Il disturbo compulsivo è una condizione debilitante che colpisce sia gli esseri umani che gli animali, caratterizzata da pensieri ossessivi e comportamenti stereotipati ricorrenti. Tra questi il "tail chasing", ovvero il rincorrersi la coda fino anche ad autolesionarsi, è tipico dei soggetti che soffrono di questo disagio.
Uno studio a firma di un team interdisciplinare e rappresentativo dell'importanza del lavoro di equipe è stato appena pubblicato su Frontiers. Lo hanno condotto la veterinaria esperta in comportamento Rosanna Carpentieri, il veterinario e istruttore riabilitativo-comportamentale Luigi Sacchettino, la veterinaria Claudia Gatta, Danila D'Angelo e Luigi Avallone, professori del Dipartimento di Veterinaria dell'Università Federico II di Napoli e Francesco Napolitano, responsabile scientifico dell’animal facility CEINGE-Biotecnologie Avanzate.
Gli esperti si sono occupati del caso di un cane, un mix Pastore Tedesco di sette anni, che era completamente immerso nel disturbo compulsivo tanto da essere arrivato a farsi del male. Il suo percorso di riabilitazione si è concluso con successo dopo sei mesi, grazie alla combinazione di alcuni farmaci insieme ad un percorso riabilitativo comportamentale basato su modalità di relazione in cui il cane è stato coinvolto in stretta collaborazione con la sua famiglia che lo ha sostenuto in tutto e per tutto.
Un Pastore Tedesco e la sua famiglia: quando la strada è in salita ma non si lascia indietro nessuno
L'incontro con gli esperti è avvenuto all'indomani del giorno più buio, quando il cane era stato portato al pronto soccorso di una clinica veterinaria per la profondità delle ferite che si era causato. Il fattore scatenante, leggendo lo studio e il referto allegato, erano stati i botti di Capodanno ma il cane aveva iniziato a mettere in atto il comportamento di mordersi la coda e anche i fianchi da almeno un anno.
Ma i motivi per cui questo Pastore Tedesco è arrivato a causarsi delle lesioni risiedono in una storia che inizia molto tempo prima, ovvero dipende da tutto quello che gli è successo negli anni precedenti.
«Quando si affronta un percorso di riabilitazione è fondamentale ricostruire la vita del cane, conoscere il profilo della razza e le componenti genetiche e escludere o includere eventuali patologie biologiche prima di tutto», spiega a Kodami Luigi Sacchettino. «Nel nostro caso c'è subito da sottolineare che non aveva nessun problema biologico e che la famiglia si è impegnata tantissimo per far sì che potesse uscire dal comportamento ossessivo. Anche le scelte che sono state fatte prima di giungere a noi e che purtroppo hanno inficiato sulla sua salute mentale erano state prese pensando che fossero corrette, affidandosi a persone che così gli avevano consigliato di procedere».
Il coautore dello studio si riferisce al fatto che il cane aveva mostrato i primi sintomi a un anno e la famiglia da subito aveva provato a capire cosa gli stesse succedendo. Questo li aveva portati ad avere delle esperienze prima con un educatore cinofilo e poi con un addestratore che aveva sottoposto il cane ad un addestramento coercitivo.
In questo secondo caso, la famiglia era stata anche esclusa dal lavorare con lui e il Pastore Tedesco aveva vissuto lontano da loro per ben sei mesi perché secondo la persona cui si erano rivolti così andava fatto per "rimetterlo in sesto". Lo vedevano una volta a settimana, facendo attività lontane da ciò di cui il cane aveva bisogno, ovvero collaborare e entrare in una relazione di fiducia e ascolto, ma «le tecniche utilizzate si basavano principalmente sullo strangolamento del collo e sulla costrizione. Ogni volta che commetteva un errore (quando tirava al guinzaglio o si lanciava contro le auto) – è riportato nello studio – Al ritorno a casa, il paziente sembrava “più tranquillo”, anche se iniziava ad avere anche alterazioni del ritmo del sonno e a girare intorno al tavolo o alle sedie, soprattutto in presenza di rumori forti».
