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10 Ottobre 2023
13:32

Una pista d’impronte del Nuovo Messico riscrive l’arrivo dell’uomo in America

Secondo la nuova datazione di una pista di impronte fossili trovata nel Parco nazionale di White Sands, nel New Mexico, la nostra specie sarebbe arrivata in Nord America alcune migliaia di anni prima la fine dell'Era Glaciale.

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Gli antropologi hanno da sempre sostenuto che la nostra specie è arrivata in America tra 16.000 e 13.000 anni fa, al termine dell'ultima era glaciale. A quell'epoca, infatti, risalgono i più antichi reperti e ritrovamenti umani del Nord America ed era ancora possibile sfruttare il ponte di ghiaccio dello Stretto di Bering che connetteva la punta occidentale dell'Alaska con le isole dell'estremo oriente russo.

Nel corso del 2021, tuttavia, una scoperta sorprendente ha messo per la prima volta in crisi questa teoria. Andando infatti ad effettuare una datazione al radiocarbonio su una pista di impronte fossili del Parco nazionale di White Sands nel New Mexico, negli Stati Uniti, gli antropologi si sono trovati per la prima volta in difficoltà, visto che le impronte sembrano risalire tra 21.000 e 23.000 anni fa.

Per alcuni anni la scoperta è stata ritenuta abbastanza controversa dagli archeologi e dagli storici, finché il dottor Jeffery Pigati dell'US Geological Survey, autore anche del precedente studio, ha deciso insieme ad alcuni suoi colleghi di effettuare una seconda datazione, così da confermare nuovamente un'origine antecedente al presunto arrivo dell'uomo negli Stati Uniti e cambiare completamente la storia del popolamento delle Americhe.

«Quando compimmo la prima datazione, la reazione immediata in alcuni ambienti della comunità archeologica è stata particolarmente sgradevole. Ci hanno accusato di usare metodi sbagliati, per non dire inadeguati, per sostenere la straordinaria affermazione che gli esseri umani erano presenti in Nord America durante l'Ultimo Massimo Glaciale», ha spiegato il dottor Pigati. Principalmente la controversia era incentrata sull'accuratezza della datazione al radiocarbonio che in questi casi viene impiegata dagli esperti per datare l'origine delle varie superfici.

Come affermato dallo stesso autore all'interno del suo più recente studio pubblicato su Science, il contenuto delle critiche consisteva principalmente nel metodo utilizzato per datare la pista. Gli scienziati avevano infatti determinato l'età dei semi della comune pianta acquatica Ruppia cirrhosa, che erano stati trovati a pochi metri dalle impronte fossilizzate. Secondo però alcuni critici, questa pianta era in grado d'acquisire carbonio dagli atomi disciolti nell’acqua piuttosto che nell’aria ambiente, portando a degli errori di misurazione che in questo caso avrebbero contribuito a far credere agli scienziati che le impronte fossero più antiche di quanto lo sono realmente.

Fortunatamente, mentre cominciavano ad arrivare critiche, quando fu pubblicata la prima datazione delle impronte Pigati e i suoi colleghi stavano già per mettere in piedi un altro team, in grado di valutare in modo indipendente l'accuratezza della datazione tramite altri sistemi. «Abbiamo sempre saputo che avremmo dovuto valutare in modo indipendente l'accuratezza delle nostre epoche per convincere la comunità archeologica che il popolamento delle Americhe è avvenuto molto prima di quanto si pensasse tradizionalmente», ha spiegato Pigati all'interno del suo articolo.

Insieme a Kathleen B. Springer, a Jeffrey S. Honke e a Matthew R. Bennett, tutti colleghi o ex studenti del US Geological Survey, Pigati si è maggiormente concentrato sulla datazione al radiocarbonio del polline di conifere, perché provenendo da piante terrestri evitano le potenziali polemiche sollevate con l'utilizzo dei semi di Ruppia cirrhosa. Inoltre, in questo caso il team si è concentrato per isolare circa 75.000 granelli di polline per ciascun campione, così da fornire il miglior dato risolutivo possibile.

Anche in questo caso i risultati sono stati abbastanza chiari. Secondo le età calibrate del carbonio-14, l'età di questo polline, estratto a pochi metri dalla pista, ha una età che va da 23.400 a 22.600 anni fa, confermando in pratica la datazione effettuata sui semi delle piante acquatiche. Utilizzando inoltre un'altra tecnica di datazione, chiamata luminescenza stimolata otticamente, gli scienziati hanno scoperto che i campioni di quarzo raccolti all’interno degli strati contenenti le impronte avevano un’età minima di 21.500 anni, fornendo ulteriore supporto ai risultati del radiocarbonio.

«In breve le nostre scoperte chiudono definitivamente le polemiche – chiarisce la dottoressa Springer – e supportano inequivocabilmente la conclusione che gli esseri umani erano presenti in Nord America durante l'Ultimo Massimo Glaciale». Gli archeologi e gli storici sono quindi avvisati. Devono adeguarsi ad una realtà in cui l'uomo è arrivato in Nord America qualche migliaia di anni prima rispetto a quanto era sostenuto in passato, tempo in cui la nostra specie non si è lasciata – secondo le conoscenze oggi disponibili – molto dietro le sue spalle, mentre esplorava il continente.

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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