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14 Gennaio 2021
12:53

Val di Susa, lo stambecco bianco e il rischio ibridazione

Uno stambecco bianco senza corna, ibridato con una capra domestica, è stato avvistato in Val di Susa, in Piemonte. La notizia porta nuovamente alla luce i rischi che corre la specie, dopo aver perso gran parte della sua varietà genetica nell’Ottocento.

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Nel mese di novembre 2020 uno strano fenomeno ha attirato l’attenzione sulla fauna della Val di Susa, in Piemonte. Uno stambecco bianco e senza corna è stato avvistato sul monte Palon, a 3000 metri di altitudine. Luca Rossi, Professore ordinario del dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Torino è stato sul posto per andare a fondo della questione, scoprendo una realtà più complessa rispetto alle apparenze. Lo stambecco, infatti, non è un individuo affetto da albinismo, come ipotizzato al primo avvistamento, ma il risultato di un’ibridazione tra una femmina di stambecco (Capra ibex) e un maschio di capra domestica (Capra hircus). «Si tratta di un fenomeno conosciuto da sempre che sta vedendo un aumento negli ultimi anni. Sospettiamo possa essere causato dai pastori –  spiega il professore –  i quali potrebbero essere meno attenti di un tempo nel recupero degli animali del gregge».

Lo stambecco ibrido è perfettamente in forma e la sua età si aggira intorno ai 7 anni.  «Abbiamo dedotto che tra i due genitori dello strano animale, il padre fosse una capra domestica e  la madre un esemplare di stambecco alpino, la quale ha permesso al piccolo di far parte del gruppo. Se ad essere una capra domestica fosse stata la madre, probabilmente sarebbe stata recuperata dal pastore, ma un cucciolo bianco nato da ibridazione tra una capra domestica e uno stambecco non avrebbe potuto sopravvivere senza mamma».

Le caratteristiche dello stambecco

Questo abile arrampicatore abita gli ambienti più impervi delle nostre Alpi tra i 1.600 ed i 3.200 metri. Può permettersi di raggiungere altitudini così elevate grazie all’alimentazione a base di vegetali presenti anche tra rocce aride e impervie. La mancanza di ghiandole sudoripare, inoltre, spinge lo stambecco a cercare riparo dal caldo all’interno di grotte e buche calcaree sulle pendici delle montagne, dove le pendenze elevate rendono complessa la salita ad altri animali. Le creste e gli anfratti rocciosi, infatti, garantiscono una maggiore protezione dai predatori, incapaci di raggiungere questi luoghi.

A caratterizzare lo stambecco sono soprattutto le imponenti corna, le quali interrompono la crescita ogni inverno, per riprendere con l’arrivo della primavera. La caratteristica forma delle corna, utilizzate durante i combattimenti nel periodo degli amori, permette a chi li osserva di determinare l’età dell’animale contando il numero di cerchi presenti sulla superficie. Ogni cerchio, infatti, corrisponde ad un anno di vita.

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Credit video: Luca Rossi, Professore ordinario del dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Torino

Ma lo stambecco bianco della Val di Susa non ha corna. «A seguito del nostro sopralluogo e delle segnalazioni che abbiamo ricevuto – spiega ancora il veterinario – le quali sostenevano di averlo avvistato già 6 o 7 anni fa. Questo ci ha permesso di determinare l’età nonostante la mancanza delle corna». Una volta diffusa la notizia, i frequentatori della zona hanno riconosciuto anche un piccolo, quasi sicuramente figlio dell’ibrido individuato qualche tempo prima. «La domanda che ci stiamo ponendo – continua il professor Rossi – è come sia possibile che lo stambecco bianco abbia avuto accesso all’accoppiamento e ottenuto il rispetto degli altri maschi, vista l’assenza di corna, con le quali i suoi compagni combattono per ottenere la possibilità di riprodursi in un gruppo di 60 individui».

La conservazione dello stambecco

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La potente muscolatura e la grande agilità di questi animali nascondono una grande vulnerabilità. Per comprenderla bisogna tornare alla fine del 1800, quando gli ultimi 100 individui di stambecchi nel parco del Gran Paradiso hanno salvato la specie dal rischio di estinzione. La protezione degli ultimi stambecchi in questo parco del Piemonte, infatti, ha permesso alla specie di tornare a diffondersi lungo le creste di tutte le Alpi. Al tempo, gli stambecchi avevano rischiato di estinguersi su tutto il territorio montano del nostro paese a causa dell’eccessivo prelievo venatorio. A rendere lo stambecco una preda prelibata non erano solo le sue carni e i suoi possenti trofei, ma anche le capacità terapeutiche che gli venivano anticamente attribuite in tutto il territorio alpino. La medicina popolare alternativa, riteneva utili addirittura il sangue e le ossa di stambecco.

Proprio in questa fase delicata, lo stambecco toccò il numero minimo di presenze sulle Alpi.  La forte riduzione del numero portò lo stambecco ad una grave perdita di variabilità genetica e di potenziale adattativo della specie. Tutti gli stambecchi alpini di oggi sono infatti pronipoti dei pochi individui sopravvissuti all’800. La riduzione di variabilità genetica causa anche la riduzione della capacità del sistema immunitario di rispondere agli attacchi di agenti patogeni, dettaglio potenzialmente letale per tutta la specie, resa fragile 200 anni fa.

«La presenza di un ibrido all’interno di un gruppo di stambecchi è quindi estremamente pericolosa per l’intera specie – conclude lo studioso – Questi fenomeni non vanno tollerati. Le patologie delle capre domestiche, curate regolarmente dai pastori, rischiano di essere letali per la fauna selvatica, che non riceve queste cure». Risulta quindi chiaro che l’unica soluzione per evitare la trasmissione delle malattie alla fauna selvatica sia la prevenzione. Dopo il rischio corso nel XIX secolo, la vita dello stambecco è messa nuovamente a repentaglio a causa dell’uomo che, con la sua imperizia, consente alle greggi di spostarsi più indisturbate di un tempo e accoppiarsi inosservate con altre specie, geneticamente più delicate di quelle domestiche.

Bibliografia:

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Claudia Negrisolo
Educatrice cinofila
Il mio habitat è la montagna. Sono nata in Alto Adige e già da bambina andavo nel bosco con il binocolo al collo per osservare silenziosamente i comportamenti degli animali selvatici. Ho vissuto tra le montagne della Svizzera, in Spagna e sulle Alpi Bavaresi, poi ho studiato etologia, sono diventata educatrice cinofila e ho trovato il mio posto in Trentino, sulle Dolomiti di Brenta. Ora scrivo di animali selvatici e domestici che vivono più o meno vicini agli esseri umani, con la speranza di sensibilizzare alla tutela di ogni vita che abita questo Pianeta.
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