Sulla mappa del Mediterraneo spiccano quattro colori. Sono quelli degli habitat dei cetacei più diffusi, tra i più piccoli ci sono delfino tursiope e stenella, tra i giganti balenottera comune e capodoglio. Lo rivela il maxi studio internazionale intitolato "Cetacei del mar Mediterraneo: indice di incontro, specie dominanti e hotspot di diversità"e pubblicato sulla rivista scientifica Diversity.
Si tratta del lavoro condotto dal più grande network di ricerca sui cetacei del Mediterraneo, coordinato dalla Fondazione Acquario di Genova, che fornisce una mappatura della presenza e della diversità dei cetacei nel nostro mare, mettendo assieme, come in un gigantesco puzzle, i dati raccolti nelle diverse aree di studio coperte da questo network internazionale.
Il Coordinatore Scientifico della Ricerca Acquario di Genova, Guido Gnone, ha commentato i risultati con Kodami: «L'obiettivo di questo grande progetto era quello di fare un aggiornamento sulla presenza e sulla distribuzione dei cetacei e una mappatura della biodiversità – spiega il biologo marino – Questo è stato possibile grazie all'aggregazione di tutti i dati e al supporto della Fondazione Blue Planet che ha fornito le risorse per portare avanti il lavoro di network, mettendo insieme i dati raccolti nelle varie zone da 32 diversi enti di ricerca».
Subito i numeri: 44 ricercatori provenienti da Spagna, Francia, Italia, Montenegro, Grecia, Turchia e Israele e Scozia, 15 anni di ricerca (2004-2018), 800.000 km percorsi in mare, 18.000 avvistamenti di cetacei condivisi sulla piattaforma Intercet. «Dallo studio emerge la dominanza di quattro specie che sono la la stenella striata e il tursiope tra i delfini e balenottera e capodoglio tra i giganti- spiega Guido Gnone – Il Tursiope, il delfino comune, si ritrova sulla piattaforma continentale quindi diciamo entro i 200 metri di profondità mentre la Stenella è al di fuori, possiamo dire che uno è più costiero e l'altro più pelagico. Queste quattro specie assieme fanno oltre il 90% di tutti i quasi 18 mila avvistamenti che noi abbiamo analizzato, su otto specie quattro ne costituiscono il 90%».
Il Mediterraneo sembrerebbe quindi un mare con una diversità relativamente bassa ma vi sono alcune aree, come il Mare di Alboran o il Santuario Pelagos nel Mar Ligure, dove la diversità di specie è significativamente maggiore e che rappresentano degli “hot spot di biodiversità” da studiare e proteggere. In queste zone è possibile avvistare anche le specie meno comuni come il globicefalo, il grampo o lo zifio.
«È importante riuscire a mappare tutti gli hot spot – continua il biologo marino – ci sono ampie zone nella porzione meridionale e sud orientale del Mediterraneo dove potrebbero esserci altre aree ugualmente importanti ma non mappate e quindi questo è sicuramente uno degli obiettivi più importanti del lavoro, riuscire a individuarle. Poi siamo riusciti a capire almeno quali sono i due elementi che favoriscono la diversità nei nostri mari e sicuramente gli elementi fondamentali sono la presenza degli habitat batimetrici ovvero ogni specie di cetaceo predilige vivere ad una certa profondità il Tursiope, per esempio, ha scelto la piattaforma continentale e la produzione primaria».
Gli habitat e la presenza di plancton sono fondamentali per la sopravvivenza dei cetacei e per sostenere l'intera catena: «Quando ci sono questi due elementi insieme allora vediamo come nel Mar Ligure, in particolar modo appunto nel Santuario Pelagos, aumenta la diversità. Uno solo di questi fattori invece non è sufficiente – spiega il ricercatore a Kodami – per esempio nella parte settentrionale dell'Adriatico c'è una grande produzione primaria perché c'è il Po' che porta un grande flusso di nutrienti importante e quindi abbiamo un'alta produzione primaria però abbiamo una monotonia degli habitat perché tutto l'Adriatico nella parte settentrionale è tutto di piattaforma cioè di acque basse e quindi ritroviamo una sola specie nonostante l'alta produzione primaria, invece nella zona del Mar Ligure troviamo tutti gli habitat: la piattaforma, la scarpata e le piane abissali; una grande variabilità di profondità e di habitat che insieme determinano un'alta produzione primaria e allora vediamo questa diversità di specie che che aumenta nettamente fino a includere tutte le specie presenti nel Mediterraneo».
In questo contesto, dove la diversità di specie sembra concentrata in poche aree favorevoli, le attività dell’uomo, come la pesca e il traffico marittimo, possono avere un ruolo fondamentale come fattori di cambiamento (anche in negativo) a livello locale: «Il turismo, il traffico marittimo e i cambiamenti climatici sono i tre elementi logoranti. Con particolare riferimento al climate change, – continua Guido Gnone – la terra versa i nutrienti nel Mediterraneo che è completamente circondato dalle terre e poi per un gioco sfortunato di correnti questi vengono ceduti all'Atlantico, quindi il Mar Mediterraneo è un mare naturalmente con pochi nutrienti rispetto all'Atlantico. In queste zone di alta funzione primaria, in particolar modo la diminuzione delle piogge potrebbero effettivamente, far abbassare in maniera significativa l'apporto di nutrienti nel Mediterraneo e mettere a rischio la biodiversità con un livellamento verso il basso della produzione primaria e quindi anche della diversità».
Kodami nell'agosto del 2022 è stata a bordo della Jean Gab nel golfo di Napoli dove si svolge l'attività di monitoraggio di Oceanomare Dolphin, l'associazione fondata nel 1991 da Angelo Miragliuolo e Barbara Mussi. Insieme anche a Sterna, una simil Jack Russell che fa parte dell'equipaggio fisso della barca a vela storica, abbiamo potuto raccontare in una puntata della nostra video serie "Kodami trails" l'epopea dei nostri mari ascoltando direttamente la voce delle sette specie di cetacei che vivono in un altro tratto di Mediterraneo, attraverso il suono dei click che vengono catturati dalla strumentazione di bordo.