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16 Dicembre 2021
8:00

Unesco allarga la lista dei Paesi in cui la falconeria è Patrimonio Immateriale dell’Umanità, ma ha senso?

L'agenzia delle Nazioni Unite sottolinea l'importanza sociale della falconeria. Ma oggi ha ancora un senso addestrare animali selvatici, trasformandoli in volatili semi-domestici al servizio dell'uomo?

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Giornalista
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Quelle zampe legate e quelle teste incappucciate la dicono lunga sul benessere di falchi e aquile reali, i grandi protagonisti dell’antica pratica della falconeria. Una pratica che già nel 2016 l’Unesco aveva deciso di premiare inserendo 18 Paesi, tra cui l’Italia, nella Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale dell'Umanità.

Ieri l'agenzia delle Nazioni Unite creata con lo scopo di promuovere la pace e la comprensione tra le nazioni, ha deciso di includere in quella stessa lista 6 nuovi paesi: Croazia, Irlanda, Kirghizistan, Paesi Bassi, Polonia, Slovacchia. Promuovendo quindi di fatto una pratica nata nell’antico Oriente e prosperata nel Medioevo grazie ad un’aristocrazia dedita alla caccia, ma che oggi appare sempre più una formula obsoleta che stenta a trovare giustificazioni, appellandosi alla conservazione e all’ecologia.

Le motivazioni dell’Unesco

«Originariamente metodo per ottenere cibo, la pratica della falconeria si è evoluta nel tempo per essere associata alla conservazione della natura, al patrimonio culturale e all'impegno sociale all'interno e tra le comunità – spiega tra le motivazioni l’Unesco. – Seguendo il proprio insieme di tradizioni e principi etici, i falconieri addestrano, fanno volare e allevano rapaci (falchi, aquile e gufi) sviluppando un legame con loro e diventando la loro principale fonte di protezione».

Germania, Arabia Saudita, Austria, Belgio, Emirati Arabi Uniti, Spagna, Francia, Ungheria, Italia, Kazakistan, Marocco, Mongolia, Pakistan, Portogallo, Qatar, Repubblica Araba di Siria, Repubblica di Corea e Repubblica Ceca fanno parte della Lista dal 2016. Da ieri i diciotto Paesi sono aumentati con l’inserimento di Croazia, Irlanda, Kirghizistan, Paesi Bassi, Polonia e Slovacchia.

«La conoscenza e le competenze vengono tramandate tra generazioni all’interno delle famiglie attraverso un mentore ufficiale ed esercitazioni in club o scuole – sottolinea ancora l’Agenzia –  In alcuni paesi per divenire falconiere è necessario superare un esame nazionale. I festival e gli incontri organizzati dai falconieri danno alle comunità l’opportunità rafforzare la condivisione e promuovere la diversità».

Le scuole di falconeria in Italia, il club per sole donne in Inghilterra

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Da alleata dei cacciatori in tempi in cui la caccia era ancora largamente diffusa, a strumento per il controllo di “uccelli fastidiosi” come piccioni, storni e corvidi, fino a metodo educativo e, addirittura, “passatempo” calcistico, l’evoluzione della falconeria testimonia la difficoltà di traghettare, in epoca contemporanea, stili di vita e valori largamente in decadenza come la caccia e la necessità di sfruttare animali per questa pratica ormai largamente, e fortunatamente, in disuso.

Eppure, anche soltanto rimanendo in Italia, non mancano ancora oggi le scuole di falconeria che, in un minimo di un giorno ad un massimo di un paio di settimane, propongono corsi più o meno approfonditi. Si possono trovare scuole a Torino, Milano, Reggio Emilia, in Calabria e anche a Roma con costi che partono dai 100 euro al giorno. In Gran Bretagna, dove è ancora una pratica piuttosto diffusa, è nato il Female Falconers Club per mettere in contatto le donne falconiere in tutto il Regno Unito, organizzando eventi e incontri sul campo che includono tutti i livelli di abilità e sono accessibili a tutte le età.

