Buttati dentro dei sacchi neri e trattati come rifiuti: così hanno terminato la loro esistenza altri tre esemplari di mufloni del Giglio, gli ultimi rimasti all'interno della tenuta sul promontorio del Franco che nelle intenzioni dei proprietari avrebbe dovuto tutelarli dall’estinzione e che invece si è trasformata in una prigione senza via di scampo. «Imbracciando fucili, con l’utilizzo di termocamere, trappole, cani, elicotteri e un inutile dispiegamento di forze dell’ordine, questi animali sono stati braccati e stanati per poi essere uccisi senza pietà», racconta Sara D'Angelo, presidente dell'associazione Vita da cani e coordinatrice della Rete dei Santuari di animali liberi, che ha diffuso la notizia.
«Quasi sicuramente erano due maschi e una femmina e sono stati trucidati proprio in quello spazio che credevano sicuro – continua D'Angelo – fino a quando la Regione Toscana ha deciso, con i soldi dei contribuenti destinati alla protezione della fauna, di sterminare animali che sono a rischio estinzione». Secondo quanto riportato dalla Rete dei Santuari di animali liberi, a portare i mufloni al Giglio negli anni cinquanta era stata la famiglia Baldacci, riservando a questi splendidi animali la loro tenuta sul Franco per tutelarli dal pericolo di estinzione. Nei giorni scorsi, però, i cancelli della proprietà sono stati aperti ai cacciatori di selezione e alla Polizia provinciale affinché fossero uccisi.
Ora sull'isola ne rimangono pochi altri, sopravvissuti alla strage iniziata nel 2021 e sospesa dopo le proteste degli attivisti e degli abitanti che hanno portato a un accordo tra alcune associazioni animaliste e l’ente Parco dell’Arcipelago Toscano che si impegnava a trasferire gli animali fuori dal Giglio anziché ucciderli. «Un accordo che è stato bellamente aggirato già dal 2022 quando le uccisioni erano riprese sulla base di una deroga alla caccia emanata dalla Regione Toscana nel silenzio assoluto dell'ente Parco – precisano le associazioni – Un silenzio che nelle settimane scorse ha reso possibile il massacro di una ventina di animali per mano dei cacciatori inviati dalla Regione Toscana. Se potete raggiungeteci immediatamente» è la chiamata disperata degli attivisti che stanno tentando coraggiosamente di opporsi a questa ennesima violenza ai danni della fauna selvatica e stanno cercando di salvare almeno quegli esemplari liberi ancora sul territorio.
Va detto ancora una volta che al di là dello strazio davanti a tali uccisioni, il muflone del Giglio da quando fu immesso su quest’isola è rimasto geneticamente puro dato che qui non sono presenti greggi di pecore che invece abbondano in Sardegna, Corsica e Cipro, dove sono presenti il maggior numero di capi. Questo è un dettaglio importantissimo, così come che questa specie di pecora selvatica, sia inserita nella Red List degli animali minacciati del IUCN, l'unione nazionale per la conservazione della natura. Solo questi motivi sarebbero dovuti bastare per ritenere fondamentale tramandare nei secoli a venire che in questo luogo era stata salvata e messa al sicuro una delle creature più arcaiche.
Ma così non sarà, invece, visto che gli attivisti nonostante gli sforzi fatti e le energia messe in campo, devono forzatamente prendere atto «che l'Ente Parco Nazionale Arcipelago Toscano con l’appoggio dell’Amministrazione Comunale ha deciso di cancellare questa storia, per i pochi danni fatti dalla specie alle colture in questi 66 anni, tra l’altro in vigneti per lo più privi di alcuna recinzione e di così scarsa rilevanza da rendere ingiustificabile il provvedimento irreversibile che stanno attuando, cioè la eradicazione tramite il loro sterminio».