I suini sono a terra, stesi tra i loro stessi escrementi, mentre i topi passeggiano sui corpi di quelli morti e di quelli ancora vivi. Sono immagini crude quelle diffuse dalla giornalista Giulia Innocenzi per denunciare la situazione in cui versano due allevamenti intensivi in Emilia-Romagna.
«Immagini così non le avevo mai viste», esordisce Innocenzi nel video pubblicato subito dopo aver presentato denuncia ai Carabinieri. Un'affermazione che sorprende visto che la giornalista insieme al film-maker Pablo D'Ambrosi, proprio quest'anno ha presentato "Food for profit", il documentario che entra negli allevamenti e nei mattatoi denunciato le irregolarità, i rischi per la salute umana e lo sfruttamento degli animali e dei lavoratori.
In occasione della Giornata mondiale degli animali, Innocenzi è tornata ad accendere un faro sull'industria della carne riaccendendo il dibattito sula crudeltà di questo business e sui rischi per la salute di tutti. I due allevamenti si trovano infatti in Emilia-Romagna, in piena zona di restrizione per prevenire la diffusione della peste suina africana, il luogo in cui l'igiene e la biosicurezza dovrebbero raggiungere gli standard più alti, ma questo non può avvenire proprio a causa delle regole attualmente in vigore.
Peste suina africana e allevamenti
La Peste suina africana (Psa) è ufficialmente arrivata in Italia nel Comune di Ovada, in provincia di Alessandria, dove nel gennaio 2022 è stato rivenuto il primo corpo di un cinghiale morto a causa della malattia. La Psa colpisce tutti i suidi, quindi maiali e cinghiali, è causata dal virus della famiglia Asfaviridae, genere Asfivirus e fa così paura, soprattutto all'industria zootecnica perché al momento non esistono vaccini né cure. Quando l'animale manifesta i sintomi tipici della febbre emorragica il suo destino è già segnato, la mortalità infatti è del 90%.
L'Italia è stato solo l'ultimo approdo di un'onda molto lunga: il ceppo di Psa isolato all'interno del "paziente 0" di Ovada è infatti di provenienza Nordeuropea. Nei mesi precedenti c'erano già stati focolai sia in Germania che in Belgio e gli esperti ritengono che la malattia sia arrivata in Italia proprio attraverso i canali di comunicazione con il Nord-Europa. Eppure, prima di prendere misure di prevenzione si è atteso oltre un mese, con la nomina del primo Commissario straordinario all'emergenza.
Oltre a perdere gli animali, gli imprenditori italiani temono il blocco dell'export dei prodotti suinicoli a livello internazionale. Secondo l'ultimo report dell'ISMEA, l'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare vigilato dal Ministero dell'Agricoltura, l'incognita della peste suina africana sta creando «forti problematiche alla movimentazione dei capi e perdite non trascurabili dovute al mancato export di carni fresche e certe categorie di salumi verso alcuni mercati strategici, come quelli asiatici, per il proseguimento delle misure di sbarramento di carattere sanitario».
Un problema non da poco dato che nel corso del 2023 le carni suine hanno rappresentato l’unica eccezione a un andamento tutto sommato positivo degli acquisti domestici di carni fresche, e anche il 2024 è proseguito all’insegna di un netto ridimensionamento del carrello sia dei freschi che dei salumi.
Per arginare l'emorragia, sono state imposte ai produttori una serie di regole, diverse a seconda della vicinanza a un focolaio, e similmente a quanto fatto durante la pandemia da Covid-19 sono state suddivise zone di restrizione, zone gialle e zone bianche.
Regole e restrizioni
Secondo le regole, quando un allevatore scopre un animale malato all'interno della sua struttura è obbligato a segnalarlo all'Asl competente, questa effettuerà i rilievi, e se l'animale dovesse risultare positivo al virus della Psa, vanno abbattuti senza eccezione tutti i suini. A questo si aggiunge lo stop alla movimentazione degli animali sul territorio che non possono quindi essere spostati neanche in caso di sovraffollamento della struttura dovuto a nuove nascite, come nel caso presentato da Innocenzi, dove si vedono numerosi suinetti, alcuni appena nati, ammassati nei corridoi invece che nei boz, e scrofe costrette a partorire in aree non idonee
Sono passati quasi tre anni dall'esordio del focolaio italiano, eppure le misure sono sostanzialmente le stesse, come si legge nell'ordinanza più recente firmata dall'ultimo Commissario alla peste suina africana in carica, Giovanni Filippini, che conferma sostanzialmente gli ambiti di intervento dei suoi predecessori:
- Contenimento della popolazione di cinghiali selvatici nelle zone soggette a restrizione, attraverso il rafforzamento delle barriere stradali e autostradali o eventuale costruzione di ulteriori barriere;
- Abbattimento dei cinghiali selvatici;
- Sorveglianza epidemiologica nei suini domestici e nei cinghiali selvatici;
- Misure di biosicurezza negli stabilimenti.
Misure che noi di Kodami abbiamo spiegato punto per punto in un video approfondimento dedicato proprio alla peste suina africana e alla situazione italiana.
Nessuna di queste, tuttavia si è dimostrata risolutiva, a cominciare dall'abbattimento dei cinghiali, che come più volte dimostrato dalla comunità scientifica tendono a diventare più prolifici quando la popolazione è minacciata. Oggi i cinghiali in Italia sono stimati in più di un milione, e con loro crescono anche i ritrovamenti di animali infetti e quindi vettori della malattia. Eppure la ricetta è sempre la stessa: barriere e abbattimenti, una non-soluzione che sembra mirare soprattutto a fornire un palliativo economico agli allevatori colpiti dalla crisi suinicola che percepiscono un indennizzo per la morte di ogni animale.
Industria della crudeltà: la denuncia di Evi
Sulla questione è intervenuta anche la deputata del Partito Democratico Eleonora Evi che da anni denuncia in sede europea e in Italia, il trattamento riservato agli animali d'allevamento: «Questa situazione di inaudita gravità, che per l’ennesima volta ci mostra quanto le parole “benessere animale” siano troppo spesso una chimera quando non una vera e propria presa in giro, si aggiunge la negligenza nell’adozione di misure di biosicurezza minime per garantire il contenimento della diffusione del virus, come, ad esempio, le carcasse dei suini lasciate all’aperto liberamente accessibili da roditori, insetti, volatili».
A nulla quindi servono le semplici barriere senza una strategia che punti anche a prevenire la diffusione salvando i suini, e non punti esclusivamente sugli abbattimenti di massa. «Ho presentato una interrogazione al Governo per chiedere controlli puntuali e sorveglianza, non solo relativamente ai casi denunciati ma per tutti gli allevamenti nelle zone di restrizione a rischio di Psa – ha aggiunto la deputata – Il sistema malato degli allevamenti intensivi produce già oggi enormi danni ambientali, inquinando aria, acqua e suolo, aggrava la crisi climatica e provoca sofferenza a milioni di esseri senzienti. Il virus della Psa rappresenta l’ennesima ragione che dovrebbe indurci a cambiare modello produttivo».