Ogni anno, la corsa delle tartarughine appena nate verso il mare cattura l'attenzione di studiosi e appassionati, ma fino a poco tempo fa c'era un grande punto interrogativo su ciò che accade un attimo prima di quel momento: come fanno esattamente le tartarughe a emergere dalla sabbia? Un nuovo studio, appena pubblicato sulla rivista Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences, ha finalmente svelato il mistero, grazie all'uso di zainetti fatti su misura.
Questi "zainetti" non sono altro che piccoli accelerometri, strumenti utili a misurare i movimenti e i cambiamenti di velocità degli animali che li indossano, registrando anche i movimenti avanti e indietro oppure laterali. È la prima volta che questa tecnologia viene utilizzata per studiare i movimenti delle tartarughe appena nate. Lo studio è stato condotto sull'isola di Heron, in Australia, una delle spiagge preferite dalle tartarughe verdi (Chelonia mydas) per la nidificazione, situata all'estremità meridionale della Grande Barriera Corallina.
Gli scienziati, grazie a un rilevatore di schiusa, sapevano esattamente quando le piccole stavano per uscire dalle uova, cosa che avviene circa 60 giorni dopo la deposizione. Al momento giusto, hanno quindi scavato delicatamente nella sabbia per trovare le prime tartarughine già emerse dall'uovo e attaccare loro il piccolo accelerometro sulla schiena. La sabbia è stata poi ricomposta e le tartarughine sono state lasciate libere di muoversi. I dati raccolti hanno rivelato diversi risultati inediti e piuttosto sorprendenti.
Le tartarughine, pur schiudendosi senza sapere in alcun modo quale sia la direzione "giusta" verso la superficie, riescono quasi sempre a orientarsi correttamente verso l'alto. Inoltre, in precedenza si pensava che scavassero per uscire dal nido alternando le piccole pinne, ma il movimento registrato dagli accelerometri è in realtà molto più simile al nuoto, con movimenti verso dorso-ventrali verso l'alto, invece che laterali. Le tartarughine, quindi, più che scavare, nuotano letteralmente nella sabbia, muovendosi come se fossero già in acqua.
«Non ci si pensa, ma ci vuole uno sforzo incredibile per questi piccoli esseri nel nuotare nella sabbia al buio, con pochissimo ossigeno», ha spiegato Lisa Schwanz, coautrice dello studio. «Succede proprio sotto i nostri piedi, ma non avevamo ancora la tecnologia per comprendere a fondo questo fenomeno». Lo studio ha anche svelato che le tartarughine riposano solo per brevi periodi durante la loro scalata verso la superficie. Inoltre, il loro movimento cambia a seconda della profondità: quando si avvicinano alla superficie, si muovono solo di notte, probabilmente per evitare i predatori.
«Quando immagino una tartarughina appena uscita dall'uovo, penso a quanto sia immersa nel buio completo», ha aggiunto Davey Dor, autore principale dello studio. «Non ci sono segnali che indichino quale sia la direzione verso la superficie, eppure si orientano e si muovono verso l'alto con incredibile precisione». Questa nuova metodologia apre la strada a una migliore comprensione dell'ecologia delle tartarughe marine, rispondendo a numerose domande che potrebbero portare a nuove misure di conservazione per proteggere questi antichi e affascinanti rettili.