Durante la storia dell'umanità, la nostra specie ha cercato diverse volte di addomesticare i grossi felini, fallendo miseramente ogni volta. Per quanto infatti gli eserciti indiani abbiano cominciato ad allevare le tigri, cercando di renderli strumenti di guerra, o gli antichi romani abbiano cercato talvolta di addomesticare i felini provenienti dalle loro conquiste territoriali per risparmiare i sesterzi necessari per il loro acquisto, nessuno è riuscito a perseguire questo obiettivo in circa 12.000 anni di civiltà umana.
Le ragioni dietro questo fallimento sono molte e sono collegate alla stessa natura e biologia degli animali che sarebbero dovuti in teoria divenire parte del folto gruppo di animali domestici che col tempo abbiamo posto sotto il nostro controllo. Ma perché animali come le tigri non possono essere addomesticati come i gatti? Alla fin dei conti, non si sta parlando sempre di felini? Visto che appartengono alla stessa famiglia alcuni potrebbero confondersi e pensare che dovrebbero in teoria essere soggetti entrambi in egual modo alle tecniche di addomesticazione. Ma così non è e vediamo insieme perché.
Per chiarire subito la fallacia di questo ragionamento semplicistico, si può iniziare osservando le differenze presenti fra queste specie animali, per comprendere che in verità la presunta somiglianza fra i gatti e i loro cugini selvatici si limita solo a poche caratteristiche in comune. Oltre infatti alle differenze di taglia, questi animali scelgono prede diverse, abitano habitat molto distanti fra di loro e hanno delle esigenze e dei comportamenti sociali, che non possono essere paragonate.
Il gatto domestico, come il gatto selvatico che è il suo parente più prossimo, presenta una socialità più marcata rispetto alla tigre che non apprezza formare grandi gruppi sociali, formati da diversi individui. Inoltre la stessa taglia della tigre, il secondo carnivoro più grande conosciuto, impedisce a questa specie di condividere il proprio territorio con molti altri individui, poiché qualsiasi giungla non riuscirebbe a garantirne la sopravvivenza alimentare. Ciò ha quindi spinto le tigri a preferire la vita solitaria e a basare le loro capacità di sopravvivenza sull'individualismo, limitando al massimo la condivisione delle risorse che risulta invece essere un fattore molto importante per quelle specie che nel tempo sono andate positivamente incontro all'uomo.
La domesticazione del gatto
Il gatto selvatico, in teoria, sembra condividere molte più caratteristiche con la tigre che con il suo parente più prossimo, ovvero il gatto domestico, per via del suo carattere diffidente e della sua predisposizione alla solitudine. Eppure è proprio dall'avvicinamento all'uomo di questo piccolo animale boschivo che derivano le varie razze di gatto, che sono presenti attualmente nelle nostre case.
Come è avvenuta però la domesticazione di questo animale e come mai ha scelto di seguire la nostra specie, quando dal punto di vista selvatico era (ed è) una creatura diffidente agli estranei?
L'ipotesi più accreditata vuole che a differenza del cane il gatto abbia cominciato a convivere con la nostra specie ben prima che l'uomo iniziasse a pensare che potesse essere utile alla nostra civiltà. Circa infatti 12 o 11.000 anni fa, l'essere umano aveva appena cominciato ad inventare i primi sistemi che gli garantivano il sostentamento grazie all'agricoltura. Ma uno dei problemi connessi all'introduzione di questa biotecnologia fu un aumento vertiginoso del numero di parassiti che cominciarono a infestare i campi. I topi e le blatte furono in particolar modo gli ospiti più indesiderati, essendo infatti gli animali che attaccavano più efficacemente le scorte come i campi di grano in cui si produceva il cibo.
Di conseguenza, grazie a questo aumento delle loro prede naturali, i gatti selvatici trovarono molto più soddisfacente e conveniente spostare i propri territori di caccia dai boschi e dalle praterie ai nuovi campi coltivati dagli esseri umani, che seppur all'inizio provarono a scacciarli, alla fine vi trovarono un alleato naturale contro gli animali infestanti.
Dopo qualche millennio, all'interno di quelle valli fluviali in cui veniva praticata di più l'agricoltura (fra cui quelle presenti in Egitto e nella Mezzaluna fertile), gli uomini cominciarono a comprendere il vantaggio di avere i gatti domestici come parte ufficialmente della propria comunità. Questi esseri umani infatti avevano già addomesticato cani e buoi, dunque avevano le competenze tecniche per "convincere" i gatti selvatici – che in maniera latente nascondevano una complessa forma di socialità innata – a trasferirsi definitivamente da loro, iniziando così il processo di domesticazione.
La prima varietà che fu domesticata proveniva da una sottospecie africana, il Felis silvestris var. Libyca, che a differenza di altri gatti selvatici, come quelli europei, aveva continuato ad accompagnare l'avanzata dell'uomo, vivendo per secoli ai margini dei suoi campi coltivati.
