Sparare a un cucciolo di cervo in Abruzzo costerà appena 50 euro, ma a morire nella regione saranno 469. Lo ha deciso una delibera della Regione guidata da Marco Marsilio che permetterà ai cacciatori, abruzzesi e non, di abbattere gli animali in due aree della Provincia dell'Aquila.
Alla base del provvedimento c'è secondo l'amministrazione regionale la volontà di ridurre la popolazione di questi ungulati per limitare i danni all'agricoltura, ma sulla reale utilità di questa strategia le associazioni di tutela animale hanno parecchi dubbi. Per questo tre delle maggiori sigle italiane hanno deciso di presentare un ricorso al Tar dell'Aquila contro la delibera.
Questo provvedimento, secondo le associazioni, non è giustificato da dati scientifici solidi. Una posizione che aveva espresso anche a Kodami il deputato Naziario Pagano che aveva sottolineato proprio l'esiguità di dati a supporto della decisione.
Il ricorso mira innanzitutto a ottenere la sospensione della delibera, per poi procedere alla sua definitiva censura, al fine di evitare l'uccisione degli esemplari. Le associazioni sottolineano proprio l’ingiustizia di un'azione che vede sempre gli animali come vittime di decisioni legate all'interazione con le attività umane, come l’agricoltura e la gestione del territorio.
Secondo i gruppi ambientalisti, il censimento dei cervi, su cui si basa la decisione della Regione, è stato eseguito dai cacciatori stessi, creando così un conflitto d’interesse. Gli stessi cacciatori, infatti, attraverso gli Ambiti Territoriali di Caccia (ATC), percepiscono somme di denaro per ogni capo abbattuto secondo un vero e proprio tariffario.
«Non è tollerabile – dichiarano le associazioni – che le interazioni fra animali selvatici e attività umane si risolvano sempre con la condanna a morte degli animali, tanto più in un caso come questo, dove mancano dati certi e il censimento dei cervi è stato eseguito dai cacciatori».
La decisione della Regione, secondo gli attivisti, sarebbe il risultato di pressioni da parte del mondo venatorio, piuttosto che di una valutazione oggettiva e scientifica. Gli ambientalisti chiedono quindi un ripensamento da parte delle autorità regionali, auspicando almeno una sospensione del provvedimento e l’avvio di un confronto tecnico, fino ad oggi assente.