Alla fine le analisi l’hanno confermato: il grifone morto al Cras dell’Enpa di Campomorone, in provincia di Genova, lo scorso dicembre era affetto da saturnismo. A ucciderlo è stato l’avvelenamento da piombo, ingerito attraverso le munizioni che i cacciatori hanno utilizzato per uccidere gli animali di cui il rarissimo (e protetto) uccello si era nutrito.
«Anche la caccia autorizzata provoca la morte di animali protetti e questa è solo un'altra grave conseguenza – hanno spiegato dal Cras – I grifoni sono infatti avvoltoi e si cibano di carcasse, se queste ultime sono abbandonate colpite da proiettili diventano un pericolo per gli animali che se ne nutrono. Ricordiamo che i grifoni sono considerati a "rischio critico" nella lista rossa Iucn italiana, la perdita di un esemplare significa molto per la conservazione della specie». Il grifone è infatti ormai estinto quasi ovunque in Italia, fatta eccezione per la Sardegna, il Friuli-Venezia Giulia (dove è stato reintrodotto), l’Appennino Centrale, in Basilicata e in Sicilia.
Alcuni progetti di ripopolamento sono stati approvati nella riserva del lago di Cornino in Friuli e nel Parco Regionale del Velino-Sirente in Abruzzo. Nel 2007, un esemplare di grifone è stato avvistato nella zona del Monte Valandro, nel Parco naturale Adamello-Brenta. La popolazione sarda invece è sfuggita all’estinzione, pur essendo tuttora a fortissimo rischio. Il grifone è un avvoltoio prevalentemente sedentario, fatta eccezione per gli esemplari più giovani, che talvolta si muovono in dispersione. In Europa, la popolazione più numerosa è quella spagnola, mentre popolazioni più esigue si trovano in Francia e nei Balcani. La caccia resta il principale rischio per la sopravvivenza di questi rapaci, insieme con l'avvelenamento.
Del pericolo che le munizioni al piombo rappresentano per i rapaci si parla ormai da diverso tempo, e sono tantissime le associazioni che stanno cercando di sensibilizzare sull’importanza di vietare questa tipologia di munizioni per la caccia. A farsi portavoce di questa battaglia è stata la Rete "Stop Piombo sulle Alpi”, che ha anche lanciato una petizione su Charge.org che ha superato il traguardo iniziale delle 15.000 firme ed è salita a oltre 26.000. Indirizzata alla provincia di Sondrio e alla Regione Lombardia, la petizione chiede che, se proprio la caccia deve continuare, vengano quantomeno vietate le munizioni di piombo, responsabili dell’intossicazione di numerosissimi rapaci e della loro morte.
Il caso del grifone arrivato all’Enpa di Genova, recuperato dal giardino privato di un’abitazione, è soltanto uno dei tanti. L’uccello era stato salvato a novembre già in gravissime condizioni, e la morte era arrivata poche settimane dopo il ricovero al centro di recupero per animali selvatici. Gli esperti avevano sospettato da subito che si trattasse di saturnismo, ma sono state le analisi dell’Istituto Zooprofilattico di Sondrio a confermarlo. E gli operatori dell’Enpa hanno voluto condividere i risultati proprio per evidenziare come la caccia provochi danni pesantissimi agli ecosistemi anche in modo indiretto: utilizzare munizioni di piombo per uccidere animali e abbandonare poi i loro cadaveri nei boschi mette a rischio gli animali che si nutrono dei resti, come appunto i grifoni, e che finiscono per intossicarsi fino alla morte per saturnismo acuto e cronico.
«La caccia potrebbe essere praticata senza le munizioni di piombo perché i proiettili costituiti da materiali atossici alternativi (come il rame per la caccia agli ungulati e l’acciaio per le munizioni spezzate) sono ormai fabbricati da tutte le principali aziende produttrici a livello mondiale», hanno sapere dalla Rete Stop Piombo sulle Alpi. Proprio le Alpi sono state al centro di uno studio firmato da ERSAF – Direzione Parco Nazionale dello Stelvio, Provincia di Sondrio, Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna (IZSLER) e ISPRA, che ha dimostrato che il 44% delle 252 carcasse di aquila reale e avvoltoi analizzati ha evidenziato valori cronici di piombo superiori al normale e livelli da avvelenamento clinico nel 26% dei casi.