Un 40enne di Manerba del Garda, provincia di Brescia, è stato condannato in primo grado perché maltrattava i cani da lui allevati, mentre è caduta l'accusa di aver allevato gli animali per farli combattere. I fatti che hanno condotto all'arresto e al processo nei confronti dell'uomo risalgono al giugno 2017, quando la compagna si rivolse ai Carabinieri segnalando di essere stata picchiata.
Giunti all'abitazione dei due per appurare quanto denunciato dalla donna, le Forze dell'ordine si sono trovate davanti a un allevamento di Dogo argentini dalle orecchie tagliate e con ferite sul corpo che i militari hanno associato ai combattimenti fra cani. Sul posto è stato quindi richiesto l'intervento dei Carabinieri Forestali che hanno sequestrato gli animali e avviato le indagini per presunti combattimenti clandestini nei confronti del 40enne, già pregiudicato.
Non solo, durante gli approfondimenti investigativi il veterinario che aveva visitato i cani aveva riscontrato sui corpi di alcuni i segni di un probabile scontro con un ungulato. La scoperta ha fatto quindi profilare accanto all'ipotesi dei combattimenti fra cani, anche l'esistenza di incontri fra cani e altri animali. Ricostruzioni che però l'allevatore ha sempre rigettato, sostenendo in dibattimento di allevare cani per la caccia e non per la lotta.
All'apertura del processo, nel febbraio 2022, il Tribunale di Brescia ha accolto la Lav (Lega anti vivisezione) come parte civile, rappresentata dall’avvocato Vittorio Arena. A commentare con Kodami l'esito del primo grado di giudizio è il criminologo e responsabile dell'Osservatorio Nazionale Zoomafia dell'associazione, Ciro Troiano: «Questo caso è particolare perché è uno dei pochi casi di combattimenti tra cani e altri animali ad essere arrivato alla fase dibattimentale. La realtà dei combattimenti tra cani pur non essendo diffusissima è ancora presente e si tratta di un fenomeno che dovrebbe essere attenzionato con maggiore attenzione perché il combattimento è solo l'evento finale di un'attività criminale che inizia con l'allevamento e l'addestramento e che sottopone a maltrattamenti e privazioni etologiche gli animali coinvolti».
Nonostante i rilievi emersi, al termine del dibattimento è stata la stessa Procura bresciana a ritenere che non ci fossero prove sufficienti per chiedere una condanna per l'imputazione di aver allevato e addestrato cani al combattimento. L'uomo è stato quindi condannato solo per il reato di maltrattamento di animali.
Un epilogo che conferma quanto rilevato da Troiano nell'ultima edizione del Rapporto Zoomafia rispetto alla marginalità delle inchieste sui combattimenti tra cani. «Si tratta di azioni che ricadono nel maltrattamento organizzato – aveva spiegato il criminologo a Kodami – fenomeni seriali che necessitano di continuità nel tempo e di una precisa struttura organizzativa. Dopo un sequestro di cani reduci da combattimenti le persone vengono denunciate per maltrattamento, ma non viene messa in atto un'indagine per smantellare la rete che permette l'esistenza dei combattimenti».