Un ippopotamo a spasso per Pompei, intento a camminare sotto il sole in giornate in cui le temperature superano i 30 gradi mentre un conduttore lo sprona a muoversi tra le antiche strade del Parco Archeologico.
Un’immagine sbagliata da ogni punto di vista, che acquista un significato ancora più negativo se se ne cercano le motivazioni: l’ippopotamo è un animale di scena per le riprese di un nuovo film che si sta girando in questi giorni nel Parco Archeologico di Pompei, “I am Hymns of the New Temples”, diretto dal registra Wael Shawky. Come spiega proprio lo stesso parco archeologico sul suo sito, annunciando la chiusura temporanea (13 e 14 luglio) della Basilica, inclusa nel set. Una produzione che ha anche vinto il Piano per l’Arte Contemporanea 2020 (PAC 2020) promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.
«L’opera è un film ideato appositamente per Pompei che ha come obiettivo raccontare il sito archeologico quale luogo di incontro e di confronto fra le culture del Mediterraneo, ed entrerà a far parte della collezione di arte contemporanea del Parco Archeologico di Pompei – spiegano dal Parco – Wael Shawky nell’attuale panorama dell’arte contemporanea è uno dei rappresentanti delle ricerche artistiche dell’area nord-africana e medio-orientale, narratore di processi di cambiamento e stati conoscitivi sospesi fra documentabile e immaginabile, che esplora i modi in cui è stata scritta e continua a venire raccontata la Storia. I suoi racconti sovrappongono realtà e finzione, attraversano tempo e spazio per evocare nuove e più libere interpretazioni e associazioni che attivino la nostra partecipazione e comprensione critica della Storia».
Un film che ha il proposito di raccontare dunque le meraviglie di uno dei parchi archeologici più importanti al mondo, e che impiega però – nel 2022, con le sconfinate possibilità offerte dalla computer-generated imagery – un animale esotico e protetto sottoponendolo a stress e sofferenza. Sfruttamenti contro cui da tempo si battono associazioni e sempre più cittadini.
«Abbiamo subito attivato le nostre sedi locali per capire meglio anche il ruolo delle istituzioni – ha fatto sapere l’Enpa – il Ministero sta commissionando un film dove sono presenti animali esotici sul set? In attesa di avere di avere tutte le risposte ci appelliamo ai registi di ogni nazionalità: basta usare animali esotici o selvatici nei set. L’arte non può essere la giustificazione per sottoporre gli animali a stress e maltrattamenti. Noi di Enpa non rimarremo a guardare».
Così il Parco e il Ministero sostengono messaggi scorretti. Nel nostro video reportage a Pompei la relazione tra uomini e animali
La presenza di un animale selvatico per ragioni cinematografiche stona anche per la vocazione stessa del Parco Archeologico di Pompei, luogo che Kodami ha invece scelto proprio per raccontare la storia secolare della relazione tra animali umani e non, realizzando un video reportage (anche nella versione in lingua inglese) in cui abbiamo voluto mostrare una delle meraviglie del mondo da una prospettiva non solo antropocentrica. L'obiettivo è stato proprio narrare una storia che riguarda tutti gli esseri viventi, e dimostrare come la relazione tra animali e persone fosse già un caposaldo della cultura dell'epoca, al di là dell'uso agricolo o alimentare che gli antichi romani facevano degli animali.
Un modo, questo sì, per spingere turisti da tutto il mondo a visitare una delle più grandi bellezze del mondo, simbolo dell'evoluzione della nostra specie e memento per ricordarci quanto siamo anche noi parte di un piccolo passaggio su questo Pianeta e su quanto la relazione con gli animali abbia influenzato anche la manifestazione più alta della nostra espressione umana: quell'arte che dagli affreschi ai mosaici, passando per le sculture e addirittura nei disegni dei bambini dell'epoca conservati nel Parco Archeologico mostra principalmente proprio gli animali.
E se qualcuno vuole vedere un ippopotamo a Pompei, allora, proprio nell'eredità che ci hanno lasciato e che viene sapientemente curata dagli archeologi e da tutto il grande team di lavoro che ogni giorno cura il Parco bisogna andare a cercarlo, senza di sicuro che vi sia la necessità di portarne uno in giro per gli scavi. Basta recarsi al Museo Archeologico Nazionale di Napoli dove è custodito anche un meraviglioso mosaico in cui svettano un coccodrillo, delle anatre, un serpente e un ippopotamo. Come del resto aveva consigliato anche lo stesso Parco attraverso un recente tweet:
La lunga storia di sfruttamento degli animali nell'industria dell'intrattenimento
Su Kodami abbiamo già affrontato questo modo di sfruttare degli animali selvatici per ragioni cinematografiche o per riprese di pubblicità o videoclip. Come spiegato dalla veterinaria Laura Arena, è una pratica che affonda le radici in un lontano passato, e che ha gravi conseguenze, sia fisiche sia psicologiche, tanto sulla fauna coinvolta che sulla assenza di creare maggiore sensibilità da parte dei cittadini su questa tematica. I problemi però non iniziano né finiscono sul set, perché sfruttare animali per questi fini comporta altre situazioni di cui non tutti sono coscienti.
