Le nuove tecnologie stanno rivoluzionando l’interazione fra esseri umani ed animali. In Sicilia, alcuni ricercatori stanno sfruttando dei collari connessi alla Rete per monitorare i movimenti e persino le sensazioni di alcune specie di animali, fra cui un gruppo di asini e delle capre in stato semi selvatico. L'obiettivo è quello di valutare se il comportamento animale può indicare agli esperti l'avvicinarsi di un terremoto o di un'eruzione.
Questa nuova tipologia di ricerca, che sfrutta la tecnologia ha attirato l'interesse anche di un'altra ricercatrice proveniente dagli Stati Uniti, Emily Wanderer, antropologa che vuole comprendere l'attuale evoluzione del rapporto uomo – animale e se l'interazione con le macchine possa distogliere l'attenzione nei confronti della vita selvaggia.
Il suo obiettivo è quello di studiare l’equipe guidata da Martin Wikelski del Max Planck Institute, specializzato nello studio del comportamento animale, che proprio in questi mesi è a Milo, sulle pendici dell’Etna, per svolgere i lavori sul progetto Icarus. Questo studio cerca di analizzare dal punto di vista comportamentale se gli asini, le capre e i cani liberi abbiano sviluppato dei comportamenti di risposta ai segnali che precorrono i terremoti, dopo anni di selezione e convivenza con il grande vulcano. Tali segnali potrebbero essere usati come indizi utili nel prevedere fenomeni complessi come le eruzioni.
Dai tempi di Aristotele fino quasi ad oggi, gli zoologi hanno avuto principalmente infatti solo i loro occhi e le mani come strumenti di studio per indagare il comportamento e la biologia animale. L’avanzamento tecnologico dell’ultimo secolo e mezzo ha però mutato molto le relazioni fra noi e le altre specie, anche nel mondo della ricerca. Ed ora questo rinnovato rapporto, talvolta conflittuale, esemplificato perfettamente dal progetto tedesco, è divenuto oggetto a sua volta dell’interesse di una nuova disciplina: l'etnografia multispecie.
Interagire con esseri viventi, non strumenti
Il fine che desidera raggiungere l’antropologa statunitense nel suo progetto di ricerca è capire se gli scienziati tedeschi e italiani coinvolti nel progetto Icarus abbiamo assunto dei comportamenti differenti rispetto agli animali, a seguito dell’utilizzo intensivo di molteplici tecnologie. Agli asini infatti è stato installato un complesso sistema di geolocalizzazione tramite un collare che non permette solo di individuare la posizione degli animali ma anche di recepire tramite sensori i movimenti del corpo e la temperatura, la pressione e l’umidità dell’aria.
«Pensiamo che gli animali abbiano un collegamento con l’ambiente che li circonda e noi li colleghiamo tra loro in quello che chiamiamo "Internet degli animali". I nostri sensori collegati insieme possono darci grandi informazioni sulla vita nel pianeta», ha spiegato Wikelski alla rivista Focusicilia, intervistato da Leandro Perrotta, tentando di smorzare il timore che gli animali possano essere usati come oggetti e non come esseri senzienti. «Pensiamo che i segnali del pericolo possano darci qualche anticipazione sulle eruzioni vulcaniche e abbiamo già alcune indicazioni che possano farlo», ha poi aggiunto.
Da parte sua la Wanderer è affascinata dal modo in cui questi ricercatori interagiscono con gli animali, in ogni fase del progetto. «Sono un antropologo che studia la produzione di conoscenza scientifica come processo culturale, quindi voglio conoscere tutto quel che concorre a fare ricerca, come viene plasmata dalla cultura delle persone che la fanno e poi come comprendiamo e interagiamo con il mondo», ha spiegato sempre a Perrotta.
Con il progresso tecnologico c'era (ed esiste tuttora) il rischio che gli scienziati perdessero la voglia di affrontare le loro ricerche direttamente sul campo, ma il progetto Icarus testimonia quanto gli scienziati e il progresso scientifico dipendano ancora molto dal contatto con gli animali, anche per studi non direttamente pensati per comprendere le abitudini delle specie.
