I comportamenti ripetitivi dei cani possono riguardare azioni come rincorrersi la coda (tail chasing), mordersi le zampe e la parte posteriore del corpo, ma anche fissare le ombre, inseguire i riflessi di una luce o abbaiare in maniera ritmica e compulsiva.
Per comprendere quali siano i fattori di rischio associati ai comportamenti ripetitivi, un team di ricercatori dell'Università di Helsinki, ha svolto uno studio analizzando 4.436 cani che vivono in contesti differenti ed appartengono a 22 diverse razze, rilevando la presenza di comportamenti ripetitivi nel 16% dei soggetti.
I risultati hanno permesso di evidenziare una maggiore propensione ai comportamenti ripetitivi nel caso in cui i cani vivano in famiglie numerose o con chi non aveva mai accolto un cane prima d'ora, oppure se, durante il giorno hanno a disposizione mediamente meno di un'ora di attività motoria.
In aggiunta, lo studio ha rilevato una più alta possibilità di proporre comportamenti ripetitivi da parte di determinate razze ed ha approfondito anche altri fattori che, al contrario, non influiscono in alcun modo sulla frequenza di questi particolari aspetti del comportamento, come la differenza tra ambiente di vita urbano e rurale e la dimensione del cane stesso.
Grazie all'identificazione di questi fattori, i ricercatori ritengono che vi sia la possibilità di sviluppare strategie per ridurre la frequenza dei disagi alla base dei comportamenti ripetitivi, intervenendo con la prevenzione e con l'ausilio di studi futuri studi sulla genetica delle razze più inclini a questi comportamenti.
«Questo studio, di fatto, dà un supporto scientifico a ciò che per gli addetti ai lavori era per ora un forte sospetto – spiega Luca Spennacchio, istruttore cinofilo e membro del comitato scientifico di Kodami – Ciò non significa però che non si tratti di un'evoluzione importante perché l'evidenza scientifica fornisce ulteriore valore al lavoro dell'istruttore cinofilo ed aumenta il dialogo tra il mondo della scienza e quello della cinofilia che, talvolta, sono ancora troppo distanti».
Cosa sono i comportamenti ripetitivi e quali razze li manifestano con maggiore frequenza
Il comportamento ripetitivo può essere causato da una stereotipia (ripetizione di schemi motori senza apparente scopo o funzione), oppure da un comportamento compulsivo (ripetizioni di un comportamento inappropriato con l'obiettivo di raggiungere un risultato).
«Spesso si tratta della manifestazione di disagi causati dal dolore generato da patologie o da una selezione genetica svantaggiosa e disfunzionale per la razza – aggiunge Spennacchio – Possono essere, però, anche manifestazioni di stati di ansia dettati da stress irrisolvibili da cui il cane non riesce ad uscire».
Per quanto riguarda le razze, secondo lo studio finlandese, vi è una maggiore propensione ai comportamenti ripetitivi soprattutto da parte di Pastori Tedeschi, Chinese Crested Dog, Welsh Corgi Pembroke e Staffordshire Bull Terrier.
Proprio su Kodami abbiamo pubblicato un articolo in cui si approfondisce un caso di studio recente su un Pastore Tedesco che è riuscito a superare attraverso il supporto di un team interdisciplinare e con il costante aiuto della sua famiglia la stereotipia del tail chasing in cui era entrato.
Ciò che salta subito all'occhio dallo studio di Helsinki è che si tratta di cani che spesso sono caratterizzati da una spiccata reattività. Un ulteriore fattore che i ricercatori hanno rilevato come condizionante nello sviluppo di stereotipie e comportamenti compulsivi, è infatti, quello che definiscono iperattività e che, a sua volta, viene collegato appunto, all'impulsività.
«Trovo molto interessante che tra le razze che dimostrano un tasso inferiore di comportamenti ripetitivi vi siano, ad esempio, i Lagotti, ovvero una razza che ha subito minori pressioni sull'estetica, conservandosi così più sana – aggiunge l'istruttore cinofilo – I Pastori Tedeschi e i Chinese Crested Dog, che non a caso si trovano proprio in cima a questa classifica, spesso vengono invece selezionati in maniera incontrollata e forse, con meno attenzione verso il loro benessere fisico e psicologico».
