Quando bisogna monitorare lo stato di salute di una certa specie si analizzano parametri basati sul numero di individui, le differenze nei sessi, il successo riproduttivo e così via: informazioni strettamente zoologiche e conservazionistiche che, però, poco hanno a che fare con le emozioni degli esseri viventi. Ma il benessere mentale e psicologico degli animali può essere un elemento molto importante e lo dimostra uno studio sui brumbies, i cavalli selvaggi, effettuato da Andrea M. Harvey dell'UTS Center for Compassionate Conservation, i cui risultati sono stati recentemente pubblicati su MDPI e che propone un nuovo modello che mette in correlazione il benessere fisico con quello mentale.
Molti di noi hanno in casa animali domestici e siamo capaci di comprendere i loro stati d'animo e le loro emozioni, anche se parliamo due linguaggi completamente differenti, perché viviamo a stretto contatto e soprattutto è di nostro interesse essere certi che stiano bene. Harvey ha però utilizzato lo stesso approccio anche per lo studio degli animali che vivono liberi. «Non possiamo sapere con certezza cosa stia passando per la mente di un animale e cosa provi esattamente. Tuttavia, sappiamo che le emozioni derivano da stati fisici che possiamo misurare direttamente».
Ma cosa è effettivamente "misurabile" con questo metodo? Considerando che si vogliono analizzare le emozioni degli animali, è necessario interrogarsi su come farlo nella maniera più corretta. Per quanto si possa pensare il contrario, non è così difficile: basta concentrarsi sugli stessi parametri utilizzati di norma per il monitoraggio degli animali osservandoli, però, da un altro punto di vista. «L'alimentazione, l'ambiente fisico, la salute e le interazioni comportamentali forniscono indizi anche sulle emozioni degli animali. Tutti questi parametri includono stati negativi come la sete, la fame, il caldo e il freddo, il disagio, il dolore, la fatica, l'ansia e la paura e mentre quelli positivi sono la sazietà, l'attività fisica, la vitalità fisica e le interazioni sociali positive», ha spiegato Harvey.
Durante i suoi studi sui cavalli selvaggi ha utilizzato un nuovo metodo da lui denominato "Five Domains Model", un modello che evidenzia come gli stati fisici ed emotivi siano strettamente collegati. Si parte con la consona misurazione dei quattro domini fisici e funzionali (1. Nutrizione; 2. Ambiente fisico; 3. Salute; e 4. Interazioni comportamentali) dai quali si deducono le condizioni emotive degli individui, sia positive che negative, che vengono incasellate al dominio 5. Da queste, infine, viene elaborata la descrizione dello stato di benessere dell'animale.
È evidente che in questa tipologia di approccio non vengono esclusi i parametri che fungono da pilastri della biologia della conservazione, bensì vengono utilizzati come basi per dedurre, e successivamente analizzare ed interpretare, gli stati emotivi delle varie specie che derivano da quelli fisico e fisiologici.
Per comprendere meglio questo concetto, è utile fare un parallelismo con l'uomo. Quante volte ci capita di essere stanchi perché non abbiamo dormito abbastanza, abbiamo saltato il pranzo per via dei troppi impegni o semplicemente perché siamo giù di morale e non abbiamo energie per portare a termine alcuni compiti? Tutti i comportamenti e le manifestazioni fisiche sono legate alle emozioni e, di conseguenza, ogni specie ha il suo modo di dimostrarlo.
Harvey ha quindi studiato differenti specie animali nel corso della sua carriera come i koala, i canguri e gli uccelli acquatici australiani. Ogni specie è a sé e presenta sfide uniche come l'identificazione degli individui, la valutazione delle emozioni in grandi popolazioni e la considerazione di ambienti e habitat diversi. Per non contare poi il fatto che si tratta di animali selvatici, quindi molto più distanti da noi rispetto a quelli domestici, come i cavalli liberi. È chiaro che vivere con un altro animale ci permette di osservarlo e conoscere meglio ogni sua sfaccettatura, cosa impossibile da fare per lunghi periodi con specie selvatiche in natura.
Non è detta, però, l'ultima parola. In casi come questi si può ricorrere alla tecnologia e le fototrappole sono perfette per questo scopo. Questi strumenti immortalano gli animali durante le loro giornate, cosa che permette di analizzarne il loro comportamento focalizzandosi su specifici aspetti come la postura o le espressioni facciali. Così come per esempio le marcature individuali e i sistemi di monitoraggio come i radiocollari.
Questo approccio ha un immenso potenziale perché potrebbe stravolgere i metodi tradizionali con i quali attualmente si fa ricerca nell'ambito della biologia della conservazione. «Le valutazioni del benessere animale devono far parte di tutto il monitoraggio della fauna selvatica e, in ultima analisi, di tutte le decisioni sulle politiche ambientali che devono tenere conto non solo delle singole specie, ma anche delle interazioni tra specie diverse e dei loro ecosistemi», ha sottolineato Harvey.