La stessa Wanderer ha voluto sottolineare questo aspetto: «Sono interessata alla ricerca di Martin, su come rintracciano gli animali, per vedere in che modo questo cambia ciò che pensiamo sugli animali e su come ci relazioniamo con loro. Gli antropologi studiano l’umano, quindi in questo caso studiamo la connessione umana con animali e pensieri non umani».
Il frutto delle ricerche dell'esperta come quelle del progetto Icarus saranno disponibili fra qualche anno, ma già oggi è possibile recepire l'importanza di un approccio interdisciplinare nel settore. La Wanderer sembra quasi suggerire come forse abbiamo ragionato fin troppo sulla natura e l'origine del pensiero animale, per poi dimenticarci come i risultati di questi approfondimenti sono anch'essi legati al modo di vedere noi stessi all'interno della ricerca. Sforzarsi di capire dunque come l'uomo moderno gestisce il lavoro e il confronto con altre tipologie di pensiero può stimolare un dibattito interno, che possa supportare un ulteriore progresso nei confronti delle scienze e delle nostre relazioni con i non umani.
L’evoluzione tecnologica non comporta distacco emotivo
Scrivendo sopra taccuini, esplorando sentieri già battuti dalle mandrie o dai branchi di predatori, spiandoli, osservandoli in maniera intensiva e anche ossessiva, gli esseri umani hanno tentato di comprendere la mente animale in molti modi nel corso degli ultimi millenni. Il più delle volte tale interesse verso gli animali ha sottoposto i ricercatori a un lavoro che ha portato anche le menti più eccelse (pensiamo a Lorenz o allo stesso Darwin) a provare a porsi a un livello egualitario nei confronti delle specie studiate per conseguire i propri obiettivi.
Acqua, sterpaglie, fango e sterco: queste sono le parole che hanno riempito per secoli i breviari degli esploratori e dei naturalisti alla ricerca dei segreti delle specie esotiche. Anche oggi buona parte del lavoro dei faunisti e degli etologi è di sporcarsi le mani e di raggiungere a piedi i luoghi in cui le specie versano nello stato naturale. L’avanzamento tecnico dell’ultimo secolo e mezzo ha però cambiato molto il rapporto uomo-animale. La stessa ricerca è cambiata moltissimo e oggi non si guardano più gli animali come si faceva un tempo, come entità prive di emozioni o di interessi. Basti pensare all’enorme progresso attuato nei laboratori biologici di tutta Europa per comprendere come si cerchino di attuare norme che tendino a rispettare la sofferenza e l’indipendenza animale.
È indubbio però il cambiamento di paradigma all'interno del mondo accademico. Dove prima i biologi si incontravano principalmente in natura, oggi la buona parte di essi lavora entro a un laboratorio. Le relazioni fra ricercatori e le loro “cavie” sono così tanto mutate negli ultimi tempi che oggi è divenuto necessario svolgere un approfondimento su come la nuova tecnologia e le metodologie innovative abbiano trasformato la nostra visione e il rapporto con gli animali.
La Wanderer non è d'altronde l’unica ad essersi accorta del progetto Icarus. Mentre l’antropologa statunitense si interessa delle relazioni che si vengono a costituire fra ricercatore e animale, l’INGV ha deciso di collaborare con il Max Planck Institute per capire se le informazioni che si possono estrapolare dalla ricerca possano essere aggiunte davvero ai fini sistemi usati dalle previsioni .
Dalle prime esperienze affrontate con le capre e altri animali allevati allo stato semi brado, i tecnici tedeschi hanno dimostrato fiducia nella tecnica sviluppata per il loro progetto. Inoltre sembrano non considerare gli animali solo come strumento usato per raggiungere un fine. Quello che è possibile riscontrare in questi ricercatori, quando posizionano per esempio i sensori sulla superficie degli animali, per poi liberarli, sembra essere lo stesso grande rispetto e amore che disponevano gli antichi nei confronti degli animali le cui specie hanno attraversato la storia.
Un messaggio incoraggiante, per un Pianeta devastato dalla perdita della biodiversità.