L'area del Delta del Po, malgrado le promesse della Regione, continua a rappresentare un autentico hot spot del bracconaggio e nonostante le sacche e le lagune costiere siano Zone a Protezione Speciale, l’attività venatoria non tiene conto nemmeno delle aree di maggior tutela. È questo che raccontano le immagini riprese nel video del WWF Rovigo, ovvero che la strage di uccelli migratori, l'utilizzo di strumenti vietati e munizioni proibite continua indefessamente.
La denuncia dell'associazione ambientalista è stata raccolta dal Presidente della Commissione Legalità e membro della Commissione Ambiente del Consiglio Regionale del Veneto Andrea Zanoni che l'ha trasformata in interrogazione parlamentare per chiedere «di conoscere che cosa si è fatto finora rispetto a quelli che erano gli impegni presi riguardo alle azioni di contrasto al bracconaggio elencate dalla Giunta regionale nell'ultima delibera», visto che «alla luce di ciò che si vede nel video, risulta chiaro quanto l’area del Delta del Po rimanga una delle zone "black spot"». Ovvero, di intenso bracconaggio.
Il Delta del Po è scenario di un’intensa ed articolata attività anche di bracconaggio ittico "organizzato": l'estate scorsa sono stati sequestrati 700 chili di pesce di varie specie, dalla lucioperca, alle carpe e ai pesci siluro catturati secondo le Forze dell'Ordine con l’utilizzo della corrente elettrica, in particolare elettrostorditori rudimentali, che procurano gravi sofferenze e agonie prima del sopraggiungere della morte dei pesci. Il fenomeno è diventato molto preoccupante da quando, nel 2012, la Romania ha messo in atto alcune politiche restrittive sulla pesca nel Delta del Danubio, che è Patrimonio Unesco esattamente come il Delta del Po, generando l’esodo dei pescatori locali verso altri paesi europei come l’Italia, la Spagna e la Francia.
Il pescato che deriva da questo business illecito e milionario è totalmente privo di ogni controllo sanitario e quasi sempre con tracciabilità falsamente attestata; viene venduto specialmente all’estero, ma arriva anche sui banchi alimentari italiani, attraverso false dichiarazioni relative alla provenienza e, a volte, con cariche microbiche oltre i valori soglia. La battaglia contro questa vera e propria piaga troppo a lungo ignorata, o quantomeno sottovalutata, è stata resa più efficace con la modifica all’articolo 40 della legge numero 154 del 28 luglio 2016 «in materia di contrasto del bracconaggio ittico nelle acque interne», ma nonostante questo continua ad affliggere il nostro Paese con conseguenze devastanti sotto il profilo ambientale, animale e umano.