Sono circa 19mila i "brumbies”, i cavalli selvaggi australiani che vivono nel Parco Nazionale Kosciuszko, nel Nuovo Galles del Sud, ma secondo le autorità statali sono decisamente troppi. Per ridurre quindi il numero ad almeno 3000 entro la metà del 2027, hanno quindi deciso di ucciderli con i colpi dei fucili imbracciati da ranger a bordo di elicotteri.
Il discorso è sempre lo stesso: ovvero, senza cercare di capire perché i cavalli selvaggi hanno raggiunto una quantità tale da essere in grado di minacciare di estinzione le specie autoctone e l'intero ecosistema, si decide di sterminarli convincendosi che questo sia il modo migliore per liberarsi finalmente del problema. Cosa che sappiamo, non è affatto così. Ma chi decide in tal senso, non sente ragioni, e continua ad adoperare queste misure estreme e anche impopolari ormai, promuovendole come azioni indispensabili per proteggere la fauna e la flora.
Il ministro dell'Ambiente del Nuovo Galles del Sud, Penny Sharpe, ha ammesso che eliminare i brumbies in questo modo «non è stata una decisione facile da prendere», mostrando quasi un certo rammarico per la scelta fatta, ma spiegando poi che il vero motivo del suo cruccio non era la poca eticità dell’iniziativa, ma semplicemente che «ucciderli sul terreno con armi da fuoco o trappole, come accade ora, non era più sufficiente» e aggiungendo che gli spari dall’alto «se effettuati da personale altamente qualificato e secondo standard rigorosi, forniscono i migliori risultati possibili in termini di benessere degli animali» supponendo volesse dire che queste povere bestie sì che vengono uccise ma almeno senza sofferenza.
La voce degli oppositori si è naturalmente già alzata, ricordando ed evidenziando che i cavalli fanno parte dell’identità nazionale australiana: i “brumbies” furono celebrati dal poeta e giornalista Banjo Paterson (1864-1941), famoso per la sua glorificazione dell'Australia rurale e che una squadra di rugby della capitale Canberra è conosciuta proprio come "Brumbies”, prendendo il nome in omaggio a questi splendidi equini. Ma ricordando anche che tale misura, peraltro già utilizzata come piano di contenimento per maiali e cervi, era già stata autorizzata nel 2000, ma era durata pochissimo perché le autorità locali dovettero fare marcia indietro di fronte all'indignazione pubblica e alle proteste suscitate. Molti dei cavalli, infatti, furono ritrovati giorni dopo la sparatoria feriti dai colpi delle armi da fuoco, ma ancora vivi in condizioni di grave sofferenza, un vero e proprio «bagno di sangue che probabilmente vedremo di nuovo», come ha dichiarato Emma Hurst, deputata del Partito per la Giustizia Animale.
Gli ambientalisti, però, condividono il parere del ministro: Jacqui Mumford, capo del Nature Conservation Council, davanti alle polemiche suscitate dall’iniziativa, ha confermato che i cavalli selvaggi distruggono le piante autoctone attraverso il pascolo e il calpestio, aumentano l’erosione del suolo e causando il collasso delle tane della fauna selvatica: «Gli ecosistemi unici e complessi delle Alpi australiane sono stati calpestati per troppo tempo – ha affermato Mumford – le attività dei brumbies hanno danneggiato almeno 25 specie di flora alpina e 14 specie di fauna alpina, tra cui l'iconica rana corroboree e rare orchidee alpine» che ora sono minacciate di estinzione. Fa strano, però, che proprio gli ambientalisti, oltre a menzionare i danni dei cavalli selvaggi, non ricordino anche che per contenere le specie che minacciano la biodiversità di un'area, esistono alternative molto meno brutali.