Cosa c'è dietro all'acquisto di tanti cuccioli di razza (o presunta tale) che questo Natale entreranno nelle famiglie italiane? Un giro d'affari milionario, secondo solo ai business di droga e armi, che ogni anno movimenta in tutta Europa oltre 46 mila cani. Il traffico di cuccioli, provenienti dai paesi dell'Est e importati in Italia, è parte di un commercio illecito, straordinariamente redditizio, che fa capo ad associazioni criminali transnazionali.
Quello nella tratta dei cuccioli è un viaggio all’interno di un sistema criminale le cui proporzioni sono ancora poco note. I trafficanti possono agire indisturbati nel cono d'ombra delle leggi statali e comunitarie. Fino agli anni Duemila, quando si è cominciato a parlare per la prima volta di "zoomafia" e dei fenomeni connessi, questo complessa attività criminale ha potuto prosperare grazie alla scarsissima attenzione da parte della Legge.
Il nostro racconto di sfruttamento inizia nell'Europa dell'est dove le cagne sono sottoposte a continue gravidanze. Alla nascita, i cuccioli vengono immediatamente strappati alle madri. I motivi sono molteplici: togliendo il piccolo alla madre questa è immediatamente pronta per una nuova gravidanza; in secondo luogo il cucciolo può iniziare subito il suo trasferimento in Europa occidentale: più è piccolo, più sarà richiesto dal mercato. Ma c'è anche dell'altro.
Il nostro viaggio dalle farm di cuccioli si sposta lungo i corridoi logistici che collegano l’Europa orientale a quella occidentale. In questo contesto è cruciale il ruolo dell’Italia: si trova in Friuli Venezia Giulia l‘hub principale del traffico di cuccioli verso i paesi dell’area occidentale come Francia e Spagna. In tutto il volume d'affari di questo traffico supera i 300 milioni di euro all’anno.
Dopo la separazione dalla madre, i cuccioli vengono caricati su camion in gabbie minuscole o scatole di cartone, in condizioni igienico-sanitarie intollerabili. Quelli che sopravvivono al trasporto sono pronti per essere esposti nelle vetrine dei negozi addobbate per le feste o consegnati a chi li ha "ordinati" attraverso annunci online.
Cuccioli, una bomba a orologeria sotto l'albero: «Devono morire per fidelizzare il "cliente"»
Il cucciolo sotto l’albero è una «bomba a orologeria nelle case delle famiglie». E' così che Gianluca Romiti, comandante del Centro Operativo Autostradale della Polizia di Stato in Friuli Venezia Giulia, definisce i "figli della tratta", quelli che per i trafficanti sono il prodotto finale di un commercio che mira a fidelizzare nuovi clienti attraverso il trauma della morte.
«Mentre eravamo impegnati a smantellare un traffico di cuccioli dall’est – ricorda Romiti – chiesi a un trafficante perché faceva viaggiare i cuccioli in condizione di abbandono e stenti tali da cagionarne grandi sofferenze, lui mi rispose: "Comandante, i cuccioli devono arrivare per il periodo di Natale, devono campare il giusto affinché i bambini si affezionino. E poi devono morire". Gli animali d’affezione sono un regalo tipico delle Feste, infatti assistiamo in questa fase dell’anno a un traffico sempre maggiore».
Lo scopo dei trafficanti, dunque, è creare un bisogno tale da indurre un secondo acquisto nel giro di poco tempo. Un ciclo illegale senza fine nel quale la morte dell'animale e il dolore di chi lo accoglie non rappresentano solo un rischio calcolato, ma parte di una precisa strategia elaborata dai trafficanti. I cani sono sottoposti a lunghi viaggi in camion o dentro bagagliai stretti in cui le deiezioni degli animali non vengono mai pulite, in una fase della vita dei cuccioli in cui possono svilupparsi infezioni e malattie batteriche che emergeranno solo dopo essere stati "scartati" sotto l'albero di Natale. I cuccioli dunque arrivano nelle case volutamente già provati, per poi morire poco dopo.
