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31 Luglio 2024
9:00

Ti spiego perché non puoi insegnare al tuo gatto a obbedire

Insegnare al gatto a eseguire delle piccole routine “a comando”, come dare la zampa, non è impossibile. Quello che non puoi e non devi fare è aspettarti che sia sempre pronto a obbedirti. Al gatto non manca l’intelligenza di imparare, gli manca la volontà di soddisfarti incondizionatamente.

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Membro del comitato scientifico di Kodami
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Insegnare al gatto a obbedire a delle piccole routine “a comando”, dal dare la zampa al mettersi seduto, non è impossibile. Quello che è meglio per te che tu non faccia è aspettarti che sarà sempre disponibile ad eseguirle, che lo farà sempre in maniera militaresca o automatica, che tu possa interrompere qualunque sua attività imponendogli di dare retta a te.

Al gatto non manca l’intelligenza di imparare. Al gatto manca la volontà di soddisfarti incondizionatamente. E non è così perché ama “disobbedire”, ma perché la selezione naturale, per migliaia di anni, ha cablato nel suo DNA una serie di motivazioni e di comportamenti correlati che lo rendono un pensatore solitario, uno con pochissima attitudine al gioco di squadra.

Perché il gatto non obbedisce?

Se si osserva un gruppo di gatti che vive in libertà nello stesso territorio (l’unica maniera per poter osservare dei comportamenti “naturali”), si nota che i gatti passano moltissimo tempo per conto proprio, salvo ogni tanto riunirsi attorno alle fonti di cibo – se offerte dall’uomo -, condividere brevi sessioni di grooming reciproco per poi separarsi nuovamente.

I gatti sono animali che agiscono in autonomia. I più piccoli, finché non raggiungono la sufficiente sicurezza per rendersi indipendenti, possono tendere a satellitare attorno ad individui adulti più grandi ma, sostanzialmente, gli incontri fra gatti sono finestre occasionali che avvengono durante 24h trascorse a decidere in autonomia cosa fare, quando e perché.

Questo perché i gatti si sono evoluti facendo proprio questo tipo di vita, dedicandosi all’esplorazione e alla caccia per molta parte del tempo e intrattenendo relazioni sociali “distensive” tra un’attività e l’altra.

Tutto questo è molto diverso da quello che è successo al cane che è stato selezionato dall’uomo per millenni proprio per essere operativo con lui e per lui, per servirlo, per essergli di aiuto pratico, concreto, per agire – selezionando geneticamente il comportamento – in modi prevedibili e utili. Ecco perché se ci poniamo nell’ottica dell'"obbedienza", il cane vincerà sempre sul gatto: il cane è stato modellato dall’uomo per fare esattamente questo (tuttavia, si potrebbe aprire una discussione sul concetto di obbedienza anche nel cane…). Il gatto non solo non ha subìto questo tipo di selezione ma ha anche sempre perseguito una stile di vita che lo portava già di per sé a muoversi come un pensatore solitario.

Come far capire al gatto cosa è sbagliato

Ma allora come faccio a fargli capire che non voglio che…” è di solito la domanda successiva. In realtà è molto più semplice di quanto si pensi, bisogna solo "attrezzarsi" mentalmente in modo opportuno. Adottare il giusto "mind set", direbbero gli inglesi.

Innanzitutto, è necessario capire che "sbagliato" o "giusto" sono solo etichette che attribuiamo noi ai comportamenti altrui. Ciò che per noi può essere sbagliato (ad esempio, il fatto che il gatto affili le unghie sul divano nuovo), può essere totalmente legittimo per lui/lei.  Come "correggerlo", allora, come portare cioè il gatto ad esprimere quel comportamento in un modo che possa essere accettabile anche per noi? Posto che non possiamo pretendere di cancellarlo con un colpo di spugna, come possiamo fare per modificarne l’espressione?

Nella maggior parte dei casi si tratta semplicemente di reindirizzare il comportamento, ossia creare le condizioni perché venga espresso altrove o in modo o su oggetti diversi. Così, se l’obiettivo è salvare il divano o le tende dagli artigli, la risposta è nel posizionamento di un tiragraffi nei paraggi. Se l’obiettivo è non avere più le mani piene di graffi, la risposta è l’uso di giocattoli che il gatto possa rincorrere e afferrare. Se l’obiettivo è non sentire più i suoi insistenti lamenti per il cibo, la risposta è passare ad una strategia di alimentazione ad libitum.

In altre parole, siamo chiamati ad un piccolo sforzo di adattamento, esattamente come fa il gatto per essere stato inserito in un contesto (quello di casa) che non sempre gli offre le condizioni migliori per perseguire i propri bisogni.

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Sonia Campa
Consulente per la relazione uomo-gatto
Sono diplomata al Master in Etologia degli Animali d'Affezione dell'Università di Pisa, educatrice ed istruttrice cinofila formata in SIUA. Lavoro come consulente della relazione uomo-gatto e uomo-cane con un approccio relazionale e sono autrice del libro "L'insostenibile tenerezza del gatto".
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