Da organismi commensali, i gatti così si legarono definitivamente all'uomo, spostandosi all'interno delle loro case. Mutarono forma, dimensione, comportamento e anche il colore della pelliccia che veniva sempre di più sottoposta al controllo delle scelte estetiche dovute alle selezione artificiale voluta dall'uomo.
I gatti, dal canto loro, in cambio della perdita della libertà e di un leggero abbassamento dell'aggressività ricevettero maggior cibo, protezione, come più probabilità di sopravvivenza e la possibilità di veder i propri figli crescere maggiormente in termini di età.
Al gatto selvatico quindi convenne cedere parte della sua indipendenza per divenire domestico, per quanto alcune popolazioni di gatti mai raggiunte dall'uomo continuarono a vivere secondo i vecchi stili di vita che li mantennero in uno stato di selvaticità.
Questi gatti selvatici divennero inoltre col tempo ancor più diffidenti e timorosi nei confronti dell'umanità, poiché essendo la nostra specie ora accompagnata da dei felini minacciosi che ne pattugliavano le abitazioni e le campagne, s'instaurò un conflitto con la nostra specie che allontanò sempre di più i gatti domestici dai loro cugini che abitavano i boschi.
Si può addomesticare una tigre?
Una tigre è un grosso predatore che presenta una certa aggressività quando è costretto a convivere con altri esemplari della stesse specie. Non avendo uno stile di vita che gli consente di formare molte amicizie, istintivamente questi animali sono appunto aggressivi nei confronti delle altre tigri e degli altri animali. Anche quando piccoli gruppi si incontrano in natura sono spesso formati quasi sempre o da giovani che cercano di difendere insieme un piccolo territorio o da una madre con dei figli che si preparano a tagliare il loro legame.
Le tigri hanno inoltre bisogno di un enorme spazio, di molta carne e di una certa dose di privacy. Condizioni che se risultano mancanti per lunghi periodi aumentano direttamente l'aggressività di questi animali. In estreme condizioni, le tigri sono inoltre note per attuare il cannibalismo, seppure sia stato accertato scientificamente che non uccidono i propri piccoli come estrema risorsa quando soffrono di una forma di digiuno prolungato: una madre rischia infatti di morire di fame pur di sfamare i propri piccoli, mentre sono i maschi adulti a commettere talvolta aggressioni nei confronti dei giovani quando sono stremati per colpa delle carestie.
Viste queste premesse, che impediscono di gestire questi animali soprattutto in grandi numeri, sembra quindi strano che qualcuno abbia pensato di poter addomesticarli. Il possesso di tigri tuttavia è sempre stato collegato a prestigio sociale e ricchezza e così – anche sapendo che questi animali sono difficili da gestire e del tutto inutili come "armi da guerra" – qualcuno ha cercato di imporgli la domesticazione, con effetti disastrosi.
La stessa presenza delle tigri "ammaestrate" nei circhi o nei santuari dei felini indiani e americani – divenuti particolarmente famosi col documentario Netflix Tiger King (alias Joseph Allen Maldonado-Passage) – testimonia il livello del fallimento avvenuto.
Le tigri presenti in queste strutture vengono infatti catturate in natura quando sono molto giovani o nascono all'interno stesso dei circhi. Vengono addestrate a compiere i diversi giochi circensi o a sottostare alla compagnia dell'uomo, venendo giornalmente maltrattati fin dalla più tenera età e inibite ogni volta cercano di esprimere il loro comportamento naturale o di sfuggire al controllo degli uomini.
Le tigri non traggono nessun piacere dalla compagnia dell'uomo: né quando vengono forzate a compiere balzi all'interno delle gabbie, insieme ai leoni, né quando vengono cresciute come dei grossi animali domestici nei ranch americani.
Non fatevi dunque ingannare dalle foto sorridenti presenti sui social in cui i presunti pet mate abbracciano o vengono abbracciati da tigri in salute: quegli scatti infatti non ritraggono la quotidianità e la vita di questi animali è così colma di stress che in genere muoiono ad una età precoce.
Dal punto di vista etico tentare di addomesticare una specie selvatica di grandi dimensioni che non presenta il comportamento sociale adatto per vivere dignitosamente questa condizione è riprovevole. Anche perché dietro al possesso di una "tigre domestica" – come viene definita in Russia, negli Stati Uniti e in Cina – gli animali sono costretti a vivere in una prigionia costante e spesso arrivano da catture di bracconieri e dal mercato illegale di fauna selvatica.
Alcune delle tigri possedute da Tiger King, per esempio, non solo provenivano da fonti non controllate ma erano anche costrette a riprodursi forzatamente e a subire violenze da parte di altri tigri pur di garantire il successo economico dell'azienda gestita dal criminale americano. Un animale domestico, invece, per essere definito tale deve invece riuscire a vivere e a riprodursi abbastanza facilmente, all'interno dell'ambiente antropico, e non trovarsi a disagio di fianco all'uomo. Una condizione che le tigri non rispecchiano appieno, perché necessitano l'intervento diretto dell'uomo per rimanere in cattività o per favorire l'arrivo di nuove nascite.