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30 Dicembre 2021
14:30

In Piemonte agricoltori e ambientalisti vogliono fermare la caccia per limitare i cinghiali

Per gli animalisti è un «accordo storico», un «concordato» contro l’attività venatoria «dannosa e inutile» per limitare la presenza dei cinghiali. Il Tavolo Animali & Ambiente, costituito dalle associazioni animaliste e ambientaliste Enpa, Lav, Legambiente, Lida, Lipu, Oipa, Pan, Pro Natura e Sos Gaia, ha siglato un’intesa con il Coaarp, il Comitato Amici degli Ambienti rurali piemontesi.

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Per gli animalisti è un «accordo storico», un «concordato» contro l’attività venatoria «dannosa e inutile» per limitare la presenza dei cinghiali. Il Tavolo Animali & Ambiente, costituito dalle associazioni animaliste e ambientaliste Enpa, Lav, Legambiente, Lida, Lipu, Oipa, Pan, Pro Natura e Sos Gaia, ha siglato un’intesa con il Coaarp, il Comitato Amici degli Ambienti rurali piemontesi.

Cinque sono i punti dell'intesa. Tutto parte dalla gestione dei cinghiali che «deve essere sottratta al mondo venatorio, che non ha alcun interesse a vedere ridotta numericamente la specie e per il quale è fin troppo evidente il conflitto d’interesse». Animalisti e agricoltori convengono che «le attività di controllo competono alle Province e alla Città Metropolitana di Torino attraverso il proprio personale» e «non ai cacciatori».

Il mondo rurale punta al diritto di «raccogliere ciò che semina». «Alle già tante difficoltà create dagli eventi atmosferici, non vi è bisogno che si aggiungano le calamità create dal mondo venatorio per soddisfare i propri interessi ludici ed economici», si legge nel documento.

Il terzo punto è tutto concentrato sulla caccia che «non costituisce alcun valore aggiunto per l’agricoltura». «Il cacciatore usufruisce gratuitamente dei terreni privati, coltivati e non, a spese dei proprietari e spesso è anche di ostacolo ad utilizzi turistici e culturali in grado di sviluppare economie locali ecologicamente compatibili – spiegano nell’intesa gli ambientalisti – L’agricoltore ha il diritto di poter escludere dai propri fondi coloro che ritiene possano essergli causa di danni». Oltre al secco «no» alla realizzazione di una filiera della carne di cinghiale, poi l’ultimo punto è sul futuro. Si parla di «produzioni ecologicamente sostenibili, rispettose degli equilibri ambientali e del benessere degli animali» e che valorizzano «le produzioni e le eccellenze locali con il saggio decremento delle importazioni dai Paesi esteri».

Si tratta di un’intesa tra associazioni. Loro si dicono soddisfatti per questa svolta che «segnerà un profondo cambiamento nell’affrontare il problema legato alla diffusa presenza della specie cinghiale sul territorio piemontese». Ma il problema «finora non ha trovato adeguate risposte da parte delle pubbliche amministrazioni a partire dalla Regione Piemonte». La pressione delle associazioni, dunque, è alta. Tutto sta a chiedere ora, alle istituzioni, di poter fare la loro parte ascoltandoli.

L'assessore regionale all'Agricoltura Marco Protopapa aveva già detto che i danni dei cinghiali sono paragonabili a quelli di una «calamità naturale» e che per questo occorre prendere provvedimenti, aprendo la strada anche a una maggior conoscenza del prodotto al consumatore. In sostanza, prestando un po' il fianco al mondo della caccia e a quello della filiera alimentare che ne è legato.

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