Smettiamola. Di accettare la morte delle persone che cercano di vivere incontrando la fine dei loro giorni per mare come se fosse una cosa normale. Smettiamola, oggi, subito. E un inizio è anche passare attraverso il linguaggio, un modo efficace per riuscire a cambiare la percezione che abbiamo di altri esseri viventi come noi e anche di quelli diversi da noi che usiamo puntualmente per descrivere il dolore che causiamo alla nostra specie attraverso quello che imponiamo a tutti gli abitanti del Pianeta su cui viviamo.
La tragedia del naufragio di Cutro cosa c'entra con la relazione che noi umani abbiamo con gli altri animali? Nulla verrebbe da dire in modo superficiale ma quando si leggono i media che parlano di quanto accaduto sulle coste calabresi una delle espressioni più utilizzate è "trattati come animali". Lo fa oggi, in particolare, il quotidiano La Stampa, con un articolo in cui vengono mostrate le immagini delle condizioni in cui i superstiti oggi sono "ospitati". Il titolo completo è "Panchine al posto dei letti, bagni promiscui: i superstiti del naufragio trattati come animali".
"Le parole sono importanti", diceva Nanni Moretti in "Palombella Rossa" e citarlo è un classico quando si vuole fare leva appunto su come e quanto siamo immersi nella banalità della comunicazione sia interpersonale che a livello informativo con un modo di fare giornalismo sempre più votato a spingere sulle corde delle emozioni senza nemmeno più riflettere che la nostra pietas in realtà è ormai ipertrofica, come un organo leso da un utilizzo sbagliato e su cui si è steso un pesante pelo polveroso di disinteresse e abitudine alla "normalità del dolore".
"Trattati come bestie", "manco gli animali", "stipati come animali", "come carne da macello", "come animali in gabbia": tutte espressioni che alla fine poi manco ci fanno pensare agli animali ma a noi umani in condizioni… disumane, vero?
Ecco, non servono proprio a nulla dunque questi "luoghi comuni": non aiutano noi sapiens a migliorare la condizione della nostra specie e allo stesso tempo non portano alle nostre coscienze l'unico messaggio che dovrebbe risuonarci in testa come una sirena d'allarme, ovvero che quegli altri esseri viventi continuano a vivere nelle condizioni in cui noi non vorremmo trovarci mai. E continuare a usare questi modi di dire non aiuta né gli uni né gli altri e non sfonda neppure più la porta del nostro immaginario tanto che si è affollato di una sofferenza umana ancora così presente che lascia ben poco spazio a valutare il dolore degli altri esseri viventi.
"Antropocentrismo: il termine denomina concezioni filosofiche e teologiche che si fondano su una preminente considerazione dell’uomo, cui viene riferita ogni prospettiva teoretica o pratica". La Treccani spiega così quella prassi del pensiero umano che continua a delineare un aspetto ancora strabordante nella nostra cultura umana, del nostro porci nel mondo ancora oggi ma che è nato nel XV secolo per contrapporsi al Teocentrismo. Ma ci rendiamo conto che dal Medioevo sono passati fiumi di storia? Ci possiamo finalmente svegliare davvero, come del resto fecero i nostri predecessori quando per reazione al pensiero unico della religione si cercò un'alternativa, e capire che oggi è solo un arcaico modo di vedere il nostro ruolo sul Pianeta?
Insomma, possibile che l'uomo moderno debba ancora avere una visione così limitante di se stesso e degli altri esseri viventi a discapito di entrambi?
Quanto accaduto a Cutro racconta dunque anche questo: è la fotografia di una specie – la nostra – che della Vita, quella con la V maiuscola ovvero onnicomprensiva di tutte le creature che vivono sulla Terra ancora non ha rispetto e che descrive i sopravvissuti di una tragedia inaccettabile "trattati come animali" . Ovvero quello che siamo. Tutti.