Le Puppy mills: cosa sono e quanto soffrono madri e cuccioli
Il momento in cui il benessere dell'animale viene fortemente compromesso è antecedente al viaggio e risiede nelle circostanze della sua nascita, in quelle farm ungheresi e romene dove le femmine sono sottoposte a continue gravidanze. Queste strutture sono spesso gestite da chi poi introdurrà i cuccioli in Italia, ma non è sempre così, come spiega Romiti: «Dobbiamo immaginare, e l’abbiamo accertato, che soprattutto in Romania, Ungheria e Repubblica Ceca, è molto diffuso il culto dell’allevamento degli animali d’affezione e non è raro vedere in casa dei privati molte cucciolate».
In Ungheria ci sono 54,2 animali d'affezione ogni 100 persone, il rapporto più elevato di tutta l'Unione europea. L'Italia la segue al secondo posto. Questa caratteristica culturale è stata da alcuni portata alle estreme conseguenze con la creazione delle Puppy mills.
Anche se non esiste una definizione standard, con Puppy mills si indicano tutte quelle realtà dove si pratica l'allevamento intensivo dei cani. Non è detto che queste strutture, molto presenti in est Europa siano fuori legge ma questa pratica è censurabile dal punto di vista etico anche se non è di per sé illegale. A fare la differenza sono le modalità con le quali vengono trattate le fattrici e i loro figli, il periodo che intercorre tra il parto e la separazione.
«La salute compromessa di cuccioli molto piccoli è legata anche e soprattutto alle cattive condizioni di allevamento della madre e a gravidanze troppo ravvicinate – spiega Laura Arena veterinaria esperta in Benessere animale e membro del comitato scientifico di Kodami – Ci sono rilevanze scientifiche che dimostrano coma la paura vissuta dalle madri possa essere trasmessa ai figli e palesarsi con un sistema immunitario più debole e in un incremento dei fattori di rischio. Inoltre, nei momenti immediatamente successivi al parto anche il tipo di socializzazione che una madre traumatizzata ha con il proprio piccolo può influire sul suo futuro sviluppo».
È una volta usciti da quei luoghi di deprivazione che le strade dei mercati legale e illegale si separano, percorrendo binari paralleli che non si incontrano pur avendo lo stesso inizio, l'est Europa, e lo stesso punto d'arrivo: i negozi dell'Europa occidentale.
Il traffico sostenuto da chi fornisce la documentazione falsa
Operazione della Polizia di Udine
Per quanto riguarda il commercio illecito, Romiti ne ricostruisce le fasi: «Una volta nati, i cuccioli vengono conferiti in grandi zone di stoccaggio. Qui passano nelle mani dei trafficanti che attraverso il supporto di veterinari e ufficiali sanitari del paese di provenienza acquisiscono le certificazioni necessarie a creare il passaporto del cane, documento fondamentale per la sua movimentazione».
In accordo con i trafficanti, la documentazione fornisce false indicazioni anagrafiche del cane. Dall'età allo stato vaccinale, pedigree compreso, è tutto fittizio. «I cani possono circolare liberamente su territorio comunitario solo se hanno effettuato la vaccinazione antirabbica, questa può essere fatta solo se il cane ha un corredo immunitario sufficientemente maturo, cioè dopo i 3 mesi – chiarisce il Comandante – Considerando che il vaccino fa effetto dopo 20 giorni, i cani potrebbero essere legalmente introdotti nel paese che li vuole ricevere solo dopo i 4 mesi dalla nascita. Per questo si falsifica sul passaporto la vera età del cane e l’avvenuta vaccinazione. Un grosso problema perché chi acquisterà quel cane, la famiglia non saprà mai la situazione sanitaria del cane».
Inoltre, si dimentica che il pedigree non rappresenta un vezzo che indica la purezza della razza ma un documento sanitario fondamentale per ricostruire l'anamnesi della famiglia del cane.
A questo punto il trafficante deve apporre il timbro che certifica che l'animale viene dall’est. Tuttavia il consumatore finale può non volere un cane che viene da un paese straniero, così alcuni scelgono di importare cani totalmente privi di documentazione. «Il cane viene introdotto come se fosse merce di contrabbando – evidenzia Romiti – La documentazione gli viene fornita solo una volta giunto sul territorio italiano dove legalmente "nasce"».
