La notizia dell'avvelenamento, del salvataggio e della reimmissione sul territorio di Wotan, un lupo degli Appennini umbri, è stata diffusa dopo la sua liberazione tramite un post su Facebook dall'associazione WildUmbria che da anni si occupa di fauna selvatica e che nel 2017 si è aggiudicata in concessione dalla Regione il servizio di recupero di animali feriti o in difficoltà su tutto il territorio locale.
«Mi è giunta proprio in questo momento la notizia di un altro lupo trovato morto: si trova ad appena cinque chilometri dal luogo di ritrovamento di Wotan», racconta Emma Baiocco, la veterinaria che si è occupata delle cure dell'animale ma che, raggiunta da Kodami, ha messo subito in evidenza come, purtroppo, spesso la fauna selvatica della zona si ritrova in situazioni difficili. Anche di fronte a una buona notizia, così, contestualmente ne giunge un'altra dagli esiti negativi.
Wotan, però, dopo cinque giorni dal suo ritrovamento è stato dotato di radiocollare e rilasciato sul territorio grazie proprio al suo intervento: «Generalmente è proprio il team di WildUmbria ad occuparsi del recupero della fauna selvatica ferita, ma in questo caso si trovavano a oltre 100 chilometri di distanza, quindi siamo dovuti intervenire noi, che lo abbiamo curato e gli abbiamo applicato un radiocollare fornito dal Parco Nazionale dei Monti Sibillini», spiega la dotterssa Baiocco. «Questo lupo ha rischiato la vita a causa dell'avvelenamento da parte di un bracconiere, ma non è appunto l'unico. E' un fenomeno che ha dimensioni sconcertanti. L'unica soluzione per cambiare rotta è modificare la mentalità: ancora oggi ci sono categorie che ritengono la presenza di questo animale un problema».
«Wotan ha ingerito un'esca a base di pesticidi per l'agricoltura»
«I sintomi erano i soliti, quelli che da anni continuiamo a riscontrare più spesso negli animali vittime di avvelenamento: tremori, mancanza di coordinazione, edema polmonare, scialorrea – spiega Baiocco – si tratta quasi sicuramente dei sintomi causati dall'ingestione di pesticidi per l'agricoltura». Le condizioni di Wotan erano molto gravi quando ha raggiunto l'ambulatorio veterinario: «Siamo riusciti a salvarlo grazie alla terapia giusta prescritta nel momento giusto, al termine della quale lo abbiamo disturbato il minimo indispensabile e al terzo giorno di permanenza aveva già ricominciato a mangiare. Dopo altri due giorni abbiamo potuto effettuare le operazioni di sedazione, applicazione del radiocollare, prelievo dei campioni di sangue e rilascio sul territorio», continua la dottoressa Baiocco che negli ultimi anni si è trovata più volte in questa situazione: «I casi di avvelenamento causato da esche posizionate sul territorio aumentano proprio in questa stagione che combacia con il periodo di rilascio delle coppie di lepri da parte dei cacciatori, i quali sentono la necessità di bonificare il territorio dai predatori naturali». La strategia dell'avvelenamento però, non è l'unica utilizzata dai bracconieri, racconta la veterinaria: «Talvolta accade di trovare animali uccisi da un laccio. Prima di morire provano addirittura a mutilarsi gli arti intrappolati o a morsicchiare l'albero a cui è stato legato il filo. In un caso, il lupo morto è stato depositato accanto ad una linea ferroviaria, ma presentava evidenti segni di decapitazione».
«L'unica soluzione è l'educazione: dobbiamo partire dalle scuole»
Secondo la dottoressa i lupi che rischiano la vita a causa dei bracconieri sono moltissimi: «Lo sanno tutti, ma purtroppo non è facile cogliere un bracconiere in flagranza di reato. Inoltre esistono categorie, come i cacciatori e i pastori, che ritengono che l'animale vada debellato perché rappresenta un problema, e continuano a spingere affinché venga legalizzato l'abbattimento controllato». L'uccisione di un lupo in Italia rappresenta peró un reato da più di 40 anni, grazie all'istituzione di tutele nazionali ed internazionali, eppure il bracconaggio continua senza sosta: «A questo punto l'unica speranza per ridurre l'entità del problema è a lungo termine ed è l'educazione della popolazione – afferma Baiocco – Bisogna iniziare dalle scuole, dove i bambini possono imparare che non si tratta di un animale pericoloso, per arrivare fino ai pastori, i quali talvolta abbassano la guardia, consapevoli del fatto che "dare la colpa al lupo" frutta rimborsi da parte delle regioni. Il numero lupi che muoiono ogni anno in questo modo è difficile da quantificare: per ogni animale ucciso, non possiamo sapere sapere quanti altri ne muoiano nel bosco senza venire incontrati da nessuno».