«Le semplici reintroduzioni non sono bastate: è stato necessario un progetto di quasi 5 anni per reintrodurre e salvaguardare la trota mediterranea, un pesce che va protetto perché minacciato». Con queste parole Federica Alessandrini, communication manager di Legambiente per il progetto LIFE Nat.Sal.Mo., spiega a Kodami l'incredibile impegno per portare a termine un lavoro che ha dato ottimi frutti: ad oggi le popolazioni di trota mediterranea in Molise sono incrementate di oltre il 70%.
Il progetto finanziato da fondi europei LIFE Nat.Sal.Mo. è terminato ieri con un'ultima conferenza a Campobasso dove gli operatori si sono voltati per guardare i numerosi traguardi raggiunti e rispondere a una domanda: sono riusciti a proteggere la trota mediterranea (Salmo macrostigma) nei fiumi molisani Volturno e Biferno? La risposta è positiva e i dati parlano chiaro: più di 40 enti e associazioni coinvolte, 200 pescatori raggiunti dalle attività di informazione e sensibilizzazione e oltre 5.000 metri quadri di habitat fluviale riqualificato.
«La specie era in pericolo di estinzione a livello nazionale ed Europeo a causa dell'ibridazione con altre specie e della degradazione dell'habitat e per questo era necessario un serio programma di reintroduzione – continua Federica Alessandrini – C'è stata una particolare attenzione nel preservare il corredo genetico degli individui reinseriti in natura. Ciò che volevamo evitare era soprattutto il fenomeno dell'introgressione, ovvero l’incorporazione permanente di geni da un diverso gruppo di pesci. Questo fenomeno ha l'effetto di diluire il genoma della specie facendo perdere la loro unicità. Inoltre, gli ibridi che si generano sono più fragili e sterili».
Per questo motivo quasi 5 anni fa è stato formato un team di lavoro con a capo la professoressa Nicolaia Iaffaldano e composto da ricercatori dell’Università degli Studi del Molise, il Mediterranean Trout Research Group, Legambiente, le Università romene di Iasi e Sibiu e operatori di diverse amministrazioni della regione. Gli esperti hanno introdotto con successo tecniche innovative che vanno dall’applicazione di biotecnologie mai utilizzate per la trota mediterranea, alla riqualificazione degli habitat tramite riconnessione idraulica.
Particolare attenzione è stata data all’ampliamento dell’areale della trota nativa anche attraverso l’eradicazione delle specie invasive, ma soprattutto grazie al supporto della riproduzione artificiale e alla creazione della prima criobanca del seme di trota mediterranea, unica nel suo genere a livello europeo. «Grazie alla scorta di seme congelato analizzato geneticamente i ricercatori hanno evitato di incubare le uova in cattività – continua l'esponente di Legambiente – Si salvaguardia, così, la selvaticità degli individui e si garantisce loro una maggiore probabilità di sopravvivenza».
La procedura è semplice e rapida: si preleva lo sperma fresco delle trote maschio e si analizza geneticamente. Se risulta idoneo, viene congelato e conservato in delle strutture a forma di cannuccia in azoto liquido a – 196 °C. Nella stagione riproduttiva vengono quindi prelevate le uova dalla femmina e fecondate con il seme della criobanca.
«Associata alla criobanca c'è anche la tecnica del "nesting&cocooning” – aggiunge Federica Alessandrini – Ovvero la creazione di nidi di riproduzione semi-artificiali direttamente nell’alveo del fiume. Qui si fecondano le uova per far sì che le schiuse avvengano direttamente in ambiente selvatico, preservando in questo modo i nascituri da qualsiasi elemento di domesticazione. È emozionante alla fine osservare le "occhiate", ovvero gli embrioni che si stanno formando all'interno delle uova e che testimoniano la buona riuscita della fecondazione».
Una volta fecondate, le uova prossime alla schiusa sono quindi seminate nei corsi d’acqua attraverso la costruzione di nidi semi-artificiali fatti di ghiaia e pietre fluviali che assicurano riparo nei primi stadi di sviluppo ai nuovi nati e così l’intero ciclo biologico si conclude in ambiente naturale.
Il progetto, però, non ha solo il merito di aver utilizzato tecniche innovative per garantire la sopravvivenza della specie, ma ha permesso di sensibilizzare migliaia di persone all'importanza di preservare gli ambienti fluviali, comprese proprio coloro che più di tutti vivono quegli ambienti: i pescatori.
Questo è avvenuto tramite i cosiddetti "contratti di fiume", proprio come spiega la communication manager del progetto: «I contratti di fiume sono accordi fra le persone che vivono il posto e le amministrazioni, le associazioni e gli enti locali. Sono patti volontari stipulati al fine di osservare delle buone pratiche e delle regole per tutelare le specie e gli habitat. Tramite questi accordi riusiamo ad avere un dialogo migliore con i pescatori, ad esempio, i primi che ci avvertono di eventuali problemi nei fiumi e che si impegnano per non pescare nelle zone di covata, chiamate per questo motivo "no kill zone"».
Insomma, un esempio positivo di cosa significa creare e portare a termine un progetto di conservazione e gestione della fauna selvatica. La scadenza del periodo di finanziamento, però, non significa la fine del progetto. Una volta conclusi i progetti LIFE c'è sempre un periodo successivo di monitoraggio chiamato "afterlife" – conclude Federica Alessandrini – Stiamo quindi continuando le nostre analisi e a parlare con istituzioni e persone del luogo perché abbiamo ricevuto dalla popolazione un riscontro estremamente positivo».