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3 Marzo 2021
12:24

Taiji, la strage infinita dei delfini

Il primo marzo è terminata la stagione della caccia ai tursiopi nella baia di Taiji in Giappone. Una pratica crudele e molto cruenta che foraggia il mercato della cucina tradizionale giapponese e i delfinari e i parchi acquatici di tutto il mondo. Per i delfini o la morte o la prigionia a vita. Ric O'Barry, fondatore di Dolphin Project, racconta come è andata quest'anno.

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Giornalista
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Un momento della brutale cattura a cui sono sottoposti i delfini nella baia di Taiji (credits: LIA/Dolphin Project)

Anche quest’anno è finita. Da molti anni il primo marzo è la data che in molti aspettano con trepidazione. Perché è la data in cui, fino alla prossima stagione, si ferma la strage dei delfini nella baia di Taiji, la piccola cittadina giapponese diventata tristemente famosa proprio per questa consuetudine. Un massacro a tinte forte, non pensate che l’acqua lavi via il sangue con facilità. E di sangue, le centinaia di delfini che vengono inseguiti, spinti nell’insenatura e poi massacrati o catturati, ne versano moltissimo. Ricercati e cacciati per la loro carne, i giapponesi ne vanno ghiotti malgrado sia piena di mercurio e quindi velenosa, ma anche per trasformarli in un oggetto da trasportare nei delfinari e obbligare ad una vita di prigionia, in vasche di cemento piene di cloro, nutriti con pescetti scongelati come premio per le piroette in acqua. Molti pensano che, piuttosto che essere trasformati in schiavi a vita dell’industria del divertimento acquatico, per i delfini sia molto meglio morire lì, nelle acque di Taiji.

In quest’ultima stagione di caccia 547 i delfini massacrati e 140 quelli catturati

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I delfini vengono massacrati per la loro carne o catturati per essere venduti ai delfinari o ai parchi acquatici di tutto il mondo (credits: LIA/DolphinProject)

«Stimiamo che 547 delfini siano stati massacrati, mentre 140 catturati. Molti altri potrebbero essere morti, ma il loro numero non è mai registrato». A parlare è Ric O’Barry, lo storico fondatore di Dolphin Project una onlus fortemente impegnata contro lo sterminio dei delfini che ogni anno viene documentato a Taiji. «In questa stagione – continua – c’erano un totale di 46 baie rosse, dove i delfini vengono massacrati o fatti prigionieri, e 135 baie blu, dove nessun delfino è stato massacrato o fatto prigioniero. Erano coinvolte sei specie di delfini. Tutti, compresi i giovanissimi e gli anziani, venivano regolarmente sottoposti a maltrattamenti, sofferenze e abusi, macellati per la loro carne o presi prigionieri per essere sfruttati nei parchi marini e negli acquari. Interi branchi di delfini sono stati decimati. Si sono verificati anche diversi decessi accidentali, ma grazie alla instancabile documentazione della squadra, siamo stati in grado di registrare le azioni spudorate dei cacciatori». Che già il primo giorno di caccia, il primo settembre, erano riusciti a spingere nella baia un branco di delfini, catturandone quattro. Il 17 settembre un altro massacro: questa volta tra i delfini uccisi, come documentato dagli attivisti, anche un cucciolo, forse addirittura un neonato. «Nel corso degli anni, Dolphin Project ha documentato, durante la selezione, la separazione dei cuccioli ancora allattati dalle loro madri. I giovani delfini sono stati scaricati in mare senza la protezione del resto del branco. Nel caso di giovani delfini lasciati a se stessi, le loro possibilità di sopravvivenza sono estremamente ridotte poiché non possono essere più allattati dalle loro madri. Queste morti non vengono conteggiate nei contingenti di pesca».

La caccia, raccontata anche dal documentario The Cove

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Ric O’Barry è il fondatore e il direttore di Dolphin Project. La sua storia è raccontata dal documentario The Cove (credits:DolphinProject)

La tecnica utilizzata dai cacciatori è ormai nota, anche grazie a The Cove, il documentario vincitore del premio Oscar nel 2010, realizzato da Louie Psihoyos, che per cinque anni ha girato di nascosto le terribili immagini della caccia e della cattura. I branchi di tursiopi che viaggiano veloci nelle acque intorno a Taiji vengono intercettati dalle imbarcazioni dei cacciatori e spinti verso la baia. Una volta bloccati all’interno delle anse, grazie a reti che ne impediscono il ritorno al mare aperto, i delfini sono sottoposti ad un rapido esame al quale partecipano anche gli emissari inviati dai delfinari e dai parchi acquatici: i più belli, e di solito giovani, finiscono imprigionati. Per loro si apre la vita in cattività, l’addestramento coatto, la solitudine e la ripetitività che li porterà, con buona probabilità, a gesti di autolesionismo se non addirittura a quello che molti chiamano il loro “suicidio”, cioè il volontario smettere di respirare. Per gli altri il destino è quello della macellazione, per rifornire le tavole della cucina tradizionale giapponese.