L'influenza dell'esperienza della famiglia, della presenza di altri cani e dell'attività fisica
Un'ulteriore analisi svolta nell'ambito dello studio finlandese riguarda invece la correlazione tra i comportamenti ripetitivi e la convinzione, espressa dal pet mate attraverso un questionario, che il proprio cane sia "aggressivo".
Nell'ambito della ricerca infatti, le famiglie partecipanti sono state chiamate a rispondere ad alcune domande riguardo la personalità dei cani, assegnando un punteggio da 1 a 6 ad alcuni tratti scelti dai ricercatori.
Sebbene non sia corretto definire un individuo aggressivo, ma sia piuttosto più adeguato parlare più nello specifico di manifestazione di comportamenti aggressivi, questo particolare fattore può essere un importante spunto di riflessione.
Secondo le risposte ottenute dalle famiglie, infatti, molto spesso questi cani non hanno a disposizione più di un'ora di attività motoria al giorno, vivono in una famiglia inesperta oppure in un nucleo familiare particolarmente numeroso.
Questi tre fattori, in realtà, non hanno nulla a che fare con la genetica dell'animale ma riguardano invece, variabili esterne, legate agli ambiti relazionali e condizionati fortemente dai propri umani di riferimento.
«Se abbiniamo l'alterazione dell'equilibrio comportamentale, dato come abbiamo visto da una selezione spregiudicata della razza, alla convivenza con una famiglia inesperta è naturale che aumenti la frequenza delle situazioni in cui il cane vive un disagio – spiega Spennacchio – Questo elemento dimostra quanto sia importante conoscere in anticipo sia la razza che si sceglie di adottare sia le necessità del cane come individuo e come appartenente ad una specie».
Per quanto riguarda invece l'aumento dei comportamenti ripetitivi nei cani che vivono in famiglie numerose, secondo l'esperto si tratta molto probabilmente di un segnale che riguarda gli stili di vita umani che si riflettono sui cani.
«Non possiamo averne la certezza, e in questo caso parliamo quindi di ipotesi, ma è facile pensare che laddove vi siano molti umani che convivono aumentino anche gli stili comunicativi – spiega Spennacchio – Ciò significa che il cane affronterà probabilmente più incoerenza e meno chiarezza nelle regole da rispettare nel gruppo. Inoltre, non dimentichiamo che laddove vi sono più individui aumenta anche la frenesia e i ritmi sono spesso serrati. Se il cane vive con un solo umano, invece, il clima è probabilmente più disteso, le regole sono più chiare e il pet mate è più disposto a vivere tutti i momenti in compagnia del proprio compagno cane, riducendo così anche i momenti di solitudine o di esclusione dal gruppo».
L'ambiente che ci circonda ha un valore inferiore rispetto ai nostri stili di vita
I risultati dello studio, infine, non hanno rilevato differenze nella frequenza di comportamenti ripetitivi tra i cani che vivono in città e quelli che vivono in ambienti rurali.
«Questo risultato non mi stupisce – aggiunge Spennacchio – Mi viene piuttosto naturale pensare, infatti, che i nostri comportamenti nei confronti dei cani con cui viviamo determinino la qualità della loro vita in maniera più importante rispetto alla sola disponibilità di ambienti esterni di cui il cane, spesso, non sa che farsene senza di noi».
Secondo l'esperto, in ultimo, questi risultati offrono anche lo spunto per un'analisi antropologica riguardo ciò che, nella società moderna, siamo disposti ad offrire ai cani che vivono con noi. «Non dobbiamo dimenticare che il cane è un animale sociale, un amante dell'esplorazione che attende volenteroso di poterci accompagnare nella vita – conclude Spennacchio – La resilienza che gli viene richiesta per accettare una vita fatta di immobilità per 23 ore al giorno è davvero esagerata. Oltre alle importanti conseguenze delle nostre azioni sulla genetica, dovremmo quindi interrogarci più spesso anche sullo stile di vita che siamo in grado di offrirgli».