata per fornire indicazioni anche più pratiche però: le persone possono contattare direttamente noi. Siamo pronti a fornire le indicazioni corrette e soprattutto aiuto per denunciare gli autori del reato. Diamo un nostro contributo per la sistemazione dell'animale e prendiamo contatti diretti con la Procura, basta scriverci a avvocato@legadelcane.it».

Queste sono le cose da mettere in atto se chiaramente si ha di fronte un soggetto che è stato appena abbandonato, ma fondamentale nel caso in cui non si è testimoni diretti è distinguere se si tratti di un animale abituato alla vita in famiglia o di un soggetto libero, soprattutto al Centro sud dove è facile incontrare cani liberi: «Dobbiamo osservare i cani che incontriamo in strada per capire in che condizioni si trovano – spiega Luca Spennacchio, istruttore cinofilo e esperto del comitato scientifico di Kodami – Importantissimo è verificare se il cane si trova in uno stato di sofferenza, ad esempio se è ferito o è evidentemente malato. Poi guardiamoci attorno per vedere se è realmente solo o se magari è andato in avanscoperta e, dietro di lui, ci sono altri cani: succede spesso con i cuccioli che seguono la mamma ad esempio o per un cane che potrebbe essere membro di un gruppo familiare con cui poi si ricongiunge e noi lo stiamo incrociando durante un suo giretto. Cerchiamo poi, cosa fondamentale per distinguere un cane libero da un cane che invece si è perso o è stato abbandonato, di guardare se indossa un collare e, se ci troviamo in un centro abitato, diamo bene un'occhiata in giro perché potrebbe essere che è uscito da un cancello aperto sulla strada o da una porta lì vicino. E parliamo con le persone del posto: loro sapranno dirci se quel cane è della zona».

Tutto sarebbe molto più semplice, poi, se le persone in quanto "proprietari" e gli enti locali in quanto responsabili dei cani e dei gatti liberi procedessero realmente all’inserimento del microchip e all’iscrizione all’anagrafe canina. «La microchippatura obbligatoria degli animali da compagnia è prevista anche dalla Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia che l'Italia ha recepito nel 2010 con la legge 201 – ricorda Ilaria Innocenti della Lav – per cui gli strumenti ci sono ma continuano a rimanere inapplicati».

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Cassette di cuccioli: la fotografia dell’abbandono al Sud 

Sara Turetta di cani maltrattati e “non solo” abbandonati ne ha visti a migliaia e a migliaia ne ha aiutati. Come vanno le cose anche nel resto dell’Europa lei lo sa bene, da quando giovane pubblicitaria milanese rinunciò alla sua carriera per andare in soccorso dei randagi della Romania. La sua storia l’ha raccontata in un libro, “I cani, la mia vita”, pubblicato da Sonda Editore. Sara ha visto l’orrore che gli esseri umani sono in grado di compiere nei confronti di altre specie in tutte le sue forme nell’arco degli anni in cui ha duramente lavorato per costruire la sua associazione Save The Dogs and Other Animals. Nonostante la fatica emotiva oltre che professionale non si è mai fermata e la sua determinazione, unita al raggiungimento di grandi risultati, è stata riconosciuta anche dalla Presidenza della Repubblica: nel 2012 è stata insignita del titolo di “Cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia”.

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Sara Turetta ha portato recentemente l’esperienza conquistata sul campo in quel di Cernavoda anche in Italia: il primo progetto che ha avviato per la campagna #Nonunoditroppo è stato in Campania e da poco l’attività di collaborazione con volontari e istituzioni locali è iniziata anche in Calabria. «Save the Dogs nel 2019 ha iniziato a lavorare sul litorale domizio con l'associazione animalista Oreste Zevola che opera all'interno del canile di Licola Mare, una frazione di Pozzuoli. Siamo lì da due anni e mezzo». “Non uno di troppo” è un progetto che mira a ridurre la popolazione canina: vuol dire lavorare soprattutto sul controllo delle nascite e sull'iscrizione all’anagrafe. «Abbiamo sfiorato le 600 sterilizzazioni gratuite e quindi c'è stata una risposta da parte della popolazione locale e stiamo già vedendo una diminuzione sensibile degli ingressi di cucciolate abbandonate davanti al canile – spiega, soffermandosi sulla drammaticità degli abbandoni – Come tutti i canili italiani anche quello di Licola trova queste cassette di verdure regolarmente piene di cuccioli che vengono lasciati davanti all'ingresso».

