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20 Ottobre 2023
12:41

Un teschio di pipistrello di 50 milioni di anni fa ci aiuta a capire l’origine dell’ecolocalizzazione

Gli scienziati hanno studiato un teschio fossile di pipistrello per riuscire a capire come è nata l'ecolocalizzazione in questi mammiferi, circa 50 milioni di anni fa.

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Un team internazionale composto da diversi paleontologi e guidato da Suzanne J. Hand dell'University of New South Wales di Sydney, ha appena pubblicato uno studio in cui grazie all'analisi di un teschio fossile sono riusciti a comprendere meglio l'origine dell'ecolocalizzazione nei pipistrelli, identificando tra l'altro la prima specie – per quanto ne sappiamo oggi – che è riuscita effettivamente a utilizzare questa abilità per orientarsi al buio e andare a caccia di piccole prede durante la notte.

L'articolo è stato pubblicato su Current Biology e si concentra principalmente sulla ricostruzione di un cranio che presenta delle caratteristiche molto importanti per l'evoluzione di questo sonar biologico e che è appartenuto a un pipistrello che visse durante l'Eocene: il Vielasia sigei, una piccola specie trovata in Europa in un deposito nelle caverne di Vielase, nel sud-ovest della Francia, il cui cranio viene genericamente riconosciuto dai paleontologi come il più antico finora conosciuto.

Come è infatti possibile osservare dalla ricostruzione 3D, questo cranio è intatto e presenta tutte le strutture scheletriche della testa dell'animale. Prima della sua scoperta, gli scienziati erano costretti a lavorare con una documentazione fossile in cui esistevano principalmente frammenti o scheletri completamente appiattiti. Tra i ritrovamenti di questo tipo abbiamo uno scheletro parziale trovato in Portogallo, risalente a 57 milioni di anni fa e quindi ancora più antico del Vielasia sigei trovato in Francia. Con il ritrovamento di Vielase, tuttavia, è cambiato tutto e gli esperti hanno potuto comprendere finalmente l'anatomia di questi antichi animali e quali potessero essere i loro sensi più sviluppati.

Come i pipistrelli moderni, Vielasia sigei possiede tra la scatola cranica e l'orecchio alcune particolari ossa, chiamate ossa ioide. La loro presenza è molto importante, perché è direttamente collegata all'ecolocalizzazione e allo sviluppo dei padiglioni auricolari particolari che assumono certi pipistrelli per captare meglio i rumori. Nello specifico, in questo antico esemplare è possibile vedere una di queste ossa entrare direttamente in contatto con quelle dell’orecchio medio per svolgere delle funzioni nella trasmissione fisiche delle onde sonore ad alta frequenza.

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C'è però anche di più. Grazie all'integrità di questo scheletro, gli scienziati hanno potuto misurare con precisione anche le ossa dell'orecchio interno e confrontarli con quelli dei pipistrelli che oggi effettuano l'ecolocalizzazione e anche con quelli che non lo fanno, scoprendo che Vielasia sigei si pone esattamente nel mezzo dell'evoluzione di questo particolare "senso extra".

«Questa specie dell'Eocene ha utilizzato questa capacità con una certezza del 100%», ha dichiarato la Hand, commentando i risultati delle ricerche. – È molto convincente il fatto che il tipo di ecolocalizzazione utilizzato da questi primi pipistrelli fosse indistinguibile da quello utilizzato oggi da molte specie. E bisogna inoltre anche ricordare che 50 milioni di anni fa questi animali erano molto più avanti rispetto alle balene nello sviluppo di questa capacità».

Prima di questa scoperta, gli scienziati erano certi che questa capacità si fosse sviluppata solo recentemente nelle famiglie più moderne di pipistrelli. I risultati della nuova indagine quindi cambiano completamente gli scenari evolutivi di questi animali. Per quale ragione però i pipistrelli svilupparono l'ecolocalizzazione e in generale quando comparve nel loro gruppo?

Per quanto riguarda la seconda domanda, è molto probabile, spiegano i ricercatori, che i primissimi pipistrelli capaci di usare questo sonar biologico fossero i diretti antenati di Vielasia sigei, che comparvero poco tempo prima. Si sta parlando quindi di un periodo che va dai 55 a 51 milioni di anni fa. Le ragioni evolutive che hanno spinto invece questi mammiferi a dotarsi di un senso dell'udito così particolare sono probabilmente sempre state quelle connesse alla vita notturna e all'alimentazione. Se si vanno infatti a osservare i denti di Velasia sigei e di altre specie della stessa epoca che presentano solo dei frammenti è possibile infatti notare che sono indistinguibili rispetto a quelli possedute dalle specie attuali.

Piccoli denti affilati, ottimi per afferrare le prede, che probabilmente erano utili per uccidere insetti come altri piccoli mammiferi e rettili, che vivevano negli antichi boschi di un'Europa eocenica, che era completamente diversa rispetto a quella che conosciamo oggi, essendo completamente ricoperta da foreste e dominata da grossi uccelli predatori in grado persino di cibarsi degli antenati dei cavalli.

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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