«La famiglia ha continuato quel percorso ma ha capito che le cose stavano peggiorando sempre di più quando dopo averlo riportato per due settimane nel centro di addestramento e averlo poi ripreso, i sintomi erano nettamente peggiorati. Pochi giorni dopo, è stato portato dal toelettatore e, tornato a casa, il cane è entrato in maniera ossessiva nel comportamento di tail chasing – ricorda Sacchettino – La famiglia poi ha deciso di adottare un altro cane, una femmina di 2 mesi di razza medio-grande, sempre pensando che potesse essere d'aiuto. In realtà i due cani sono poi stati tenuti separati, per paura che il Pastore potesse non accettare la sua presenza e cosa che ha causato ancora più stress e l'aumento del comportamento compulsivo».
E' così che si arriva alla notte di Capodanno e all'intervento d'urgenza, in totale sedazione, per medicare le terribili ferite che si era autoinflitto. «Sono stati bravissimi i colleghi clinici a far capire alla famiglia che il cane aveva bisogno di essere visitato da un veterinario esperto in comportamento e mandarlo da noi. E la famiglia, nonostante la stanchezza e la frustrazione della situazione in cui si trovavano tutti, ancora una volta non si è tirata indietro e anzi avevano anche un senso di colpa addosso. Da quel momento in poi la nostra visione è stata quella di riconoscere di fronte a noi un individuo che dovesse essere supportato in maniera sistemica dal punto di vista anche ma non solo farmacologico e di lavorare in team intorno a lui e alla sua famiglia per provare a dare una svolta a una situazione gravissima».
Durante l'esame comportamentale, il cane mostrava uno stato di agitazione continua: ipersalivazione, girava intorno al tavolo, era in iperventilazione, ipermotricità e ansimava tanto. «Trascorreva gran parte della sua giornata sul terrazzo perché in famiglia vive una persona con problemi motori e avevano paura potesse farla cadere – spiega Sacchettino – Ma le persone del suo nucleo familiare avevano sempre cercato di aiutarlo e hanno seguito con attenzione la terapia e i nostri consigli su come relazionarsi con lui».
«Tre mesi dopo il trattamento farmacologico, associato ad un programma di recupero comportamentale, la persona di riferimento ha notato il miglioramento degli eventi compulsivi nel suo cane, in termini di intensità e frequenza. Nei successivi tre mesi il Pastore Tedsco non ha avuto nuovi episodi di inseguimento della coda – precisa Sacchettino – Abbiamo atteso i primi 15 giorni per stabilizzare i farmaci prima di iniziare il percorso terapeutico comportamentale e una volta a settimana abbiamo lavorato insieme alla famiglia. Le attività che abbiamo fatto sono state tutte rivolte a consentire al cane di esprimere le sue motivazioni e provarne gratificazione in collaborazione con i suoi umani di riferimento. Lo stesso abbiamo fatto facendo interagire lui e l'altro cane di famiglia: ora vivono insieme serenamente».
La terapia comportamentale da un punto di vista sistemico e l'importanza della letteratura scientifica associata alla pratica
Nello studio si analizza la letteratura scientifica relativa alla genetica delle razze, un punto di partenza importante per arrivare poi alla storia individuale dei cani che vivono accanto a noi, ricordando quanto sia fondamentale affrontare ogni caso in base alla personalità del cane che si ha di fronte.
Studi precedenti, come riportato nel lavoro di Sacchettino e degli altri autori, hanno dimostrato che «insieme alle fasi primarie e giovanili, il periodo di socializzazione (noto anche come "periodo sensibile") nei cani è considerato una finestra temporale chiave (3-14 settimane di età) per lo sviluppo e il mantenimento di relazioni umane durature, dal momento che iniziano ad apprendere come interagire con le loro madri e compagni di cucciolata e far fronte a eventi stressanti».
Nel caso supportato, il mix Pastore Tedesco era stato trovato per strada da un volontario, insieme ad altri cinque cuccioli di 20 giorni. Il cucciolo poi era stato tenuto in stallo, senza alcun tipo di contatto con cani, persone e ambiente, fino a quando poi era arrivata l'adozione a 4 mesi di età. «Di conseguenza – si legge ancora nella review – i giovani cuccioli crescono in ambienti isolati, si impegnano spesso in "auto-giochi" (cioè, anche il Tail chasing) ed è probabile che mostrino comportamenti anormali. Pertanto, la vendita di cuccioli, svezzati prima o che vivono soli in luoghi piccoli e isolati, può contribuire allo sviluppo di questo disturbo ossessivo canino e, in alcuni casi, di comportamenti stereotipati».
