Qualche giorno fa, un gruppo di conservazione che è molto focalizzato sulla biodiversità del Nord America, NatureServe, ha pubblicato un report sullo stato di salute della fauna selvatica degli Stati Uniti che sta facendo molto discutere. In tale rapporto, infatti, oltre 1.000 biologi della conservazione indipendenti, che per 50 anni hanno lavorato senza sosta in azioni di monitoraggio, hanno delineato un panorama abbastanza fosco per il futuro di tutti gli ecosistemi naturali americani, tanto che secondo gli stessi esperti si tratterebbe dello scenario peggiore che nessuno avrebbe voluto che si realizzasse in passato. Secondo i dati, risulterebbe che un terzo (forse anche di più) delle specie selvatiche che vivono in territorio americano sono da considerarsi a "rischio estinzione" e che ormai è palese che il governo federale, per non dire l'umanità in generale, ha poco tempo per invertire il declino che ha colpito la biodiversità.
Dai grafici messi a disposizione del report, gli scienziati descrivono bene l'entità del danno di cui si sta parlando. Il 40% delle specie animali e il 34% delle specie vegetali sono a rischio di estinzione imminente nel Paese e il 41% degli ecosistemi naturali statunitensi è da considerarsi al collasso, ovvero potrebbero essere già persi per sempre, essendo già incapaci di auto-mantenersi e di resistere agli attacchi del cambiamento climatico e degli incendi. Quali sono però le specie che sarebbero a maggior rischio di estinzione negli USA?
Prima di rispondere a questa domanda, bisogna chiarire il fatto che molte delle specie a rischio non rientrano negli standard della grande fauna vertebrata, le cui sorti riescono a far empatizzare gran parte della popolazione. Non si tratta di animali carini o delle specie bandiera, che spesso catturano l'attenzione del pubblico grazie al fascino che suscitano nella mente delle persone. La maggioranza delle specie presenti in questa lista non presentano caratteri particolari e alcune di queste non sono solitamente considerati animali dal bell'aspetto. Non per questo, però, chiariscono i ricercatori, non debbono essere considerati importanti per la sopravvivenza degli ecosistemi.
Affermato questo punto, gli animali più a rischio negli USA sono le lumache, con il 75% di chiocciole d'acqua dolce e il 74% di chiocciole terrestri a rischio estinzione. Queste sono seguite poi dalle cozze d'acqua dolce (65% a rischio), dai gamberi di fiume (55% a rischio), dai gamberi di mare (48% a rischio ) e dalle api selvatiche (37% a rischio). Come si può notare, gran parte delle specie che rientrano all'interno di questo rapporto sono invertebrati di acqua dolce, a dimostrazione dell'enorme perdita di aree palustri e zone umide nel territorio americano (in teoria protette dalla Convenzione di Ramsar) e dell'aumento dell‘inquinamento dei corsi d'acqua.
Per quanto riguarda invece le piante, le specie più minacciate sono le cactacee, fondamentali per i territori desertici ma anche per tutte quelle specie animali, fra cui i chirotteri, che sono loro impollinatori. Anche però le orchidee (27% a rischio), le specie arboree (20% a rischio) e le erbe spontanee (19% a rischio) fanno fatica a resistere alla perdita dei loro habitat. Inoltre, bisogna anche dire che i biologi di questo report hanno accusato le politiche ambientali locali ed internazionali di aver trascurato le specie botaniche. Secondo loro le piante difatti saranno particolarmente più vulnerabili in futuro, perché i vari governi non sversano gli stessi livelli di fondi e finanziamenti che invece (per fortuna!) vengono ancora garantiti per la conservazione degli animali.
Andando oltre, tra gli altri gruppi principali di vertebrati, quelli che sono a più rischio di estinguersi entro pochi anni sono gli anfibi, con il 42% a rischio, seguiti da pesci (35% a rischio), dai rettili (22% a rischio), dai mammiferi (18% a rischio) e infine dagli uccelli (12% a rischio), che però nel corso della loro storia hanno già subito numerose e clamorose estinzioni, come quella della colomba migratrice americana (Ectopistes migratorius), che era la specie di uccello più numerosa al mondo fino al XX secolo. Sono però gli ecosistemi in generale a preoccupare di più gli esperti.
Gli ecosistemi americani che dovrebbero essere infatti tutelati meglio sono le foreste tropicali, seguiti dalle praterie tropicali e dalle scogliere, che secondo i biologi del report hanno il 100% di ciascuna categoria a rischio di collasso su vasta scala, ovvero non presentano una specie (una!) che non possa essere considerata in pericolo imminente. Altri ecosistemi che risultano compromessi sono le savane tropicali (88% a rischio), le praterie temperate e le foreste temperate (40% a rischio ), che però hanno subito già grandi estinzioni locali, come quelle dei bisonti (Bison bison) e dei grizzly (Ursus arctos horribilis). Molto minacciato negli ecosistemi montani e sub montani invece è il puma o leone di montagna (Puma concolor), ancora minacciato a causa delle caccia illegale e dei bocconi avvelenati.
Il report ci permette anche di capire quali sono gli stati degli USA più colpiti da questa perdita di Biodiversità. La più alta concentrazione di specie ed ecosistemi a rischio infatti si troverebbe in California, Louisiana e in Texas, con alcune popolazioni specifiche di specie che hanno persino smesso di riprodursi.
Le cause di questo declino sono molto, ma già sufficientemente note alla scienza e al grande pubblico. I responsabili principali di questo degrado degli habitat sono le aziende agroalimentari che sversano nel suolo e nelle acque enormi quantità di pesticidi e inquinanti. L'inquinamento delle altre industrie e i cambiamenti climatici inoltre colpiscono quasi tutti gli stati, con "incidenti" ambientali abbastanza regolari, come quello che è avvenuto qualche giorno fa in Ohio, dove un treno carico di liquidi tossici è deragliato, inquinando la falda sotterranea. Infine le specie invasive e gli animali da fattoria sono le prime minacce che deve affrontare la fauna selvatica degli Stati Uniti, in quanto sono i primi competitor – assieme all'asfalto e alla cementificazione – con cui interagiscono, tramite la competizione alimentare e spaziale.
«Se vogliamo mantenere i livelli di biodiversità di cui godiamo attualmente, già inferiori a quelli del passato, dobbiamo prendere di mira i luoghi in cui la biodiversità è maggiormente minacciata – ha affermato il presidente di NatureServe Seon O'Brien. – Solo così potremo garantire un futuro a noi stessi e alle specie che oggi sono minacciate. E questo rapporto ci consente di farlo, per quanto le sue conclusioni possano essere definite "terrificanti".»
I risultati di questo report sono in linea con le previsioni effettuate dalla IUCN e da altri enti di ricerca. Non solo negli USA, ma anche nel resto del mondo, sono numerosissime le specie che rischiano di scomparire prima della metà del secolo. E a fare ancora più male ai biologi e a tutti gli appassionati di natura di tutto il mondo non sono le difficoltà occorse nel salvaguardare le creature a rischio, ma il sempre più preoccupante disinteresse di molte istituzioni, locali finanche alle nazionali, quasi come se il movimento ambientalista e le necessità di protezione siano venute meno e non fossero giudicate importanti rispetto "a ciò che conta davvero".
«Eppure la battaglia contro l'estinzione non è andata già persa e abbiamo ancora tempo per migliorare le sorti di molte specie – hanno scritto i ricercatori nel report. – Il rapporto in questo aiuterà moltissimi gli ambientalisti a capire come proteggere la fauna selvatica degli Stati Uniti, aiutandoli a concentrarsi su dove è più necessario l'aiuto».