Usare animali vivi come esca per la pesca costituisce reato di maltrattamento? Dipende, la legge italiana stabilisce infatti alcune distinzioni a seconda del tipo di animale utilizzato.
Un caso che per lungo tempo ha fatto discutere, dapprima sulle pagine dei giornali e successivamente per il processo penale che ne è scaturito, è certamente quello riguardante tre uomini, i quali avevano utilizzato svariati piccioni vivi per la pesca al pesce siluro. Per entrare più in dettaglio, come emerge dagli atti giudiziari, avevano legato per le zampette i piccioni all’amo, costringendoli a seguire il volo della lenza fino a venire ripetutamente catapultati nel fiume quale richiami per la cattura del menzionato pesce siluro.
Usare piccioni come esca viva è maltrattamento
La pronuncia della Corte di Cassazione che ha posto fine al processo (la sentenza n. 17691 del 2019) ha stabilito il principio di grande rilevanza (e per niente banale o scontato, sebbene possa apparire tale a prima vista) secondo cui: utilizzare volatili vivi per la pesca costituisce reato di maltrattamento di animali, previsto all’art. 544 ter del Codice Penale.
Per i tre uomini è stata quindi confermata la condanna alla pena di 4.000 euro di multa (per ciascuno), in quanto «responsabili, in concorso fra loro, del reato di cui all'art. 544 ter c.p. (maltrattamento di animali) per aver utilizzato piccioni vivi gettandoli nel fiume come esche per la pesca dopo averli appesi per una zampa all'amo, provocando la morte di quattro uccelli», si legge nel testo del provvedimento.
A nulla sono valse le difese degli imputati i quali hanno sempre sostenuto come la condotta fosse da ritenersi non rilevante penalmente in quanto posta in essere nell’esercizio di un’attività lecita come è la pesca e poiché utile ai fini di quest’ultima. I difensori degli imputati hanno richiamato, in particolare, l’articolo 19 ter delle “Disposizioni di coordinamento e transitorie per il Codice penale” secondo cui le norme del medesimo codice che prevedono, tra gli altri, i reati di maltrattamento e uccisione di animali «non si applicano ai casi previsti dalle leggi speciali in materia di caccia, di pesca, di allevamento, di trasporto, di macellazione degli animali, di sperimentazione scientifica sugli stessi, di attività circense, di giardini zoologici, nonché dalle altre leggi speciali in materia di animali».
La Suprema Corte ha rilevato come questa tesi si fondi, in verità, su un’erronea lettura della norma. Per il Collegio il fatto di praticare un’attività lecita come è la pesca non giustifica a prescindere ogni condotta (anche crudele). Il comportamento è consentito e non integra un reato soltanto se rimane entro i limiti previsti dalla disciplina di quella propria attività e se in quanto tale è necessario a tale attività. Citando testualmente la Corte: «la normativa vigente in materia di pesca – nel cui ambito rientra la pesca sportiva, caratterizzata dall'uso della canna come attrezzo principale, ed esercitata a scopo ricreativo e amatoriale da singole persone, ovvero per attività agonistica – non disciplina le esche e conseguentemente neppure contempla l'utilizzo di animali viventi, onde l'esimente deve ritenersi inutilmente invocata: non è sufficiente che l'ordinamento attribuisca all'agente un diritto, ma è necessario che ne consenta l'esercizio proprio con l'attività e le modalità che altrimenti costituirebbero reato».
La Cassazione conclude osservando che: «la pesca, anche del pesce siluro, è comunque praticabile con le esche di uso comune (…), senza che debba farsi ricorso ai piccioni, che invece sono stati in tal modo sottoposti a condizioni insopportabili per le loro attitudini etologiche, ovverosia incompatibili con il comportamento proprio della specie di appartenenza, così come ricostruito dalle scienze naturali e perciò non giustificate dall'esigenza della pesca».
Quindi, se è vero che attività come pesca, caccia e macellazione (per fare alcuni esempi) sono lecite e fanno eccezione alle previsioni del Codice penale a tutela degli animali, non è altrettanto vero che ogni condotta, come quella di utilizzo crudele e lesivo di piccioni quali esche vive, sia a prescindere consentita. Le condotte rimangono nel lecito soltanto se strettamente funzionali (e necessarie) all’esercizio dell’attività regolata. L’uso cruento e crudele di volatili vivi non rientra nelle attività consentite (e necessitate) ai fini della pesca.
Si possono usare vermi vivi come esca?
La domanda che a tutti sorge spontanea, a questo punto, è: ma allora è vietato anche utilizzare i vermi vivi per la pesca? Ebbene la Corte ha preso posizione anche su questo aspetto ed ha distinto le due situazioni.
Per il Collegio, infatti, l’utilizzo delle larve (principalmente i bigattini o le camole) non contrasterebbe con le attitudini etologiche di tali esseri e non si presterebbe in ogni caso a recar loro sofferenze. Si legge: «del tutto diverso è l'impiego di volatili (…)», «è evidente come non solo le condizioni di cattività a cui tali animali sono stati costretti con l’imbracatura alla lenza, ma altresì l’attentato alla loro stessa sopravvivenza con gli affogamenti ripetuti nell'acqua (…) si configuri come una vera e propria sevizia, atta a provocare agli uccelli, quand'anche sopravvissuti, gravi sofferenze, indipendentemente dalle lesioni eventualmente arrecategli».
«Sostenere, così come fa la difesa, che i piccioni siano prede naturali del pesce siluro, costituisce argomento che surrettiziamente elude la ratio della noma in contestazione, come se fosse la natura di preda a determinare la legittimità del suo utilizzo, ed in ultima analisi del suo "sacrificio", per finalità assolutamente non necessarie rispetto allo scopo dell'attività amatoriale praticata che preveda la cattura del predatore: così opinando dovrebbe ritenersi legittimo l'impiego della gazzella per la caccia al leone o, restando nell'ambito dell'attività venatoria avente ad oggetto gli animali predatori nel territorio nazionale, della gallina o del cucciolo di un capriolo per la caccia alla volpe».