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12 Aprile 2021
10:50

Una casa provvisoria per la Fondazione Cetacea: 23 tartarughe restano però nello spazio inagibile

C’è una soluzione temporanea per l’ospedale delle tartarughe della Fondazione Cetacea di Riccione. L’amministrazione comunale ha infatti concesso uno spazio all’associazione che dal 2008 si trova in alcuni locali che erano stati dichiarati inagibili per motivi di sicurezza. L'area è stata data in uso gratuito fino a fine anno ma il percorso è ancora da definire per dare una casa sicura a tutti gli animali che vengono ospitati dalla Fondazione.

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C’è una soluzione temporanea per "l’ospedale delle tartarughe" della Fondazione Cetacea di Riccione. L’amministrazione comunale ha infatti concesso uno spazio all’associazione che dal 2008 si trova in alcuni locali che erano stati dichiarati inagibili per motivi di sicurezza. L'area è stata data in uso gratuito fino a fine anno ma il percorso è ancora da definire per dare una casa sicura a tutti gli animali che vengono ospitati dalla Fondazione.

«Il Comune ha trovato nelle ultime settimane una soluzione adeguata per gli uffici, aiutandoci tra l’altro nel trasloco delle nostre cose, permettendoci di spostarli in un edificio agibile in prossimità della nostra storica sede, dandoci questo nuovo spazio in comodato d’uso gratuito per altri 7 mesi – spiega a Kodami Sauro Pari, presidente della Fondazione Cetacea – Resta il problema della zona dove si trovano le vasche di ospedalizzazione, dove ora sono ricoverate le 23 tartarughe attualmente nostre ospiti, che è nello spazio reso inagibile a seguito dell’ordinanza del Comune dello scorso gennaio, il quale però ci ha dato una deroga che ci permette di entrare per poterle curare».

Per Pari si tratta di una risposta «chiaramente temporanea, che dovrà avere soluzione se c’è l’intenzione di continuare a tenere in cura a Riccione gli animali nel prossimo futuro». «Nel frattempo continuiamo a lavorare a pieno regime nel recupero degli animali e nel progetti di ricerca ed educazione ambientale – aggiunge – Per quest’estate per esempio abbiamo in serbo una grande novità: saremo imbarcati per 5 mesi in Mediterraneo con un progetto di turismo ecosostenibile e citizen science, dove i turisti saranno parte attiva nella raccolta di dati scientifici per quattro Università italiane: Università di Bologna, Università di Milano Bicocca, Università Politecnica delle Marche e l’Università di Pisa. In questa “crociera” a bordo di una barca a vela di 18 metri, il Moana60, si faranno attività nei Centri di recupero tartarughe marine dislocati lungo tutte le tappe e nelle aree marine protette. Un progetto complesso e ambizioso che ha già raccolto adesioni e patrocini importanti, da parte di enti di ricerca e istituzioni. Porteremo a bordo anche progetti europei sulla conservazione ambientale, come gli Interreg Soundscape, Marless, Sushidrop e Mpa-Engage, Circles e infine Life Medturtles sulla tutela della tartaruga marina in Mediterraneo».

Più di 45.000 tartarughe vivono nell'alto Adriatico

L’alto Adriatico è una delle zone in Mediterraneo con la più alta concentrazione di tartarughe marine, soprattutto della specie Caretta caretta. «Sarebbero oltre 45.000, censite nel 2013 dal progetto Net Cet, gli esemplari di tartaruga marina che popolano queste zone, attirate soprattutto dalla gran quantità di pesce di cui questi animali si nutrono – aggiunge Pari – Soprattutto della specie Caretta caretta, ma anche saltuariamente delle Chelonia mydas (la tartaruga verde) e Dermochelys coriacea (la tartaruga liuto): tutte e tre sono inserite nella Lista Rossa delle specie in pericolo di estinzione dell'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (Iucn), e purtroppo con troppa frequenza si trovano a ‘correre dei guai’ proprio a causa dell’interazione con le attività antropiche, in primis pesca professionale e sportiva e traffico nautico». L’impegno di Fondazione Cetacea onlus va proprio nella direzione del soccorso di questi esemplari che in Emilia Romagna e Marche si ritrovano a rischio a causa di catture accidentali in attrezzi da pesca oppure che vengono ferite nell’impatto con imbarcazioni, o che subiscono le conseguenze di inquinamento e cambiamenti climatici.

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