«È più lucroso fare entrare un cane di contrabbando perché ciò permette al commerciante di spuntare prezzi maggiori durante la trattativa con i clienti. Mentre vendere un cane con passaporto sloveno o ceco può portare a un prezzo minore», spiega Romiti. Tuttavia si tratta di una pratica molto più rischiosa per il trafficante: «Il passaporto falso ha il vantaggio di passare più facilmente i controlli alla frontiera, non sempre la Polizia ha l'opportunità di verificare, attraverso un controllo incrociato, l'attendibilità del passaporto del cane, per questo è più facile che cuccioli importati con questo metodo superino i controlli senza troppe difficoltà. L’assenza di documentazione, invece, fa invece scattare automaticamente la sanzione in fase di controllo». Quelli che infatti vengono intercettati più di frequente sono infatti i traffici di cuccioli privi di qualunque documentazione.
Zoomafia a Gomorra: i clan coinvolti e la rete di contatti necessari per le associazioni criminali
La sorte di questi animali, una volta arrivati a destinazione, sotto forma di pacco dono nelle case degli italiani, non migliora: moriranno per infezioni e patologie contratte durante il trasporto, oppure saranno abbandonati con l'arrivo dell'estate, quando le persone si rendono conto di non aver fatto entrare in casa un oggetto ma un individuo senziente con necessità e bisogni che devono essere ascoltati al pari di qualsiasi altro membro della famiglia.
In questo sistema il Friuli Venezia Giulia rappresenta la porta d’ingresso per un lucrosissimo mercato che si ramifica in tutte le regioni d’Italia e anche oltre. La documentazione con la quale viaggiano questi animali indica che in molti casi il Belpaese rappresenta solo la tappa intermedia rispetto ad altri paesi dell’Europa occidentale, come Francia e Spagna.
Che una simile attività non abbia carattere estemporaneo ma si basi su un sistema organizzato di natura transnazionale che collega personalità criminali, ufficiali sanitari e altre figure compiacenti è chiaro. Nella relazione parlamentare presentata in Senato nel 2018 che analizza proprio l'impatto delle organizzazioni criminali in Italia, sotto il capitolo riservato alle attività dei gruppi di origine balcanica ed est europea, si legge che accanto alle tradizionali attività relative all'immigrazione clandestina, allo sfruttamento della prostituzione, al traffico di armi e di stupefacenti, trova posto anche «il fenomeno della cosiddetta “zoomafia”, neologismo che descrive l’importazione clandestina di cuccioli (cani e, occasionalmente, anche gatti) di razze pregiate, utilizzando i valichi del nord-est quale porta d’ingresso per il territorio nazionale, già collaudati per altri traffici illeciti».
Una simile rete che può contare su ramificazioni in Italia e all’estero sarebbe possibile senza il coinvolgimento della criminalità organizzata? Secondo quanto emerso nel corso degli anni dalle indagini della magistratura i clan campani Moccia e Vanella Grassi hanno avuto le mani in pasta in questo business per tutta la loro longeva vita criminale. Anche il noto clan Di Lauro, protagonista della popolare serie tv "Gomorra", avrebbe avuto un ruolo egemone nella gestione del traffico di cuccioli tra Europa e Italia. Ma questa pagina del libro mastro del gruppo camorristico napoletano non è stata attenzionata dalla popolare serie di Sky.
«Quest'anno in Friuli Venezia Giulia abbiamo indagato 11 persone per reati relativi al traffico di animali d'affezione – evidenzia il comandante Romiti – Facciamo attività di indagine che portano a emissione di custodie cautelari ma al momento io escludo il coinvolgimento della criminalità organizzata, anche se sicuramente si può parlare di associazioni a delinquere. Il traffico illecito di animali non nasce in maniera spontanea, serve una rete con il concorso di persone italiane e straniere».
