In un giorno, una balenottera azzurra che si nutre di krill può ingerire 10 milioni di pezzi di microplastica, mentre una megattera che si nutre di pesce può ingerire 200mila pezzi di microplastica. Questi sono i risultati dello studio condotto dai ricercatori della Stanford University pubblicato sulla rivista Nature.
Il team, guidato da Shirel Kahane-Rapport e Matthew Savoca ha scoperto che le balene si nutrono prevalentemente a profondità di 50-250 m, in concomitanza con le più alte concentrazioni di microplastica misurate in mare aperto. Dai modelli elaborati dai ricercatori emerge che quasi tutta l'ingestione di microplastica, pari al 99%, avvenga attraverso il trasferimento trofico, cioè attraverso l'alimentazione. Le misurazioni hanno inoltre rilevato che le concentrazioni di microplastiche tra i 200 e i 600 metri di profondità sono dieci volte superiori a quelle misurate in superficie.
Dalla prima rilevazione di pezzi di plastica all'interno della catena alimentare marina sono passati circa cinquant'anni, eppure in mezzo secolo la produzione e lo smaltimento di questo materiale sono aumentati di oltre venti volte, e il trend non accenna a diminuire.
A farne le spese sono almeno 1.500 specie diverse, prime fra tutte balene, megattere e capodogli, rappresentanti della megafauna marina che ingeriscono soprattutto le particelle più piccole di plastica: microplastiche e microfibre. In particolare, per questi grandi mammiferi l'ingestione secondaria di plastica attraverso il trasferimento trofico può essere la via di esposizione principale.
Nonostante ricerche precedenti abbiano suggerito che la megafauna marina sia esposta a quantità elevate di microplastiche perché capace di filtrare l'acqua carica di detriti, secondo gli studiosi di Standford i maggiori responsabili del trasferimento trofico sono i piccoli pesci e lo zooplancton che si trovano regolarmente a ingerire microplastiche, venendo poi mangiati a loro volta dalle balene.
Tuttavia, la quantità di microplastiche consumate dalle balene rimane sconosciuta. «Senza queste informazioni – hanno detto i ricercatori – è difficile sviluppare valutazioni del rischio di esposizione per comprendere i potenziali effetti sulla salute o stabilire strategie per sostenere la mitigazione dei piani di gestione di specie ed ecosistemi».
Il problema della plastica in mare e dell'ingestione di microplastiche riguarda tutte le specie. Proprio questa estate per la prima volta gli scienziati dell’Università di Amsterdam hanno trovato microplastiche nel sangue e nella carne degli animali d’allevamento, ma sono gli animali marini a correre i rischi maggiori. Per questo la Comunità Europea ha approvato la direttiva 2019/904, nota come Sup (Single-use plastics) per dire stop alla plastica monouso.
Non tutti i paesi membri l'hanno recepita però allo stesso modo. L'Italia ha rinviato l'approvazione della "plastic tax" al 2023, consentendo il commercio di utensili realizzati con "plastica biodegradabile" che invece la Sup censura esplicitamente. La plastic tax colpisce i manufatti in plastica con singolo impiego, cioè gli imballaggi monouso usati per confezionare la gran parte dei prodotti presenti nei supermercati. La tassa però dopo essere stata introdotta nella legge di Bilancio 2020 su iniziativa dell'allora ministro della transizione ecologica Sergio Costa, e sarebbe dovuta entrare in vigore dal 1 gennaio 2022.
Nel frattempo sulle isole di plastica stanno nascendo nuove comunità di piante e animali, e anche in Italia migliaia di granuli di microplastiche sono state trovate sulle coste di Brindisi.