Il pomeriggio di domenica 5 giugno, nel Lago di Santa Giustina, in provincia di Trento, è stato rinvenuto il corpo senza vita di Fausto Iob, il custode forestale della Val di Non che da tempo si occupava di Bruno, l'orso che dal 2013 vive all'interno del recinto al Santuario di San Romedio.
L'eremo, situato all'imbocco della valle, è una delle mete di pellegrinaggio della zona ed è visitato ogni anno da molti turisti, ma anche dai Trentini, che lo hanno reso un vero e proprio simbolo della presenza dell'orso sul territorio.
«Fausto Iob era stato in grado di creare un rapporto di grande rispetto ed empatia con Bruno. Lo possiamo vedere dalle foto in cui l'orso accetta il cibo dalle sue mani, disposto a fidarsi di lui e dimostrando di essere un essere senziente, in grado di distinguere le persone che si prendono cura del suo benessere – racconta a Kodami Lucia Coppola, consigliera provinciale dei Verdi – Ci tengo a fare le mie più sentite condoglianze alla famiglia per la triste perdita di un uomo che era certamente dotato di una grande sensibilità».
La storia di Bruno e la tradizione di ospitare un orso nel Santuario
Bruno è un orso che non ha avuto certo un destino particolarmente fortunato. Prima di arrivare in Trentino era stato rapito sui Carpazi, il luogo in cui è nato, per poi essere trasferito in una gabbia nel Lazio e infine in un piccolo recinto sugli Appennini. La sua vita attuale, quindi, è forse ciò che di meglio ha ricevuto negli anni. Nonostante ciò, come conferma anche la Consigliera provinciale, per un animale selvatico la cattività non può mai essere una soluzione dignitosa. «Mantenere ancora oggi gli orsi rinchiusi in un recinto, che sia a San Romedio o al Casteller, è una scelta fuori dal tempo che non tutela i loro bisogni, i loro diritti e le loro necessità – aggiunge Coppola – Per essere precisi, anche nutrire l'animale direttamente dalle nostre mani non è corretto. Questo vale per tutti gli animali selvatici ed è bene ricordarlo».
Ma come ha fatto Bruno a finire all'interno di un recinto, visto che non ha nulla a che fare con la popolazione di plantigradi reinseriti attraverso il progetto LifeUrsus?
Il motivo è legato ad un'antica tradizione, nata oltre 60 anni fa, secondo la quale per continuare nel tempo una leggenda, il Santuario ha iniziato ad ospitare questi mammiferi. La storia è molto nota in Trentino, ed è quella dell'anziano eremita Romedio, che si ritirò nelle grotte della Val di Non tra il IV e il V secolo. Prima di morire, decise di compiere un ultimo viaggio a Trento per ricevere la benedizione dal Vescovo, ma poco prima della partenza, il suo cavallo venne predato proprio da un orso.
Sempre secondo la leggenda, Romedio decise quindi di sellare l'orso stesso e dare inizio, insieme a lui, al suo pellegrinaggio. Quando arrivò a Trento, suonarono a festa le campane del Duomo, per rendere omaggio al singolare personaggio che, a partire da quel momento, condivise tutta la vita con il suo orso.
Dal 1958 ad oggi: «Se la Provincia rispetta i patti non ci saranno altri orsi nel futuro di San Romedio»
A donare il primo orso da custodire nell'area adiacente al santuario di San Romedio fu Gian Giacomo Gallarati Scotti, membro d’onore del comitato di fondazione del WWF in Italia, nel 1958, un'epoca in cui gli orsi trentini sopravvivevano quasi solo in cattività.
Il primo plantigrado arrivato nella struttura di Sanzeno si chiamava Charlie e proveniva da un circo nei pressi di Roma, dove veniva custodito in una piccola gabbia ed era già stato destinato all'abbattimento.
A partire da quel momento, il Santuario ospitò sempre uno o più orsi e, tra loro, vi furono anche Cora e Cleo, nipoti di Bel, l'orsa morta di vecchiaia alla veneranda età di 48 anni all'interno del recinto di Spormaggiore.
«Questa decennale tradizione, però, sta fortunatamente per raggiungere la sua fine – spiega Lucia Coppola – Se la Provincia di Trento rispetterà i patti, infatti, Bruno sarà l'ultimo essere vivente rinchiuso in questo recinto ad uso e consumo del turismo, in un luogo che ricorda uno zoo, dove viene guardato e gli viene lanciato il cibo, in una realtà distante anni luce da quella che dovrebbe avere in libertà».
Al momento non è possibile sapere chi prenderà il posto di Fausto Iob, ma è facile immaginare che la sua assenza rappresenti un ulteriore trauma per Bruno, perché un rapporto importante non si costruisce in un istante, ma grazie al sacrificio e alla dedizione che si è in grado di dimostrare nel tempo.
«Ora sentirà certamente la mancanza di quella che per lui era figura di riferimento – aggiunge Lucia Coppola, che poche settimane prima della morte dell'uomo aveva già ricevuto testimonianze poco confortanti sullo stato di salute dell'orso – Due attivisti di Europa Verde hanno visitato da poco il recinto e mi hanno confermato che si trova in uno stato di forte sofferenza, come tutti gli orsi costretti alla cattività, che finiscono per farsi del male perché non sopportano più la loro stessa vita».
Ad oggi, Bruno, non potrà certamente essere rimesso in libertà, dopo una vita trascorsa nei recinti e nelle gabbie costruite dagli umani per osservare da vicino gli orsi, ma la speranza è che la sua storia possa servire come esempio per il futuro: «San Romedio è meglio della gabbia in cui ha trascorso gran parte della sua vita – conclude Coppola – Ma il fatto che nel 2022 la crudele storia a cui lo abbiamo obbligato sia costantemente sotto i nostri occhi, dimostra quanto il mondo sia ancora pregno di ingiustizie, ignoranza ed egoismo».