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3 Marzo 2023
9:03

Titanosauri: i più grandi fra i dinosauri sauropodi

I titanosauri erano un gruppo di dinosauri sauropodi vissuti nel Cretaceo, considerati gli animali più grandi che abbiano mai camminato sulla Terra. Il Titanosaurus indicus raggiungeva infatti i 20 metri di lunghezza e i 7 metri di altezza. Resti sono stati trovati in Sud America, in Africa, ma anche in Asia ed Europa, come quelli dell'italiano Tito, il primo sauropode scoperto in Italia.

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Nel corso del Cretaceo i sauropodi includevano il gruppo di animali più grandi che abbia mai camminato sulla Terra: i titanosauri. Quest'ultimi erano dinosauri abbastanza eterogenei, che oltre a disporre della specie tipo Titanosaurus, oggi considerata una specie problematica e dal nomen dubium, avevano anche come loro rappresentanti l'Argentinosaurus, il Dreadnoughtus e il Patagotitan, tre dei sauropodi più pesanti mai ritrovati, potendo infatti superare oltre le 90 tonnellate.

Oggi, l'unica specie dell'intero genere che è ancora considerata valida, a seguito di molteplici revisioni e cambi di nome, è Titanosaurus indicus, ritrovato in India e vissuto durante il Cretaceo superiore, da 100 a 66 milioni di anni fa. Fino infatti a pochi anni fa il genere Titanosaurus veniva considerato un "cestino" dove far ricadere tutti i reperti di origine dubbia o difficili da studiare. E a seguito delle nuove analisi affrontate in molti dei reperti, T. indicus è rimasta l'unica specie a rappresentare il suo genere.

Parlando invece dell'intera superfamiglia dei titanosauri, non è ancora chiaro quanti dinosauri vi appartenessero, visto che attualmente la revisione non si è ancora conclusa. Basti pensare che negli ultimi anni sono stati scoperti diversi esemplari classificati temporaneamente come titanosauri, ma che necessitano ancora – secondo gli stessi paleontologi – di molteplici analisi approfondite, per comprendere la loro vera natura. Tali analisi sono anche abbastanza urgenti, perché potrebbero portare a un cambio di nome e all'istituzione di nuovi generi.

Complessivamente questo gruppo di sauropodi era comunque ben distribuito sull'antica faccia della Terra e raccoglie tutte le forme più massicce di dinosauri comparsi durante il Mesozoico. Il maggior numero di specie è stato osservato in Sud America e in Africa, ma anche l'Europa e l'Asia hanno avuto i loro rappresentanti, come l'italiano Tito, che è stato il primo esempio di sauropode mai scoperto in Italia.

Caratteristiche del Titanosauro

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Concentrandoci esclusivamente sul Titanosaurus indicus, che rappresenta la specie tipo dell'intera famiglia, possiamo asserire che è stato estremamente difficile descrivere questo animale, senza prendere in considerazione le informazioni risalenti ad altre specie di sauropodi dello stesso periodo. Per quanto infatti possa sembrare assurdo, visto che la specie rappresenta l'intera famiglia dei titanosauri, i reperti fossili di T. indicus recuperati in India non sono molti completi e in taluni casi si limitano a qualche vertebra e ai femori, che superando anche i due metri di lunghezza sembrano essersi evoluti per adattarsi all'enorme peso dell'erbivoro.

Secondo le ricostruzioni dei paleontologi, il titanosauro indiano era lungo dai 12 fino ai 20 metri e con il collo sollevato poteva raggiungere la ragguardevole altezza di 7 metri. Come già espresso, all'interno della sua famiglia c'erano specie molto più grandi e molto più alti, ma è possibile che alcuni esemplari adulti potessero comunque competere con alcuni dei loro cugini sud americani.

Grazie alle vertebre ritrovate in India sappiamo però che il titanosauro possedeva un collo e una coda simile a quella del Diplodoco, seppur quella appartenuta al gigante del Giurassico fosse molto meno spessa. Il collo del titanosauro gli impediva anche di sollevare la testa molto lontano da terra, come invece facevano ai loro tempi i Brachiosauri durante il periodo antecedente. Sembra inoltre che come molti altri sauropodi dello stesso periodo, il T. indicus disponesse di un dorso ricoperto di piastre o osteodermi, impiegati come strumenti di difesa contro i superpredatori. Un vero e proprio scudo, che seppur fosse molto differente da quello degli anchilosauri, era capace di resistere agli artigli dei predatori e ai morsi delle zanzare, che secondo molti ricercatori infestavano le pianure in cui vivevano questi pachidermi.

Allargandoci invece all'intero gruppo dei titanosauri, in cui rientrano l'Argentinosaurus e il Dreadnoughtus, non possiamo non sospettare che lo stesso T. indicus avesse a disposizione come loro un cranio incredibilmente piccolo, per un animale delle sue dimensioni. E anche se il suo cervello non era particolarmente sviluppato, secondo molti paleontologi questi animali disponevano di grossi gangli nervosi disposti in maniera strategica lungo l'intero corpo dell'animale, in modo tale che essi potessero controllare con precisione l'intera loro massa in maniera sopraffina.