L'identikit del cucciolo importato
Alcuni tipi di animali d'affezione sono più soggetti di altri ad essere trafficati. «Gatti di pregio, ma anche cani di media-piccola taglia»: è l'identikit del cane importato secondo il comandante Romiti. «Anche i cani, pur essendo esseri viventi, sono soggetti alle mode. Oggi nel corso delle nostre operazioni fermiamo partite soprattutto di Bouledogue francese, Barboncini, Maltesi e Chihuaha. Il cane, trattato esattamente come un prodotto commerciale, subisce le mode e i trafficanti si adeguano. La moda del Dalmata negli anni 90. C’è un perfetto parallelismo tra ciò che richiede il mercato e ciò che danno i trafficanti».
Non serve sforzarsi troppo per capire che le razze più apprezzate sono quelle proposte più spesso sulle pagine degli influencer. E a proposito di mode, negli ultimi ani a rendere i Bouldogue francesi i cani più richiesti è stata a Chiara Ferragni, creator da oltre 25 milioni di follower su Instagram, che ha spesso condiviso con i suoi seguaci i tanti problemi di salute che accompagnano da qualche anno la sua Matilda.
I problemi di salute di "Mati" sono tutt'altro che rari per un cane brachicefalo come il Bouledogue francese, frutto di una selezione estrema da parte degli esseri umani. Le teste rotonde e i musi schiacciati di questi cani sono percepiti come simpatici da vedere ma in realtà all'animale causano gravi problemi di salute. Narici strette, palato molle allungato, schiacciamento della trachea: sono alcune delle conseguenze della sindrome dei cani brachicefali, una condizione che rende ancora più crudele il traffico di questa specie canina.
Cosa sta facendo l'Europa?
Il traffico di cuccioli, diversamente da quello di droga, non è punito così duramente delle norme italiane e comunitarie. E i rischi per gli importatori illegali sono risibili a fronte dei lauti guadagni.
Nel corso di otto controlli effettuati in Friuli Venezia Giulia tra il 2020 e il 2021 sono stati rintracciati 160 cuccioli d’affezione. «Su ogni cucciolo c’è più del 100% di ricarico – sottolinea il comandante Romiti – Questo perché il costo di produzione del cucciolo si aggira solitamente intorno ai 400 euro a fronte di un prezzo di vendita che si arriva anche ai 1.500 euro». Questa cifra, riferita alle sole operazioni condotte nella regione se dovesse essere applicata a tutto il territorio nazionale tocca i 240mila euro, ma si può arrivare a un giro d'affari di milioni di euro guardando al panorama europeo.
Questi numeri sono coerenti con quelle presentati al Parlamento Europeo durante l'ultima discussione a Strasburgo dedicata al Commercio illegale di animali da compagnia nell'UE. In quell'occasione, nel 2020, gli europarlamentari hanno evidenziato la carenza normativa in Europa.
Del resto è impossibile prevenire un commercio che è per la sua natura transnazionale solo inasprendo le norme dei singoli stati: è necessaria un'azione congiunta, come ha sottolineato anche l'europarlamentare Isabella Adinolfi, membro del Welfare and Conservation of Animals, l'intergruppo che si occupa dei diritti degli animali. «L’Articolo 13 del Trattato di Lisbona, sancisce che gli animali sono esseri senzienti e come tali devono esser trattati e tutelati – ricorda l'eurodeputata – eppure ancora oggi vengono considerati soltanto oggetti, spesso stipati in camion o stive come qualsiasi merce o bagaglio, per poi essere venduti illegalmente in tutta Europa. Abbiamo chiesto un piano d’azione unico in tutti gli Stati Membri per fermare il commercio illegale di cuccioli, in primis per loro benessere ma anche per tutelare chi li alleva e li cresce nel rispetto delle normative».
Ma anche se qualcosa è stato fatto, molto altro deve ancora essere messo in atto, come sottolinea Adinolfi: «Nel febbraio del 2020, il Parlamento europeo ha votato in plenaria un’importante risoluzione, dando strumenti maggiori nel contrasto al traffico illegale degli animali, con controlli più ferrei e pene più severe, partendo in primis dalla registrazione obbligatoria di tutti i cuccioli».