Il secondo passo in Italia di Save The Dogs è stato quello di andare ancora più a Sud: «Di fronte alla possibilità di aiutare davvero le persone e i cani ci hanno chiamato in tanti. Il grido d'aiuto più forte è arrivato dalla Calabria e abbiamo deciso di valorizzare due associazioni già radicate sul territorio, una nel crotonese e l’altra nel cosentino». Una Regione, del resto, da cui non si riesce ad avere un censimento sulla popolazione di animali vaganti, come si legge chiaramente nella tabella in alto pubblicata sul sito del Ministero della Salute: risultano non pervenuti i dati sulle presenze in canile e tutti gli altri relativi a ingressi e adozioni in quel territorio.

“Non uno di troppo” punta all’accesso gratuito alla sterilizzazione, principalmente rivolta a femmine di proprietà. «L’abbandono di cuccioli è una pratica che non esito a definire quotidiana perché molti cani vengono lasciati vagare liberi e questo permette ovviamente in maniera incontrollata la riproduzione. Così sono tantissime le cucciolate e la non consapevolezza da parte delle persone continua ad alimentare un possesso non responsabile perché nella fretta di piazzare i piccoli si cedono a chi capita e non a qualcuno che si è preparato all'arrivo di un animale in famiglia». Una situazione che paradossalmente è finanche meglio rispetto a una realtà ancora più cruda: «In molti casi invece queste cucciolate finiscono direttamente in strada dove i volontari le trovano ed è la cosa più frustrante perché non si riesce a individuare la madre e quindi non si può nemmeno offrire la sterilizzazione gratuita alle persone che in qualche modo ne erano il riferimento. Alcuni abbandonano i cani direttamente davanti alle strutture ma nella maggioranza dei casi chi opera sul territorio se li trova davanti già morti, magari investiti dalle automobili perché per un cucciolo da solo è difficilissimo muoversi libero, non ha le competenze per farlo. E’ una realtà assolutamente comune a tanti rifugi e una situazione in cui si ritrovano i volontari del sud Italia dove purtroppo l'abbandono è ancora una pratica molto diffusa».

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Save The Dogs fa un lavoro che dovrebbe essere principalmente in carico allo Stato e per delega alle Regioni. La legge quadro sul randagismo e gli animali d’affezione, la 281 del 1991, dà infatti pieni poteri agli enti locali in un’ottica di tutela ma, nonostante già da 30 anni l’Italia si sia dimostrata a parole all’avanguardia nei riguardi di cani e gatti liberi, purtroppo nei fatti la situazione è tutta in carico a persone eccezionali che operano per volontariato. L’assenza delle Istituzioni, i mancati controlli e le aste al ribasso poi per la gestione dei canili hanno anche incentivato persone che si fanno pochi scrupoli e il cui interesse non è di certo il benessere degli animali ma evidenti interessi economici.

«Noi andiamo a bussare alle porte – continua Sara – Cerchiamo soprattutto alcune categorie di persone come gli allevatori di cavalli e bufale nel caso della Campania: hanno cani nelle proprietà ma non se ne fanno carico in termini di posesso responsabile. Gli animali si riproducono così indiscriminatamente e spesso la situazione a livello sociale sfugge di mano: i cuccioli vengono anche uccisi con avvelenamenti o in altri modi cruenti o nel caso di cani adulti si creano a volte branchi che poi provocano un problema di convivenza con la comunità circostante, cosa che appunto porta a volte a dei massacri indiscriminati». In Calabria il problema riguarda invece la pastorizia: «Per coinvolgere i pastori dobbiamo ancora sviluppare una strategia, è un approccio diverso che necessita di collaborazione e  in realtà le unità veterinarie locali non hanno le risorse umane ed economiche per arrivare a tutti i randagi che intanto continuano a riprodursi. A questa situazione si aggiunge la riproduzione nelle case o nelle proprietà e ovviamente questo porta ai canili del Sud che sono strapieni e che accolgono il 70% dei cani che sono presenti in tutte le strutture italiane».

