Si è presentato allo stadio con un alligatore al guinzaglio, e davanti al personale stupefatto ha spiegato che si trattava del suo animale "da supporto emotivo", chiedendo cortesemente di poter entrare per assistere alla partita. Una richiesta che gli addetti si sono visti costretti a negare, tenuto conto della tipologia di animale che l'uomo aveva con sé.
La storia arriva da Philadelphia, e i protagonisti sono Joie Henney, arrivato per vedere il match di baseball tra i Philadelphia Phillies e i Pittsburgh Pirates. Henney, e Wally, alligatore che l’uomo tiene come animale domestico e per supporto emotivo, appunto. E gli è stato negato l’accesso. Quanto accaduto è stato raccontato dallo stesso Henney, che alla Cnn ha spiegato di essere arrivato allo stadio su invito, dopo che i giocatori avevano chiesto di conoscere Wally, molto noto sui social: il suo profilo Instagram, ha quasi 30.000 follower, e la sua storia è particolare.
È stato infatti salvato sei anni fa da Henney, soccorritore di rettili che ha lavorato con gli alligatori per 30 anni. A contattarlo un amico, in Florida, che ha segnalato come Wally fosse finito nel mirino dell’amministrazione a causa della “sovrabbondanza di alligatori in quella zona”: avrebbe dovuto essere abbattuto, ma Henney lo ha recuperato e portato in Pennsylvania.
«Wally è molto diverso da qualsiasi alligatore con cui abbia mai avuto a che fare negli ultimi 30 anni – ha detto l’uomo alla Cnn – Non mostra aggressività, non lo fa dal giorno in cui è stato recuperato. Non siamo mai riusciti a capire il motivo. È semplicemente adorabile. Dorme con me, mi ruba i cuscini, mi ruba le coperte. È fantastico». Proprio la personalità di Wally ha consentito a Henney di ottenere l’autorizzazione a tenere con sé l’alligatore come animale di supporto emotivo in un periodo molto difficile per lui, ovvero quando si è sottoposto a chemioterapia per combattere il cancro. Da allora i due sono inseparabili, come testimoniano i numerosi video condivisi su Instagram e su TikTok in cui l’alligatore si lascia abbracciare, accarezzare e tenere in braccio, non solo da Henney ma anche da altre persone tra scuole, stazioni di polizia e ospedali, sempre assicurato alla sua imbracatura e al guinzaglio.
Lo scorso mercoledì, Wally e Henney sono arrivati allo stadio in ritardo, e i giocatori erano già all’interno intenti a riscaldarsi. Hanno quindi deciso di comprare un biglietto ed entrare allo stadio, ma si sono visti negare l’ingresso: «Wally ha partecipato ad altre partite di baseball, quindi abbiamo pensato che fosse ok – ha detto Henney alla Cnn – Non abbiamo mai chiesto né verificato, ma consentono l’ingresso nello stadio solo ad animali di servizio, come cani e cavalli, non agli animali dedicati al supporto emotivo». Henney, comunque, non ha sollevato obiezioni: consapevole delle regole di accesso allo stadio, ha rinunciato alla partita, pur sperando di riuscire a incontrare i giocatori in un’altra occasione.
Sulle pagine di Kodami abbiamo spesso investito tempo a parlare di quanto sia importante, per alcune persone, avere sempre al loro fianco il loro animali, non soltanto per ragioni di affetto, ma anche di salute. In molti casi, infatti, si tratta di animali da pet therapy o comunque di animali che svolgono una funzione di supporto fisico: basti pensare ai cani guida per i non vedenti, o ai cani da allerta medica, addestrati a capire quando i loro pet mate stanno per avere una crisi glicemica e a intervenire. Negli ultimi anni, però è cresciuto l'interesse per il supporto che gli animali possono dare a individui che hanno subito un trauma e a pazienti con PTSD, il disturbo da stress post traumatico, supportato da diversi studi che mostrano come avvalersi dell’ausilio di cani – formati in base a attività che si basano sempre sul rispetto dell'animale – possa ridurre lo stress e l’ansia, soprattutto quando i pazienti si confrontano con i ricordi dell’evento traumatizzante. Il caso di Wally, però, è decisamente peculiare.
«L'idea di un legame unico e insolito tra una persona e un alligatore ha innegabilmente un certo fascino, ma porta con sé anche significative implicazioni etologiche, etiche e di sicurezza che rendono la situazione oggetto di questa vicenda molto complessa e potenzialmente problematica – sottolinea Federica Pirrone, etologa e membro del comitato scientifico di Kodami – Per quanto non si possa in assoluto escludere che un alligatore cresciuto in cattività sin da molto piccolo si abitui alla presenza umana in modo diverso da un individuo cresciuto in natura, gli alligatori adulti tendono a essere solitari e territoriali. Non sono noti per formare legami sociali complessi. Il concetto di "animale da supporto emotivo" è invece tradizionalmente associato a specie, come i cani o i gatti, in grado di formare legami sociali e di interagire con gli esseri umani, migliorandone la salute mentale».
«Intorno a un episodio come questo emergono importanti criticità – prosegue Pirrone – Innanzitutto, sul piano della sicurezza, dato che si tratta di un animale che, pur apparendo docile, rimane un predatore potenzialmente pericoloso. Ma anche sul piano del benessere dell’animale, è difficile infatti che un alligatore si adatti davvero alla vita in cattività. Il che solleva anche questioni di natura etica, che portano a domandarsi se il mantenere un alligatore come animale da supporto emotivo non mini in realtà il suo diritto a vivere nel suo ambiente naturale».