Simbolo di prestigio negli Emirati, in Qatar e nella Penisola Arabica

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Prodotta dalla cultura orientale, le prime testimonianze della sua pratica si hanno infatti nella civiltà mesopotamica dei Sumeri, la falconeria si diffonde in Europa soprattutto durante il Medioevo, trovando in seguito larghissima diffusione nelle mondane corti rinascimentali, fino a ritornare di moda nella seconda metà dell’Ottocento trasformandosi in un hobby, più o meno come oggi. Attualmente i falconieri più attivi e appassionati sono quelli della Penisola araba, dove la caccia praticata con animali da preda rimane simbolo di ricchezza e di prestigio.

Nel Qatar, in Arabia Saudita e negli Emirati, dove si spendono 27 milioni di dollari l’anno per la difesa degli uccelli da preda, si svolgono periodicamente gare di bellezza dei rapaci allevati in cattività, oltre che gare venatorie, ed esistono grandi centri di allevamento degli uccelli da preda. Sui voli della compagnia di bandiera degli Emirati Arabi, la Emirates, gli unici animali ammessi in cabina sono i falchi, debitamente incappucciati e incatenati, al braccio dei loro proprietari/addestratori.

La “modernizzazione” di un’attività ormai fuori moda

Ma con la pratica della caccia ormai in caduta libera e un’attenzione sempre maggiore alla sensibilità e al benessere degli animali, che senso ha l’allevamento e l’addestramento di falchi e aquile con lo scopo di sfruttarne l'attitudine alla predazione a beneficio esclusivamente umano? Negli ultimi anni la falconeria ha cominciato ad essere utilizzata per allontanare vari tipi di uccelli che con il loro movimento possono essere danno alle attività umane.

Come raccontato su Kodami, la tecnica consiste nell’utilizzo di rapaci opportunamente addestrati ad allontanare alcune specie di volatili infestanti, come piccioni, gabbiani, cornacchie, aironi. Parimenti è cresciuta la tendenza a volerne trovare una giustificazione nella sua potenzialità educativa nei confronti di ragazzi e bambini, per i quali l'addestramento di questi volatili diventerebbe lo spunto per la conoscenza e l'approfondimento delle conoscenza di specie diverse.

Conservazione delle specie in pericolo o semplice sfruttamento di animali selvatici?

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Considerando però che parliamo di animali selvatici, predatori solitari che naturalmente non socializzerebbero con l’uomo e che il loro addestramento altro non è che un sistema coercitivo che si basa sulla dipendenza derivante dall’alimentazione, si fa una certa fatica a capire come un bambino o un ragazzo possano essere educati a buone pratiche ambientali osservando il comportamento di animali imprigionati da un cappuccio e dalle zampe perennemente legate.

La pretesa giustificazione conservazionistica che vede negli allevatori di animali destinati alla caccia degli strenui combattenti contro i pericoli di estinzione dovuti al bracconaggio, sembra ancora più vacua. Allevare animali per poterne uccidere altri, sempre a scelta inoppugnabile dell’uomo, non può sembrare che un discorso di parte che fa acqua da tutte le parti. La bellezza del volteggiare libero di un'aquila reale o il volo in picchiata di un falco pellegrino, che la natura ha già dotato di un piccolo casco di piume nere da cui prende il nome senza bisogno di mettergliene uno che gli tolga la possibilità di vedere, non hanno bisogno di un addestramento e di una catena per evitare una fuga inevitabile. Così come gli uomini non hanno più bisogno di addestrare animali alla caccia, per poter godere del tempo trascorso in mezzo alla natura, e di una scusa per combattere il bracconaggio e il pericolo di estinzione di alcune specie a rischio.

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Maria Grazia Filippi
Giornalista
Scrivo da sempre, ma scrivere di animali e del loro mondo è la cosa più bella. Sono laureata in lettere, giornalista professionista e fondatrice del progetto La scimmia Viaggiante dedicato a tutti gli animali che vogliamo incontrare e conoscere nei luoghi dove vivono, liberi.
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