«Sulla base di ciò – continua Sacchettino – abbiamo ragionato sull'importanza di puntare sull'aumento delle esperienze di socializzazione con la famiglia e l'altro cane che vive nello stesso contesto. In particolare, abbiamo svolto attività olfattive e giochi, passeggiate insieme e momenti di relax condivisi».
Lo studio sottolinea in particolare che l'utilizzo di alcuni farmaci, in base anche a evidenze scientifiche pregresse, ha aiutato soggetti in cui l'ansia rappresenta un'ulteriore potenziale caratteristica correlata al rincorrersi la coda ma il cane a cui è stato dato supporto non è mai stato considerato un «paziente psichiatrico», precisa il veterinario e istruttore: «Abbiamo associato anche un integratore complementare al farmaco perché il cane non è un "caso patologico" e basta ma un soggetto che deve essere sostenuto su tutti i fronti e tutto ruota intorno allo ristabilire la sistemica familiare e un contesto sereno per ogni elemento che contribuisce nel far sì che la riabilitazione sia funzionale».
La combinazione di modificazioni comportamentali e farmaci, infatti, ha portato a una significativa diminuzione dell'intensità e della frequenza del comportamento ossessivo e «questo approccio è spesso indicato come una scelta per affrontare problemi di questo tipo e affronta il tema del benessere dell'animale, come descritto in precedenza da altri studi», continuano gli autori nel testo.
«Il successo (o il fallimento) della riabilitazione comportamentale per il cane non si basa solo sullo stato fisico e mentale dell'animale – sottolineano gli autori – ma anche sul ruolo che la personalità del compagno umano gioca durante il programma riabilitativo. L'istruttore cinofilo e il veterinario esperto in comportamento forniscono un valido supporto per creare più facilmente un'atmosfera rilassata, utilizzando una strategia più specifica e su misura per affrontare e gestire al meglio il disturbo».
Fondamentale, dunque, è stato creare le condizioni affinché la famiglia si aprisse a una nuova esperienza, ovvero ad ascoltarlo e accompagnarlo invece di giudicarlo e rimproverarlo. Questo approccio rappresenta il prerequisito per uno stretto legame tra il cane e la persona di riferimento e per questo gli autori ritengono anche che «è estremamente importante la formazione specifica di tutte le figure professionali che operano nel campo dell'etologia canina ed è per questo che in Italia esiste una differenza tra educatore cinofilo, addestratore cinofilo, istruttore cinofilo e veterinari».
Per quanto riguarda la casistica di questo tipo di comportamenti in determinate razze, il Pastore Tedesco rientra tra quelle che più lo mettono in opera come è riportato nello studio: «In particolare, Bull Terrier, Doberman, Pinscher e Pastori Tedeschi hanno dimostrato di avere un alto tasso di sviluppare comportamenti compulsivi come il tail chasing. L'età di insorgenza di un tale disturbo nei cani può rispecchiare quella sperimentata nei pazienti umani, manifestandosi nella fase peri-puberale (6-12 mesi di età), suggerendo così una potenziale responsabilità genetica di tale disturbo. L'inseguimento della coda è un classico comportamento compulsivo sperimentato dai cani, che spesso si verifica in modo fasico, caratterizzato da episodi in cui il cane fissa la coda in silenzio per un po', prima di riprendere a inseguire».
Oggi il cane sta bene, riesce ad avere una vita normale con la sua famiglia e l'utilizzo dei farmaci ad ora è stato sospeso. «Il follow up continua e questo studio oltre ad aver portato quella serenità che tutti i componenti del nucleo familiare meritavano speriamo possa servire a chi si trova nella stessa situazione e che sia un messaggio rivolto alla collaborazione tra tutti noi che ci occupiamo dei cani rispettando le loro necessità etologiche e riconoscendoli nella loro individualità», conclude Luigi Sacchettino.