«L'uso di specie selvatiche sui set come tigri, elefanti e scimpanzé, come confermato da esperti e da studi di percezione, ha anche un impatto negativo sulla conservazione di questi animali – ha sottolineato Arena – offrendo al pubblico un'immagine distorta della loro natura e delle loro condizioni di vita. Promuove, inoltre, direttamente l’intrattenimento con animali e influisce indirettamente sul commercio, lecito o illecito che sia».
Qualche settimana fa aveva fatto molto discutere la presenza di leoni (tre, tenuti in gabbia) ed elefanti nelle strade del centro di Roma, anche questa volta per ragioni di copione: a volerli era stato il regista Nanni Moretti, impegno nelle riprese del film “Il Sol dell’Avvenire”.
In quel caso era stata la Lav a intervenire chiedendo spiegazioni al sindaco Roberto Gualtieri e all’assessora all’Ambiente, Sabrina Alfonsi, e ancora una volta è apparsa evidente la necessità che l'industria cinematografica in primis si faccia portavoce di un messaggio differente rispetto alla presenza di animali sul set. Soprattutto alla luce del duro addestramento cui sono sottoposti per adeguarsi alle necessità del set.
Negli ultimi anni sono arrivate numerose testimonianze, certificate, sull'uso di metodi violenti di addestramento, che rientrano a pieno titolo nel maltrattamento animale: colpi sferrati con bastoni o frustini, scariche elettriche, collari di punizione, forti getti d’acqua tanto per citarne alcuni. Nel caso degli elefanti, per esempio, si utilizza il Bullhook che consiste in un uncino di ferro attaccato ad un bastone, utilizzato per pungere l’animale nelle zone più sensibili del corpo. Nella maggior parte dei casi, inoltre, gli animali sono manipolati privandoli del cibo: senza nutrimento, l'animale agisce per fame per ottenere cibo in cambio dell’azione richiesta, con conseguenze molto pesanti sul benessere psicofisico e il rischio di reazioni imprevedibili generate proprio dalla deprivazione alimentare.
Sempre Arena ha spiegato che, durante l'addestramento, una parola è spesso associata a un atto violento. Così, quando sul set l'addestratore dà l'ordine, l'animale reagirà per paura della punizione fisica: questo permette che l’aggressività e la sottomissione non siano troppo evidenti in pubblico. A causa dell'impossibilità di interagire con gli animali selvatici in modo completamente sicuro spesso vengono mutilati: i grandi felini, come tigri o leoni, sono privati dei loro artigli (deungulazione) e i primati delle loro zanne, tramite esportazione o levigazione. Anche la sedazione è un metodo che viene utilizzato per garantire che l'animale possa girare scene complesse.
La tecnologia per dire addio allo sfruttamento di animali sul set
Queste considerazioni, e i fatti su cui si basano, portano quindi a domandarsi se sia ancora necessario impiegare animali esotici in produzioni televisive e cinematografiche, e se davvero diano un valore aggiunto. E se la loro presenza è indispensabile, viene da chiedersi perché non si sfrutti la tecnologia, che oggi mette a disposizione una lunga lista di strumenti che possono sostituire digitalmente l'animale in carne e ossa.
Tecniche come 3D, CGI, VFX, SFX, Animatronics e immagini di animali selvatici ripresi in libertà, oltre a disincentivare la cattività, l’addestramento e il maltrattamento animale, consentono di svolgere lavori di alta qualità e comportano vantaggi significativi per le persone e le produzioni in cui vengono utilizzate, eliminando le problematiche legate alla gestione, al trasporto e al mantenimento degli animali, alla sicurezza pubblica e ai ritmi di ripresa.
La tecnologia è stata d'altronde già impiegata con successo in film pluripremiati, a dimostrazione che è davvero possibile dire addio allo sfruttamento di animali esotici sul set: tanto per citare alcuni casi, il Gladiatore (2000), L’ultimo Samurai (2003), Le Cronache di Narnia (2005), Cavallo di Battaglia (2011), e La Vita di Pi (2012).