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1 Gennaio 2024
12:00

Un nuovo studio discutibile sui topi fa luce sul fenomeno del “mascheramento visivo”

Una particolare illusione ottica nasconde il modo in cui il nostro cervello elabora le informazioni visive, anche quando la nostra coscienza non è in grado di percepirle.

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Un nuovo studio pubblicato su Nature Neuroscience ha svelato alcuni segreti di uno dei fenomeni meno compresi delle neuroscienze: il mascheramento visivo: un processo che svolge un ruolo cruciale nel modo in cui ognuno di noi, insieme a molti altri animali sufficientemente evoluti, percepiamo le cose, anche quando inconsciamente sembra che non li riusciamo a vedere. Questo fenomeno si verifica spesso quando la nostra mente non percepisce consapevolmente un'immagine, perché distratta o perché un'altra immagine la sovrasta in rapida successione in un arco di tempo inferiore ai 50 millisecondi. 

Tra i mammiferi che sembrano essere dotati di questa nostra stessa capacità ci sono i comuni topolini domestici (Mus musculus), per anni impiegati negli studi neuroscientifici per via della loro straordinaria intelligenza e versatilità. Lo studio pubblicato su Nature non a caso ha impiegato la loro specie per approfondire i limiti di questo fenomeno che spiega soprattutto come lavora il nostro cervello ed in particolare le sue regioni connesse alla percezione visiva. Dopo aver addestrato infatti i topi in maniera del tutto indolore a riferire ciò che vedevano, i ricercatori sono stati in grado di individuare nel loro cervello una particolare regione, posta all'interno della corteccia, fondamentale affinché questo fenomeno si manifestasse.

I neuroscienziati scoprirono il mascheramento visivo nel 19° secolo e anche illustri etologi come Frans de Wall e Konrad Lorenz si sono domandati quale fosse la sua origine, lo scopo e il suo funzionamento. Secondo però Shawn R. Olsen, autore senior dell'articolo e ricercatore presso l'Allen Institute, questo fenomeno rivela solamente il modo con cui funziona il sistema visivo, illustrandoci l'elasticità dei circuiti neurali connessi alla consapevolezza visiva nel recepire le immagini e i loro significati. «Si tratta di una scoperta interessante, del modo in cui ciò che è presente nel mondo non si riflette accuratamente nella nostra percezione» afferma lo scienziato, rifacendosi anche a delle citazioni di Kant.

Per capire perché però il cervello dei topi e della nostra specie cade in questo errore, dobbiamo comprendere qual è il viaggio dell'informazione visiva all'interno del cervello. Quando infatti la luce colpisce le retine di un mammifero, le informazioni che essa nasconde vengono filtrate e indirizzate dai nostri bulbi oculari verso una strada prestabilita. Essa è composta da fasci nervosi come il nervo ottico, che raggiungono varie regioni del cervello e che terminano una volta che la luce arriva nelle aree di elaborazione più elevate della corteccia.

Sorprendentemente però i neuroni nella retina e delle prime parti del cervello si attivano anche quando una persona non è del tutto consapevole di quello che sta guardando, perché il significato e la forma dell'immagine vengono elaborate una volta che la luce arriva all'altro capo del cervello. Questa condizione quindi porta metà del cervello a gestire un'informazione priva di significato, in quel momento. E nel caso in cui l'immagine dovesse cambiare dopo meno 50 millisecondi, essa non raggiungerà mai i centri di elaborazione, in quanto sostituita dal nuovo input.

Il limite dei 50 millisecondi è importante, spiegano i neuroscienziati, perché è la durata media del viaggio che un'informazione visiva deve compiere dalla retina fino ai centri nervosi dell'elaborazione visiva, posti all'altro capo della testa. Il fenomeno del mascheramento visivo quindi si produce quando il nostro cervello non ha il tempo materiale per assimilare un'immagine, venendo costantemente bombardato da riferimenti visivi.

Questa scoperta è particolare anche per l'esperimento che gli scienziati hanno realizzato nel tentativo di verificare se i topi cadevano come noi vittima del mascheramento visivo. Il team di Shawn Olsen ha infatti addestrato 16 topi a girare una piccola ruota LEGO, nella direzione indicata da un'immagine lampeggiante. Se riuscivano a svolgere questo compito rapidamente, non incappando in degli errori, i topi ottenevano un premio, che consisteva principalmente in del cibo. Se però gli scienziati introducevano dei lampeggiamenti di disturbo, con altre informazioni visive discordanti alle indicazione corretta e di durata inferiore ai 50 millisecondi, i topi non riuscivano più a svolgere il compito assegnato, dimostrando che non erano più consapevoli di quale fosse l’immagine principale.

Per confermare che l’illusione ottica creata attraverso i lampeggianti non avesse alterato in altro modo, l'esperimento è stato effettuato anche su 16 persone, il cui cranio è stato collegato a vari strumenti diagnostici normalmente utilizzati negli ospedali. E il risultato di questo test di verifica è stato il medesimo, con gli umani del tutto ignari di star ricevendo delle informazioni visive che non riuscivano a percepire coscientemente.

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Seppur possiamo considerare questa prima parte dello studio di Olsen eticamente accettabile – in quanto non prevedeva una sperimentazione particolarmente invasiva sugli animali – tuttavia dobbiamo segnalare che i suoi successivi sviluppi possono essere considerati abbastanza controversi, visto che nel prosieguo delle ricerche i team di Olsen e del suo collega Christof Koch hanno iniziato a usare delle tecniche molto invasive, per gli animalisti considerati intollerabili.

Questi scienziati hanno infatti cominciato a utilizzare una tecnica nota come "optogenetica" che necessita un'opera di ingegneria genica sui neuroni del topo, in grado d'inserire degli interruttori molecolari utili per attivare o disattivare le cellule. Questo metodo è in grado di sopprimere rapidamente l’attività di intere regioni del cervello con un semplice fascio di luce, ma per quanto risulti praticamente indolore e non provoca danni strutturali all'encefalo, richiede comunque l'inserimento di una fibra ottica all'interno del cranio. Una scelta condannabile da diversi punti di vista.

Usando questo metodo, con grossi sacrifici per gli animali, il team di neuroscienziati è stato però in grado di spegnere la corteccia visiva primaria dei topi, nell'istante stesso in cui veniva mostrata l'immagine di mascheramento. Se l'immagine veniva fornita dopo l'indicazione corretta, i topi erano in grado di bloccare completamente il mascheramento visivo e tornavano a completare l'esperimento, spostando la ruota LEGO secondo la direzione corretta.

Questi risultati consentono agli scienziati di conoscere meglio il complesso processo di elaborazione dell'informazione svolto dal nostro cervello, ma secondo Olsen permette anche agli specialisti di conoscere meglio le cause e le origini profonde di alcuni disturbi nervosi e psicologici. In futuro, i neuroscienziati vogliono tra l'altro "spegnere" anche altre regioni del cervello, per testare il loro effetto su questo e altri fenomeni misteriosi legati ai sensi. Si spera tuttavia che per verificare le loro teorie questi esperti comincino ad abbandonare delle pratiche che sembrano risalire direttamente al secolo scorso e che non rientrano più nel concetto di ricerca che una società progredita e matura dovrebbe richiedere ai propri scienziati.

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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