La fotografia scattata da Sara Turetta mette a fuoco un’unica possibilità di riscossa: un ritorno alla responsabilità personale che passa, però, attraverso un percorso educativo che deve essere diffuso dall’alto: «Questa situazione è il sintomo di una mancanza di sensibilizzazione da parte di chi ci governa: le istituzioni hanno fallito completamente il loro ruolo di educare il cittadino, a partire dalla scuola. Abbiamo milioni di cani nelle nostre case ma la gestione di questi meravigliosi animali è lasciata totalmente all'individuo. Pensiamoci a quanto hanno funzionato le campagne di informazione da parte dello Stato: un esempio molto interessante è come si è arrivati a ottimi risultati sulla gestione dei rifiuti e sullo spiegare alle persone l’importanza della raccolta differenziata. Pensando proprio alla Calabria, ho incontrato 18 amministrazioni pubbliche che mi hanno con orgoglio spiegato che la quota di raccolta differenziata ora tocca in alcuni comuni l'80%. Per raggiungere questo risultato però hanno fatto anni di campagne di sensibilizzazione rivolte ai cittadini e quando ho chiesto loro quante ne hanno invece fatto sul possesso responsabile dei cani, mi hanno detto: “Nessuna”. E allora ecco che bisogna smettere di lamentarsi se un cittadino abbandona i cani in strada, se tiene il cane segregato sul balcone o alla catena o chiama la polizia perché si lamenta dei randagi. La verità è che lo Stato ha abdicato su questo tema».

«Non lo voglio più»: così è stato legalizzato l’abbandono soprattutto al Nord con la “rinuncia di proprietà”

Nel Nord Italia, in assenza di randagismo, l’abbandono dei cani in strada potrebbe sembrare un fenomeno completamente assente. Invece esiste un problema sottovalutato e sconosciuto ai più che contribuisce a riempire i canili: la cosiddetta “rinuncia di proprietà. Lasciare un cane in canile, infatti, è una forma di “abbandono legale” prevista a partire dal 1991, anno di promulgazione della succitata legge 281. Trent’anni fa, infatti, l’abbandono è diventato illegale nel nostro Paese ma da allora è nata la necessità di regolamentare la modalità di separazione per chi non è più in grado di occuparsi del proprio "amico".

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E’ nato così il fenomeno delle cessioni al canile e oggi questa voce rappresenta una quota rilevante degli ingressi in tante strutture del Settentrione. «La rinuncia di proprietà consiste nella richiesta di conferimento in canile di un animale che la persona che lo aveva adottato o acquistato ritiene per vari motivi di non riuscire più a gestire – spiega Ilaria Innocenti della Lav – E’ un fenomeno che risulta in aumento, anche a causa della pandemia tanto perché alcuni animali si sono trovati soli per il decesso della persona con la quale vivevano ma anche a causa poi di un ritorno alla normalità che ha fatto capire che la scelta che si era fatta appunto non era stata né responsabile né consapevole».

Scorrendo il registro delle adozioni al canile municipale di Genova, ad esempio, il numero delle gabbie vuote era cresciuto costantemente dall'inizio del 2020 ma con l'inizio dell'estate 2021 i cancelli del canile si sono riaperti: «Sono sempre le vacanze a dominare questo periodo – spiega Adriana Snaidero del direttivo Una, associazione che gestisce il Monte Contessa – Appena passati in zona bianca e con la prospettiva di potersi spostare almeno in Italia molte famiglie si sono sbarazzate del proprio cane». Tecnicamente la cessione di proprietà avviene con una chiamata all'ufficio animali dell'Asl di competenza e sbrigate le pratiche la Croce Gialla viene a prelevare il cane a casa e lo porta in canile. «A differenza dell'adozione, l'abbandono è immediato – conclude Snaidero – si possono usare moltissime scuse, dal dichiarare che si tratti di un animale morsicatore ai problemi di salute». A Genova, quindi, come in gran parte del Nord, è meno diffuso l'abbandono sul territorio ma la cessione di proprietà è diventato il leit motiv degli ingressi in canile.

Come far terminare la piaga dell'abbandono? Andando all’origine: sensibilizzare a un’adozione consapevole

"Perché è vostro il cane, non nostro!", dice una bambina nel video contro l’abbandono che abbiamo realizzato quest’anno su Kodami per la nostra campagna #VacanzaBestiale. Ecco, alla fine di questo lungo excursus che abbiamo fatto insieme al tramonto di un’estate che ancora una volta si concluderà con tanti animali abbandonati, bisognerebbe fissare proprio quel momento e attraverso le parole di quella piccola donna capire che qualsiasi attività di sensibilizzazione ex post, ad oggi, non ha portato alla fine delle storie orribili e dei numeri che abbiamo descritto sinora.

