Il gatto è un animale ubiquitario in grado di assumere variabili e numerosi stili di vita e con un vasto range di livelli di dipendenza dall’uomo. È dunque in grado di sopravvivere in natura (intesa come tessuto abitativo umano) se le condizioni ambientali gli consentono di adattarsi e di mettere a frutto le disposizioni e le capacità che l’evoluzione ha selezionato su di lui.
Questione di vita o di morte?
Il senso comune vuole che un gatto domestico in natura sarebbe destinato a morte certa o dovuta all’inabilità di procacciarsi il cibo oppure per l’incapacità di riconoscere i pericoli ficcandosi sotto la prima automobile che passi.
Come al solito, quando le opinioni sono così fortemente dicotomiche e soprattutto quando sono basate sulla sempreverde ed emotigena contrapposizione vita-morte, si sta ignorando la complessità della vita e delle sue dinamiche, nonché le eccezionali risorse mentali e fisiche dei gatti che sono, per antonomasia, tra le specie più adattabili ed ubiquitarie che il nostro pianeta abbia ospitato.
Ovviamente nessuno di noi ha la palla di cristallo e nessuno, quindi, è in grado di predire il futuro di un gatto, né nel bene né nel male. Ma alcune considerazioni di partenza possiamo farle.
Cosa significa “natura”?
Intanto bisognerebbe mettersi d’accordo sul termine “natura” che è ambiguo ed abusato. Per il gatto domestico la “natura” è qualunque contesto abitativo umano, dalla metropoli al villaggio semi-abitato. Alcuni studi hanno rilevato che i gatti domestici, anche quando vivono in totale libertà, tendono comunque a concentrarsi nelle aree occupate dall’uomo ed evitare quelle più remote dove il sostentamento dipende solo da successo della caccia. Gli individui che vivono solitari nei boschi sono sparute eccezioni. Oppure sono soggetti che presidiano aree boschive perché sono accasati lì, presso la dimora di qualche famiglia umana che ha scelto il bosco come quartiere abitativo (in Italia un fatto per nulla raro).
Quindi, la domanda se il gatto domestico possa sopravvivere in natura assume concretezza solo se viene convertita in “può il gatto domestico vivere libero nel contesto umano?”. E la risposta a questa domanda è “potenzialmente sì” perché ha avuto diecimila anni di tempo per evolvere tutta una serie di disposizioni fisiche e mentali che lo rendessero adatto a questo tipo di habitat. Oggi il gatto è in grado di manifestare livelli di dipendenza dall’uomo che variano in un continuum che va dal totale affrancamento alla dipendenza (anche patologica).
Disposizioni e capacità feline
Quali sono le disposizioni, ovvero le capacità innate, che renderebbero i gatti tanto adattabili? Tutte ruotano attorno ad un concetto fondamentale: i gatti sanno sfruttare a loro vantaggio tutte le risorse materiali e immateriali che gli insediamenti umani offrono, per costituzione, per caso o per scelta dei sapiens stessi:
- I gatti sanno insediarsi ed occupare le abitazioni e le costruzioni umane usandole come luoghi di riposo, come nidi o come rifugi, difendendo quelli di valore, se è il caso;
- sanno sfruttare gli avanzi alimentari degli uomini cibandosi di scarti e altre rimanenze, come hanno fatto anche i cani durante il loro percorso co-evolutivo con l’uomo; questo ha ridotto l’urgenza di fare ricorso alla ben più onerosa caccia per sopravvivere;
- sono in grado di stabilire con gli esseri umani delle relazioni commensali ma anche mutualistiche in cui gli esseri umani – a volte in cambio semplicemente della loro compagnia – li alimentano e li sostengono in caso di bisogno;
- sanno adattarsi plasticamente anche a drastici cambiamenti di stili di vita, modificando il loro repertorio comportamentale in base al contesto di appartenenza: se l’adattamento non è funzionale possono sviluppare delle patologie comportamentali ma questo avviene, di solito, quando è l’uomo che cerca di forzarli ad uno stile di vita che non è congruente con quelle che sono le loro caratteristiche di socialità e/o di personalità;
- le gatte sono ancora in grado di riprodursi da sole e sanno scegliere i partner con cui accoppiarsi e tirare su piccoli sani e autonomi. Può sembrare scontato ma non lo è nel momento in cui consideriamo che ci sono razze canine e feline (persiani, bulldog) la cui selezione ha compromesso la capacità delle femmine di riprodursi senza sostegno umano. E una popolazione che non sa riprodursi in autonomia è una popolazione che la selezione naturale non lascerebbe esistere.
- i gatti hanno sviluppato sofisticati canali comunicativi che li rendono irresistibili agli esseri umani e che stimolano il comportamento di cura in modo appassionato e talvolta gratuito. Il miagolio e le fusa sono un esempio perfetto di canale su cui gatti ed esseri umani si sintonizzano a tutto vantaggio della sussistenza degli uni e del benessere emotivo degli altri;
- il loro sistema emotivo è ancora strutturalmente e funzionalmente coerente con le caratteristiche etologiche di una preda sostanzialmente solitaria. Questo rende i gatti eccezionalmente sensibili nel riconoscere le minacce ambientali ed evitare la loro riproposizione. Non è dunque vero che “non riconoscono i pericoli”, tutt’altro. Hanno un sistema cognitivo ed emotivo cablato per rendere le minacce riconoscibili da pochi elementi e salienti sul lungo periodo.
Può un gatto domestico sopravvivere in natura?
La risposta a questa domanda è allora “potenzialmente sì”, una volta che ci siamo messi d’accordo sul significato del termine “natura” e abbiamo riconosciuto quanto i gatti abbiano in teoria tutte le capacità utili a farlo, selezionate in millenni di co-evoluzione con l’uomo. Semmai, ciò a cui bisognerebbe fare attenzione è quanto il tessuto umano è adeguato ad accogliere gli animali, e non solo i gatti: habitat umani sempre meno ospitali, che erodono spazi verdi e la possibilità di rappresentare aree vivibili per le esigenze delle altre specie, costituiscono un danno, un rischio ed una limitazione alla vita di tutti i viventi, umani inclusi.