Taranto dal 2022 ospiterà il primo santuario europeo dove i delfini, dopo una vita di sofferenze in cattività nei delfinari e negli acquari, potranno riassaporare il gusto della vita secondo natura e, per tutti quelli per cui sarà possibile, tornare alla libertà in mare aperto. Il progetto del Taranto Dolphin Sanctuary, ideato e organizzato dallo Jonian Dolphin Conservation e sostenuto fortemente dall’amministrazione cittadina, è ormai definito e lo slancio finale, annunciato dal sindaco tarantino Rinaldo Melucci, è arrivato dalla decisione di allestire in tempi brevissimi un grande recinto sottomarino in prossimità dell’isola di San Paolo in Mar Grande, che in tempi brevi potrà trasformarsi nella prima area di ricovero per i tursiopi in arrivo per la riabilitazione. A questo primo spazio, col tempo, ne seguiranno altri, che andranno a recuperare l’area inizialmente designata e concessa dalla Marina Militare, ma che necessità di interventi importanti e impegnativi anche in termini di tempo.
Il Taranto Dolphin Sanctuary
«Tra un paio di settimane saremo pronti a partire per realizzare il nostro Taranto Dolphin Sanctuary – spiega con entusiasmo Carmelo Fanizza, presidente e tra i fondatori, nel 2009, dello Jonian Dolphin Conservation che promuove ormai da anni la conoscenza del mondo marino prospiciente le coste pugliesi. – sfrutteremo la tendenza alla chiusura dei delfinari che si sta registrando in tutta Europa come conseguenza della pandemia da Covid-19, e saremo pronti per accogliere i primi delfini, che all’inizio potrebbero essere tra i sei e gli otto esemplari». L’asso nella manica di tutta l’operazione è la strettissima collaborazione che lega l’associazione naturalistica tarantina al Dolphin Project di Ric O’Barry, il più carismatico naturalista che si occupa di delfini e l’unico al mondo ad aver realizzato un protocollo per la riabilitazione e il rilascio in libertà di delfini provenienti dalla cattività e dalle esibizioni forzate. Sarà proprio lui, e i suoi tecnici che da anni lavorano nel santuario che Ric ha fondato a Bali, a offrire tutte le conoscenze scientifiche necessarie per far si che il Taranto Dolphin Sanctuary si trasformi in un punto di riferimento per tutta l’Europa.
Il Dolphin Project di Ric O’Barry
L’ottantunenne americano Ric O’Barry è davvero “l’uomo che sussurrava ai delfini”. La sua storia avventurosa è al centro di due libri che raccontano come da cacciatore e addestratore di delfini per un acquario della Florida, si sia trasformato nel più agguerrito avversario di queste strutture di cattività. O’Barry, infatti, è stato l’addestratore del famosissimo Flipper cinematografico e proprio dal dolore per la perdita del delfino, che secondo il naturalista avrebbe coscientemente deciso di annegarsi non sopportando più la cattività, sarebbe nata la svolta della sua vita. Abbandonati i panni dell’addestratore, Ric O’Barry avrebbe poi scelto la via della cura di questi splendidi animali, fino alla realizzazione di un metodo originale e, con molta fatica, è già riuscito a riportare alla libertà in mare aperto molti delfini che sono stati affidati alle sue cure. Tutto ciò accade a Bali, dove si trova l’Umah Lumba Rehabilitation Center, struttura appositamente costruita per i accogliere delfini confiscati e i delfini spiaggiati o feriti, progettata per stabilizzare i mammiferi, riportarli in salute e valutare se sono candidati per il riadattamento e il rilascio. A questa struttura è affiancato, sempre a Bali, il Camp Lumba Lumba Readaptation and Release Center a Karimun Jawa, il primo centro permanente al mondo dedicato alla riabilitazione e al rilascio dei delfini.
L’impegno dello Jonian Dolphin Conservation per il territorio tarantino
Dal 2009 due imbarcazioni dello Jonian Dolphin Conservation navigano nel mare di Taranto. Lo fanno ogni giorno per offrire ai loro ospiti la meraviglia dell’avvistamento di gruppi di delfini che nuotano liberi nelle acque davanti a Taranto, ma anche per trasmettere la consapevolezza che gli animali vanno incontrati nel loro habitat naturale e non in cattività. «C’è chi viene per la prima volta, chi torna una volta all’anno ogni anno – racconta Fanizza – prima del covid arrivavamo a 10/14 mila persone l’anno. L’esperienza si chiama “ricercatori per un giorno” perché gli ospiti non aspettano soltanto il momento dell’avvistamento, ma partecipano attivamente alle attività giornaliere di ricerca: raccolgono dati comportamentali, acustici, campioni di DNA. Insomma sono coinvolti in prima persona nelle attività. A tutto questo si aggiunge il lavoro di divulgazione che facciamo sulla terraferma, nel nostro centro studi Ketos, con i laboratori di ecologia e i percorsi didattici. Il santuario per salvare i delfini sarà quindi un altro tassello ad un progetto molto più ampio».
La ricchezza del golfo di Taranto
Le condizioni morfologiche delle coste e dei fondali del tarantino, la cosiddetta Taranto Valley con il canyon marino che arriva fino ai mille metri sotto la superficie delle acque, rappresentano un ambiente ideale per i cetacei che abitano questo territorio. «Stenelle striate, tursiopi, capidogli qui sono di casa. Sono talmente tanti, soprattutto i tursiopi, da rendere ogni uscita in mare un’avventura indimenticabile perché nel 95% dei casi si riusciranno ad ammirare le acrobazie in acqua di questi meravigliosi animali in libertà». Tra di loro, a cominciare dal prossimo anno, potrebbero esserci i primi delfini che hanno riconquistato la capacità di tornare a nuotare in mare aperto. «Non è affatto facile. Anzi è molto complicato – conclude Fanizza. – Non tutti i delfini ci riescono. Devono superare un riadattamento che può non avere frutti. Sarebbe meraviglioso poterli rilasciare tutti liberi in mare aperto, ma sappiamo già che non potrà essere così per tutti, esattamente come succede anche a Bali. Quello che sappiamo, però, è che quelli che rimarranno per sempre con noi a Taranto, vivendo in grandissime aree delle nostre acque recintate da reti, potranno tornare a sentire il rumore del mare, ad avvertire le maree che salgono e scendono, a incontrarsi con gli altri pesci che entreranno e usciranno dall’area e, perché no?, potranno ricominciare a cacciarli per mangiare come la natura gli ha insegnato».