Relativamente alle specie già descritte, possiamo però in generale asserire che questo gruppo di dinosauri era formato da animali che sembrano essersi evoluti solo per battere qualsiasi record. Il Puertasaurus con le sue 100 tonnellate di peso per esempio risulta infatti essere l'animale terrestre più pesante mai esistito.  L'Argentinosaurus con i suoi 30-35 metri di lunghezza il più alto. Tuttavia, nonostante le incredibili dimensioni di queste specie, il record di animale più grande mai vissuto sulla Terra è probabilmente appartenuto al Patagotitan, che misurava ben 40 metri di lunghezza, 20 metri di altezza e con un peso massimo stimato di 77 tonnellate, il che lo rende di diritto l'animale terrestre più grande al mondo, insieme al Brachiosauro e al Diplodoco.

Abitudini e comportamento

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Una delle scoperte più sorprendenti appartenute a questi animali è avvenuto nel 1997, quando il paleontologo Luis Chiappe scoprì in Patagonia un terreno di nidificazione e deposizione di uova.Queste erano grandi anche 12 centimetri e avevano una forma sferica, seppur in alcuni casi fossero anche leggermente ovali. Ognuna delle uova scoperte da Chiappe risultava fossilizzata e conteneva embrioni ancora integri, una condizione che si osserva molto raramente nel campo della paleontologia.

La scoperta di questi nidi ci ha permesso di capire come questi animali imponenti riuscissero a depositare a terra. In pratica, attraverso gli arti posteriori, i titanosauri scavavano delle grandi fosse, dove poi si chinavano – assumendo una posizione simile a quella di un bambino che poggia per la prima volta le natiche sul vasino – e deponevano le uova. Una alla volta. Poi le seppellivano sotto uno strato di detriti, fango e vegetazione, in modo tale che fossero coperte da eventuali attacchi da parte di predoni e la putrefazione della materia organica vegetale fornisse il calore necessario all'incubazione delle uova.

Le uova scoperte in Patagonia sono state identificate come appartenenti alla specie Saltasaurus, molto simile al T. indicus scoperto in India. Inoltre i nidi erano distanziati tra loro di circa due o tre metri, dimostrando che questi animali formavano colonie di nidificazione simili a quelli osservati oggi negli uccelli e nelle tartarughe.

Secondo inoltre uno studio del 2016, pubblicato su Science, per questi animali era impossibile accudire i piccoli, per via anche delle loro dimensioni e delle necessità caloriche che ciascun adulto esigeva all'ambiente circostante. Perciò questi animali molto probabilmente non mostravano cure parentali. Tale riflessione inoltre si basa sul ritrovamento di un cucciolo avente dai 40 alle 80 settimane, il cui scheletro dimostra che era in grado di camminare e di andare alla ricerca di cibo da solo.

Per quanto riguarda l'alimentazione, è comprovata la dieta vegetariana di questi animali. Avevano infatti denti capaci di strappare le foglie, ma non erano in grado di masticare. A differenza perciò dell'Iguanodonte, sembra che tutti i titanosauri fossero costretti ad ingoiare interamente il cibo.

Secondo alcuni paleontologi, inoltre questi sauropodi erano abituati a marciare in gruppo presso le grandi pianure continentali dei cinque continenti presenti alla loro epoca, per raggiungere i siti di nidificazione ed eventualmente difendersi dai grandi predatori, fra cui spiccava il terribile Giganotosaurus carolinii, considerato fra i predatori più grandi del Cretaceo.

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Storia della scoperta

Il primo fossile di titanosauro mai scoperto, appartenente alla specie Titanosaurus indicus , fu descritto dal paleontologo Richard Lydekker nel 1877, che esplorò il sub continente indiano a cavallo degli anni Settanta dell'Ottocento alla ricerca di fossili. Tale primo ritrovamento era costituito da un femore e due vertebre caudali che furono prelevati da una miniera interna dell'India centrale, ma a seguito della loro fragilità, i reperti furono subito spediti a Londra, presso il British Museum. Poco dopo la sua scoperta, tuttavia, lo status di Titanosaurus come genere vero e proprio fu messo in discussione e molti paleontologi accusarono Lydekker di aver abbandonato il sito di scavo in cui aveva ritrovato i resti del titanosauro, prima di recuperare l'animale completo.

Il dibattito che ne nacque causò una grande confusione e frequentemente si iniziò a usare il genere Titanosaurus come "taxon spazzatura", ovvero un gruppo che funge da cestino per i fossili troppo difficili da ripulire, analizzare o per essere classificati in altri gruppi più certi.

Già all'inizio del Novecento però la situazione cominciò a mutare leggermente. Si iniziò infatti a intuire che i sauropodi del periodo giurassico erano più arcaici di quelli del cretaceo. Questo spinse quindi i paleontologi ad utilizzare il termine Titanosauro solo per i sauropodi più evoluti, vissuti nell'ultimo periodo del Mesozoico.