Un primo passo potrebbe essere quello di migliorare le modalità del trasporto degli animali vivi. In tal senso, la commissione d'inchiesta Anit ha evidenziato come gli animali d'allevamento durante i trasporti siano spesso movimentati privi di acqua, cibo, spazio, su mezzi sovraffollati ed esposti a tempi di viaggio prolungati. Se si innalzasse la qualità del trasporto sul corridoio legale del commercio animale sarebbe più facile individuare chi vive al di fuori di esso.
«L’inchiesta dell’Anit ha confermato che c’è ancora tanto da fare in termini di benessere degli animali – aggiunge l'europarlamentare – Sono stata, nei mesi scorsi, tra i primi europarlamentari a firmare la campagna #EuforAnimals, proprio perché le normative europee in materia non tutelano abbastanza il benessere animale. Ci sono ancora troppe violazioni, dalla carenza di spazio a quella di cibo e acqua durante il trasporto, che ci impongono una sterzata netta con normative adeguate in grado di offrire maggiore protezione nei confronti degli animali. Per questo motivo chiediamo a gran voce un Commissario europeo che lavori per garantire il loro benessere».
Ma nulla potrà mai cambiare fino a quando le istituzioni non cominceranno a considerare gli animali come individui e non come oggetti interscambiabili, buoni per arredare i salotti. «Il problema è proprio di come si interpreta la vita – conclude Adinolfi – Decidere di vivere con animale dovrebbe significare decidere di allargare la famiglia, essere consapevoli che prendiamo a vivere con noi qualcuno che dipende da noi, che ha dei sentimenti, che ci vorrà bene ma nei confronti del quale avremo degli oneri da sostenere. Non è un oggetto: è un essere senziente con dei sentimenti. E si possono "comprare" i sentimenti?».
È più facile scoprire un falso Picasso che un falso passaporto canino
Per il Parlamento europeo quello dei cuccioli è il terzo commercio illegale più redditizio dopo droga e armi. Ma per le Forze dell’Ordine italiane non si tratta di una stima pienamente attendibile, manca infatti una banca dati nazionale per monitorare tutte le attività investigative di questo tipo e dove fare confluire le operazioni delle Forze di Polizia e dei servizi veterinari nazionali.
Paradossalmente, esiste già una Banca Dati dei beni culturali illecitamente sottratti gestita dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale. Uno strumento che si è dimostrato fondamentale in numerosi recuperi d'arte e che ha il vantaggio di tenere aggiornato il flusso d'informazioni relativo a beni e operazioni condotte dai reparti specifici delle Forze dell'Ordine italiane ed europee. Non è raro quindi che un dipinto falso, da Picasso a Modigliani passando per i grandi maestri del Cinquecento, venga smascherato usando il flussi di informazioni raccolti in banca dati.
L'assenza di un database unico che tenga traccia dei passaporti canini e che permetta a tutti gli attori coinvolti la fruizione delle segnalazioni rende dunque più difficile smascherare un passaporto canino contraffatto in est Europa piuttosto che un falso Picasso.
Qualcosa di simile a un simile database esiste sul fronte legale: è possibile evincere i volumi del commercio di animali d'affezione grazie alle notifiche Traces (TRAde Control and Export System), la piattaforma che funge da collegamento tra gli importatori legali e le figure di controllo istituzionali. «Si tratta di una banca dati sufficiente per dire che traffico animali lecito aumenta, ma di conseguenza deduciamo che aumenta anche l'illecito», sottolinea il comandante Romiti.
Ma anche in questo caso la fruizione non è possibile per tutti. La repressione di questo commercio è un’attività d’equipe: la Polizia stradale delle zone di frontiera è la prima a intervenire, ma perché l'operazione vada a buon fine servono professionalità profondamente diverse.
Qui entra in gioco il Nucleo Operativo per l’Attività di Vigilanza Ambientale, sottolinea Romiti: «È il Noava che dà informazioni relative a Traces e alle movimentazione di animali in entrata e uscita, sono loro che hanno possibilità di attingere a queste banche dati. Sul versante europeo il coordinamento tra le Forze di Polizia europee è assicurato da Europol, per il traffico di animali come per qualsiasi altro reato transnazionale».
