Per millenni, le società umane hanno impiegato le punizioni fisiche come mezzo educativo e per mantenere l'ordine sociale. Fortunatamente, oggi tutto ciò è inaccettabile, o almeno dovrebbe esserlo, ma un piccolo pesce che vive nel lago Tanganica, in Africa orientale, potrebbe non essere tanto d'accordo con questa visione. Un team di ricercatori guidati Satoshi Awata dell'Osaka Metropolitan University ha infatti scoperto che i pesci Neolamprologus savoryi, che si riproducono in gruppi cooperativi, puniscono i figli più pigri per "incoraggiarli" a dare una mano.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Animal Behaviour, dimostra che questi pesci utilizzano le punizioni fisiche per spingere i membri del gruppo a collaborare, svelando capacità sociali e cognitive piuttosto avanzate – seppur deprecabili dal punto di vista umano – finora attribuite soprattutto ai mammiferi e ad altri animali considerati "superiori". A quanto pare, quindi, l'idea che le punizioni possano servire a promuovere certi tipi di comportamenti o addirittura per educare i propri figli, non è esclusiva degli esseri umani.
Neolamprologus savoryi è un ciclide endemico del lago Tanganica, noto per la sua vita sociale piuttosto complessa. Vive e si riproduce in gruppo, con un maschio riproduttivo dominante che monopolizza da una a sei femmine riproduttive. Ogni femmina può avere però fino a quattro aiutanti personali, solitamente figli suoi più grandi, che non si riproducono e che collaborano per difendere il territorio e allontanare gli intrusi, contribuendo così a difendere la colonia. Tuttavia, se non tutti gli aiutanti si impegnano allo stesso mondo vengono puniti.
Attraverso un esperimento condotto in ambiente controllato di laboratorio, i ricercatori hanno impedito ad alcuni aiutanti subordinati di offrire il loro aiuto agli individui dominanti, per vedere come questi ultimi si sarebbero comportati e soprattutto per misure gli effetti della punizione sul comportamento di aiuto. E i risultati sono stati sorprendenti: i riproduttori dominanti attaccavano fisicamente gli aiutanti inattivi, inclusi i propri figli, per spingerli a partecipare e a impegnarsi di più nelle attività cooperative.
Gli aiutanti che poi subivano più aggressioni aumentavano significativamente il loro sforzo nelle attività di supporto al gruppo, iniziando a difendere con maggiore impegno il territorio e l'intero gruppo. A confermare le finalità "educative" della punizione, c'era pure il fatto che i pesci che spontaneamente si impegnano di più ad aiutare il resto del gruppo non venivano puniti e non subivano alcuna aggressione da parte degli individui dominanti: l'aiuto preventivo, dunque, permetteva di evitare le punizioni.
«Il nostro studio ha dimostrato che anche gli animali non umani utilizzano le punizioni per promuovere comportamenti cooperativi da parte degli altri membri del gruppo», ha dichiarato Satoshi Awata. PEr quanto posano sembrare sorprendenti, questi risultati e questo comportamento evidenziano chiaramente che la punizione non è affatto un fenomeno esclusivo delle società umane, ma è presente anche nel modo in cui altri animali interagiscono e gestiscono i comportamenti sociali all'interno dei loro gruppi.
Questo meccanismo, chiamato "punizione prosociale", potrebbe essere stato molto importante da un punto di vista evolutivo per promuovere i comportamenti cooperativi negli animali attraverso la cosiddetta ipotesi "pay to stay", ovvero pagare per restare: per essere accettato all'interno di un gruppo e sfruttare i vantaggi, devi contribuire in qualche modo, in questo caso aiutando gli altri. Ancora una volta, la natura ci sorprende svelando comportamenti estremamente sofisticati e inaspettati persino nei pesci, considerati da sempre animali meno "complessi" e "intelligenti" di noi mammiferi.