Durante l'intero corso del secolo scorso, una lunga sequenza di dinosauri sono stati classificati all'interno del genere Titanosaurus, per poi venire destinati successivamente a generi differenti. Tra questi abbiamo il Saltasaurus, il Rapetosaurus krausei, l'Argentinosaurus o il Mayorum patagotitano.  I ritrovamenti più completi tuttavia appartengono alla specie Dreadnoughtus, di cui esiste uno scheletro che include circa il 70 percento delle ossa.

Oggi molti paleontologi ritengono che sia necessario cancellare del tutto il genere Titanosaurus e che si debba solo mantenere il concetto di superfamiglia Titanosauroidea, poiché la presenza di un genere di quel nome confonde moltissimo i non addetti ai lavori e porta a pensare che (1) il T. indicus sia l'unico vero titanosauro e (2) che il reperto indiano sia quello più completo, quando non è così.

Esclusi pochi altri ritrovamenti, il T. indicus rimane infatti dopo più di un secolo dal suo ritrovamento un animale elusivo, difficile da trovare negli attuali scavi paleontologici effettuati in India. Per questa ragione negli ultimi tre decenni i paleontologi americani hanno preferito considerare Dreadnoughtus, Saltasaurus e l'Argentinosaurus gli esempi migliori da utilizzare, quando si vuole discutere sulle dimensioni, la forma, l'evoluzione di questo gruppi di sauropodi giganteschi.

Tito, il titanosauro laziale

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Oltre due decenni fa, un cittadino laziale che non aveva nessun rapporto con la paleontologia, Antonio Bangrazi, ebbe la fortuna d'imbattersi in alcune ossa di titanosauro mentre costruiva un muretto a secco vicino Palestrina, nei pressi di Roma. Tenne segreto il luogo di ritrovamento per molti anni, finché nel 2012 si convinse nel portare Gustavo Pierangelini a visitare le ossa, che stupito di quello che vide decise a sua volta di contattare uno dei più importanti paleontologi italiani oggi viventi, ovvero Cristiano Dal Sasso del Museo di Storia Naturale di Milano.

Insieme i tre notificarono il ritrovamento ai funzionari della Soprintendenza del Lazio e dell’Etruria meridionale, che autorizzarono gli scavi di recupero e le successive indagini, che avvennero presso i depositi dei reperti del Museo milanese.

Quello che si ricavò dai massi prelevati nei pressi dei Palestrina furono invero pochi reperti, che si rivelarono comunque importantissimi per l'identificazione di quello che sarebbe stato definito il primo ritrovamento di un sauropode italiano.

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L'animale fu chiamato amorevolmente Tito, per via della sua origine "romana" e per il fatto che la datazione conduceva gli esperti a pensare che appartenesse al periodo cretaceo.

A differenza degli altri titanosauri sopra descritti, Tito non era un sauropode mastodontico. Secondo i calcoli, doveva essere poco più lungo di 6 metri e alto meno di 3. A renderlo però davvero peculiare agli occhi di tutti i paleontologi del mondo è la forma della sua vertebra, che aveva catturato casualmente l'attenzione di Bangrazi anni fa.

Per comprendere perché ha stupito gli esperti, dobbiamo sapere che ciascun vertebrato presenta al livello delle vertebre delle facce sopra al corpo vertebrale, strutture che si chiamano zigapofisi, che si differenziano in due categorie: pre e postzigapofisi. Quest'ultime si articolano con le prezigapofisi della vertebra successiva e le prime con le postzigapofisi della vertebra precedente, in maniera tale che le vertebre siano limitati nei movimenti e stabiliscano la "postura" dell'intera colonna vertebrale.

Ora, mentre in tutti i vertebrati le prezigapofisi si affacciano verso l’alto e le postzigapofisi verso il basso, in sostanza, come è possibile vedere dall'immagine, le zigapofisi di Tito son invertite. Questo destò parecchio scalpore in Italia e all'estero e portò alcuni esperti a formulare delle teorie che potessero spiegare questo fenomeno. Alcune affermavano che l’inversione delle zigapofisi potesse essere un adattamento specifico ai piegamenti verticali, come se Tito riuscisse ad usare la coda come un punto d'appoggio per alzarsi in piedi e riuscire a brucare così le chiome più alte.

Lo studio sul reperto, pubblicata sulla prestigiosa rivista di settore Cretaceous Research, confermò comunque che le dimensioni di Tito non erano quelle definitive dell'animale. Tito infatti risultava essere un adolescente e molto probabilmente la sua versione adulta poteva raggiungere dimensioni ancora superiori.

Ad oggi, comunque, Tito non possiede un nome latino binomiale e non si sa se futuri reperti permetteranno ai paleontologi italiani di classificare l'animale con un nome scientifico, come avvenuto per Ciro, noto anche alla scienza come Scipionyx samniticus, un piccolo teropode che è stato il primo dinosauro scoperto in Italia.

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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