Esiste quindi un database unitario per tracciare gli oggetti d'arte e la loro movimentazione illegale, ma non per del traffico di animali. Nonostante gli animali, al contrario delle opere d'arte, siano individui. Un vero cortocircuito culturale che si riflette sulla legge: mentre per la Cassazione gli animali sono a tutti gli effetti esseri senzienti, per la normativa italiana sono res, beni di proprietà.
Le pene previste per gli importatori sono stabilite dalla la legge 201 del 4 novembre 2010 che punisce con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro «chiunque al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, reiteratamente o tramite attività organizzate, introduce nel territorio nazionale animali da compagnia privi di sistemi per l'identificazione individuale e delle necessarie certificazioni sanitarie e non muniti, ove richiesto, di passaporto individuale». È il caso del "cane di contrabbando".
Più spesso, però, i trasportatori vengono puniti secondo il più generico articolo 544 ter del codice penale, relativo al maltrattamento degli animali, a causa delle sofferenze inutili inflitte agli animali durante il trasporto. In questo caso la pena aumenta se dalla condotta deriva la morte dell’animale. Non è raro che in questa fattispecie di reato rientrino anche i trasportatori del comparto legale. È qui, con l'arrivo in Italia, che i binari legali e illegali si ricongiungono.
Importazione legale e illegale: la differenza che non conta…
«In riferimento al periodo pre-pandemico, a Natale abbiamo sempre notato un forte incremento di questa attività, sia lecita che illecita», ricorda il comandante Romiti. Una breve tregua è stata indotta dalla pandemia di Covid-19. «Questo evento ha stravolto anche il traffico di cuccioli: l'aumento di controlli alle frontiere ha disincentivato questa tratta non solo tra Italia e Slovenia, ma anche tra Slovenia e Ungheria. Questo ha reso tutto più complicato per i trafficanti». Oggi però i volumi del commercio di cuccioli, legale e illegale, sono arrivati quasi ai livelli antecedenti al SarsCov2, con tutte le conseguenze che ne derivano.
Il commercio legale dei cuccioli segue le stesse diagonali del traffico illegale. Ma quali sono le differenze tra questi due canali? L'atto stesso di acquistare i cuccioli "legali" contribuisce ad occultare il mercato sommerso, perché i trafficanti con documenti contraffatti si appoggiano alla rete legale. Inoltre, legali o meno, i cuccioli nascono per la maggior parte nelle Puppy mills e affrontano un viaggio lungo migliaia di chilometri a soli quattro mesi di vita, o anche meno.
Ciò che distingue un cucciolo del commercio legale da uno della tratta è solo un passaporto. Fondamentale per la salute del cucciolo ma che non basta a giustificare le peripezie che l'animale è costretto ad affrontare. La presenza di una burocrazia più o meno complessa non incide sul trauma e le sofferenze che l'animale ha subito durante il trasporto e in seguito, con l'esposizione in negozio.
Il cane per secoli è stato compagno di vita dell'essere umano, oggi spesso è ridotto a oggetto e complemento d'arredo, buono fino a quando la sua individualità non diventa un problema. L'aumento della domanda di animali d'affezione sotto Natale è proporzionale al tasso di abbandoni in estate. Per questo per Natale il regalo più grande che si può fare è adottare consapevolmente.
Un acquisto frettoloso, magari di un cane incompatibile con le dinamiche familiari, fa crescere anche un fenomeno complementare a quello della tratta dei cuccioli. Gli animali che vengono lasciati in strada dalle ex famiglie sono tutti figli del commercio legale e illegale, la burocrazia non fa differenze in questo. E non si smantellerà il commercio illegale se prima non si farà un'operazione simile a quella condotta in altri Paesi, come la Spagna, dove la vendita nei negozi degli animali d'affezione sta per essere vietata.
Già l'istituto di ricerca Eurispes aveva segnalato come tra le coppie con figli si trovi la percentuale più alta di coloro che preferiscono i cani. È facile dedurre che per molti genitori i cani rappresentino il regalo perfetto. Alla base di questo orientamento ci sono anche valori positivi, ma l'educazione al rispetto della vita non può prescindere da una adozione consapevole, che non è mai una pratica che si risolve posando i contanti sul banco di un negozio.