Condannato a 18 mesi di carcere, al pagamento delle spese processuali e al risarcimento danni (da stabilire in sede civile) l’uomo che nel 2015 torturò e uccise Pilù, cagnolina di razzaPinscher Nano della ex fidanzata: la sentenza di primo grado è stata emessa dalla giudice Barbara Floris, chel’ha letta nell’aula del tribunale di Pistoia in cui si è tenuta il processo.
Il pubblico ministero aveva chiesto una condanna a 2 anni e 3 mesi per maltrattamenti animali aggravati dalla morte del cane, citando l’articolo 544 del codice penale. Che prevede appunto che la condanna per maltrattamenti – la reclusione da tre a diciotto mesi o la multa da 5.000 a 30.000 euro – venga aumentata della metà se dal maltrattamento deriva la morte. Pilù morì in seguito alle torture cui venne sottoposta dall’uomo, all’epoca dei fatti poco più che ventenne, che oltre a seviziarla filmò il tutto, un video che è stato mostrato anche in aula, sotto gli sguardi inorriditi dei presenti.
Davanti al tribunale, intanto, andava in scena il presidio degli Animalisti Italiani – una delle tante associazioni che si sono costituite parti civili nel processo – che alla notizia della condanna hanno esultato, seppure ricordando come oggi il codice penale italiano sanzioni il maltrattamento con pene ritenute ancora troppo lievi. Nel caso di Pilù, il giudice ha rigettato sia la richiesta di messa alla prova sia quella di patteggiamento richiesti dagli avvocati della difesa, e ha emesso sentenza di condanna.
«La maggior parte dei processi per reati contro gli animali si conclude con l’istituto della messa alla prova, il che significa che l’assassino di solito non sconta nemmeno un giorno di carcere. Possiamo considerare il caso giudiziario di Pilù un piccolo passo avanti nella tortuosa e lunga strada della difesa dei diritti degli animali – ha detto il presidente di Animalisti Italiani, Walter Caporale – Ma non ci fermeremo qui: proseguiremo la nostra raccolta firme per ottenere pene più severe sia in termini di detenzione che di sanzioni pecuniarie in merito a tali tipologie di reato».
«È sempre più urgente una riforma del Codice penale che introduca un inasprimento delle pene per chi maltratta e uccide animali», commenta il presidente dell’Oipa, Massimo Comparotto. «Gli animali devono essere considerati esseri viventi suscettibili di tutela diretta e non più indiretta solo perché oggetto del sentimento di pietà nutrito dagli esseri umani verso di loro. Purtroppo ancora non hanno una copertura legislativa diretta non essendo loro riconosciuta soggettività giuridica. Tra l’altro, studi scientifici attestano la correlazione tra la crudeltà sugli animali e la più generale pericolosità sociale di chi la commette».
Il maltrattamento animale campanello d’allarme nei casi di violenza sulle donne
Stando a quanto accertato nel corso del processo, l’uomo avrebbe torturato la cagnolina per «fare un dispetto» all’ex fidanzata, legatissima all’animale. Proprio lei aveva trovato Pilù, ormai in fin di vita, e aveva poi sporto denuncia: ennesimo episodio che conferma come molto spesso la violenza sugli animali sia strettamente correlata alla pericolosità sociale e di come molto spesso i partner violenti indirizzino la brutalità anche verso gli animali delle donne vittima di violenza per ferirle ed esercitare controllo su esseri più deboli.
Una teoria supportata da diversi studi e, in Italia, sostenuta in diversi procedimenti penali anche da Francesca Sorcinelli, fondatrice di Link Italia, che a Kodami aveva spiegato in modo approfondito come sia una strategia comune, per moltissimi partner o ex partner e abusanti, accanirsi sugli animali per terrorizzare la donna, devastarla psicologicamente e anche spingerla a restare nella relazione per timore delle ripercussioni sull’animale.
Proprio una relazione tecnica di Link Italia a firma di Francesca Sorcinelli è stata presentata nel corso del processo da Oipa: «Il documento conteneva indicazioni tecniche che prendevano in esame e citavano casi simili a quello di Pilù, e studi su come qualificare un caso di questo tipo – conferma a Kodami Claudia Taccagni, avvocata di Oipa – Volevamo sottolineare davanti al giudice come il gesto fosse di fatto una ritorsione dell’uomo verso l’ex fidanzata, torturando la cagnolina».
«La violenza e la crudeltà verso gli animali sono tratti specifici di pericolosità sociale – aveva spiegato Sorcinelli – Inserite in un contesto domestico, se è il partner a esercitare questa violenza, è un campanello d’allarme per le donne e anche per minori. Centinaia di casi che abbiamo trattato hanno dimostrato che in ambito domestico, in presenza di partner abusante, quest’ultimo spesso minaccia di ferire e uccidere, o ferisce e uccide, l’animale per instaurare un clima di terrore verso la donna o il minore di cui sta abusando. E le donne spesso non denunciano perché temono di non essere capite, di non venire prese sul serio quando parlano di violenze sui propri animali, e il rischio vittimizzazione secondaria è altissimo».
Nel caso di Pilù, la sua umana aveva immediatamente sporto denuncia, e si erano costituite parti civili anche le associazioni animaliste. La speranza è che, a un’aumentata sensibilità di forze dell’ordine, procure e giudici verso i crimini contro gli animali, corrisponda presto anche una revisione del codice penale per inasprire le pene previste per chi si macchia di questi reati.