«Bisogna davvero mettere in atto delle campagne di adozione responsabile e consapevole perché questo è un altro nodo che è sicuramente da affrontare – sottolinea ancora Ilaria Innocenti – La scelta di vivere con un animale deve comportare tutta una serie di riflessioni sulla propria vita, sul proprio nucleo familiare e sui cambiamenti che anche abbiamo in procinto di fare. Non meno importante è valutare anche la nostra situazione economica perché adottare un animale non significa soltanto dargli del cibo o fornirgli una cuccia ma il cane o il gatto può andare incontro a malattie e deve essere curato. Il costo delle cure veterinarie è un aspetto nevralgico: sulle prestazioni grava il 22 per cento di Iva, come sui beni di lusso. Questa è una campagna che noi stiamo portando avanti dal 2018 proprio per abbassare l'Iva anche sul cibo per gli animali e per aumentare la quota di detrazione dalla denuncia dei redditi che ora è veramente esigua».

Flaviana Laperuta, la direttrice sanitaria de “La collina di Argo”, il canile dinamico comunale di Napoli, lavora insieme a tutto il team di volontari e educatori proprio sul percorso di adozione responsabile: «Solitamente quando l’adottante si presenta noi facciamo compilare dei moduli che sono dei questionari conoscitivi, attraverso i quali noi capiamo le necessità e andiamo a valutare quello che può essere il cane giusto conoscendo appunto i nostri ospiti, sia caratterialmente che a livello sociale. Il percorso è questo: la persona arriva, fa un primo incontro con il cane identificato su consiglio dei nostri professionisti, un'equipe di medici veterinari e educatori, successivamente poi vengono organizzati altri incontri in cui si lavora insieme a livello di socializzazione, passeggiate al guinzaglio e nelle aree di sgambamento. Poi, ancora, in base alla necessità della famiglia stabiliamo altri incontri in cui il cane viene portato nell’habitat casalingo. Abbiamo creato una “family room” per gestire questi momenti insieme e abituare il cane all'ambiente domestico quindi ai rumori e ai suoni domestici».

Bisognerebbe così andare indietro nel tempo per fermare veramente chi abbandona: tornare a quel momento in cui un animale entra nella vita di una famiglia che non ha fatto una scelta ponderata e consapevole. Ma siccome non è ovviamente possibile farlo, è dunque arrivato davvero il momento di investire tempo e risorse nel fare cultura, nell'educare gli umani e investire nella prevenzione. Andare all’origine delle cause, del resto, è l’unica via d’uscita per una società civile che ancora cerca di combattere un sintomo, l’abbandono, di una malattia ancora più subdola: la superficialità con cui abbiamo promesso a un altro individuo di far parte della nostra vita, fermando all’origine la mano che sigla quel patto che poi sarà ineluttabilmente tradito.

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Hanno collaborato: Giulia Annicchiarico, Annissa Defilippi e Giampiero Valenza

Credits Video:

Aniello Ferrone – Senior Storyteller & Director
Francesca Iandiorio – Storyteller & Videomaker
Sergio Frasca – DOP
Valentino Ruggiero – Videomaker
Tonia Borriello – Make up
Francesca Ferrara – Production Assistant
Katia Valentino – Senior project manager
Giulia Pennelli – project manager specialist

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Diana Letizia
Direttrice editoriale
Giornalista professionista e scrittrice. Laureata in Giurisprudenza, specializzata in Etologia canina al dipartimento di Biologia dell’Università Federico II di Napoli e riabilitatrice e istruttrice cinofila con approccio Cognitivo-Zooantropologico (master conseguito al dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Parma). Sono nata a Napoli nel 1974 e ho incontrato Frisk nel 2015. Grazie a lui, un meticcio siciliano, cresciuto a Genova e napoletano d’adozione ho iniziato a guardare il mondo anche attraverso l’osservazione delle altre specie. Kodami è il luogo in cui ho trovato il mio ecosistema: giornalismo e etologia nel segno di un’informazione ad alta qualità di contenuti.
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