«I parchi marini e gli acquari usano spesso i termini "conservazione" e "istruzione" quando descrivono le loro esibizioni di delfini in cattività. La realtà, tuttavia, sta nelle acque insanguinate di questa piccola città giapponese: la domanda di intrattenimento in cattività è ciò che alimenta la caccia di Taiji. Gli spettacoli, compresi i programmi di nuoto, non sono educativi né divertenti. Sono semplicemente spettacoli che sfruttano questi animali e spesso sono responsabili della distruzione di interi branchi di delfini».

Tra le vittime del massacro, anche le balene

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Una balena rimasta impigliata nelle reti fisse di Taiji, quelle che servono a bloccare la fuga dei delfini. Ogni anno anche le balene sono vittime di questa strage (credits:LIA/DolphinProject)

Già il momento della caccia, quando i delfini vengono spinti e bloccati nella baia, è un momento di grande sofferenza per questi animali, impauriti e frastornati. «La squadra ha documentato la prolungata sofferenza dei delfini. Anche prima che i mammiferi entrino nelle reti in acque poco profonde, la paura spesso lascia il branco esausto, con ferite visibili». Ma i delfini non sono le uniche vittime. Ad andarci di mezzo sono anche le balene. «In tre episodi diversi, il team ha anche documentato balene catturate nelle reti da pesca in mare aperto, quelle che chiamano "reti fisse". Mentre una balena, una megattera, è stata rilasciata, una balenottera minore è stata deliberatamente annegata dopo essere stata intrappolata per 19 giorni (come aveva anche raccontato Kodami). Una terza balena, un'altra megattera, è stata trovata morta. Questa non è la prima volta che vediamo balene impigliate nelle reti al largo di Taiji, ma il numero di incidenti che coinvolgono specie non bersaglio, è allarmante». Il racconto della morte per asfissia, così come le immagini, sono davvero impressionanti e lasciano senza fiato. «Alle 6:49 del mattino, la coda della balenottera minore è stata legata con una corda e poi legata al bordo della barca e appesa a testa in giù. La testa della balenottera minore è rimasta sott'acqua per circa 20 minuti e alle 7:09 circa è annegata. La balenottera minore aveva la coda legata al bordo della barca e non poteva respirare. Era chiaro che stava soffrendo. Si agitava violentemente, mentre il sangue schizzava intorno, ma i pescatori ridevano mentre lavoravano».

Crescono gli attivisti che combattono contro la caccia ai delfini di Taiji

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Un cucciolo di delfino vittima della caccia agli adulti della sua specie. Rilasciati in mare aperto rischiano la morte perché non ancora in grado di sopravvivere senza essere allattati dalle madri (credits:LIA/DolphinProject)

L’unica nota positiva, fanno notare da Dolphin Project, è che ogni anno cresce la contrarietà a questa pratica e il numero degli attivisti che la contrastano. «Durante l'intera stagione di caccia di sei mesi, la nostra collaborazione con Life Investigation Agency (LIA), guidata dal direttore della campagna Ren Yabuki, ha assicurato che una squadra giapponese fosse sul campo ogni giorno per documentare tutto ciò che accadeva. Mai prima d'ora una squadra di attivisti tutta giapponese si era stabilita a Taiji, per documentare dalla loro prospettiva la sofferenza dei delfini che si verifica ogni anno alla baia».

Malgrado tutto però a Taiji la caccia al delfino continuerà, il massacro anche, e i delfinari di tutto il mondo continueranno a far esibire questi animali, senzienti e sensibili, come fenomeni da baraccone.

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Maria Grazia Filippi
Giornalista
Scrivo da sempre, ma scrivere di animali e del loro mondo è la cosa più bella. Sono laureata in lettere, giornalista professionista e fondatrice del progetto La scimmia Viaggiante dedicato a tutti gli animali che vogliamo incontrare e conoscere nei luoghi dove vivono, liberi.
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